I predatori dell’amaca volante

Space Net

Scimmia e ragno, scimmia-ragno. Non è fatta come il difensore del quartiere, il suo costume rosso-blu con stemma nero che richiama alla visione dell’ottuplice zampettamento, protagonista di pellicole davvero molto amate. Neanche potrà tessere, la nerastra Atelidae pelosa, una propria appiccicosa tela; a meno che volessimo includere per inferenza, tra i traguardi di quel piccolo animale, l’ultima creazione di codesto gruppo di arrampicatori dello Utah, giovani e senza una visione limitante del pericolo, che da un tempo medio han preso l’abitudine di farsi definire gli/le Moab Monkeys, alludendo assai probabilmente alla tipica agilità di tale classe di creature, i primati. Ma che adesso, con questo progetto del Pentagon Space Net, così gentilmente ospitato presso il canale ufficiale delle telecamere GoPro, sembrano fuoriuscire dal circondario più meramente biologico, sforando nel caotico e variopinto mondo dei supereroi. Facendosi emuli di quella scena da trailer, famosa eppure poi tagliata, in cui Spiderman bloccava l’elicottero fra le due torri gemelle, proprio in quegli anni tristemente demolite. Quale imprevedibile eventualità… Fra le stesse rocce dove scorre il Colorado River, appesa sotto il cielo ma ben distante dal remoto suolo, costoro hanno edificato una speciale costruzione. Solo cinque corde tese, usate per tenere in posizione l’equivalente aerodinamico di una penthouse (suite dell’ultimo piano) ma con sotto l’aria. E in mezzo un buco. Ah! Questa è veramente bella. E a cosa servirebbe mai, quel buco?
Quando si dice che certi paesi sono straordinariamente grandi, non si fa riferimento unicamente alla questione geografica, delle migliaia di chilometri dall’una all’altra costa, intervallate da montagne, fiumi e valli erose da quest’ultime, fino allo sfogo del remoto mare. È una questione che si estende anche alla sfera concettuale: un conto risulta essere la vita con la completa identità di luogo, nazionalità e contesto. Un altro è fare parte della corposa fetta umana che compone il variegato popolo degli Stati Uniti, che dall’integrazione nasce, e nell’alternanza dei periodi in cui quest’ultima è stata variabilmente praticata, ha fatto le fortune o meno dell’intero sistema socio-economico globalizzato. Pensate all’area metropolitana di New York sopra l’Atlantico, dove l’unione architettonica tra il ferro ed il cemento, negli anni correnti riesce a sostenere una densità di popolazione che si aggira sui 10,756 individui per chilometro quadrato. Poi mettetela a raffronto con le vaste pianure ed i deserti posti al centro di quel continente, ove la quantità di pietre, su cui mano umana ancora non si è mai posata, risulta grandemente superiore a quella delle opere volute dalla mente. Luoghi come questa Grand County dello Utah (lassù, sopra l’Arizona) in cui la scienza statistica ci parla di una media di una singola persona ogni chilometro, più la parte decimale variabile, 0.1, 0.2; diciamo, la lunghezza della barba e dei capelli? Come, verrebbe a noi da chiederci, è possibile disporre di un’identità che sia davvero nazionale, eppure applicabile all’uomo di quel primo ambiente, come a quello della remotissima frontiera! Cactus saguaro al posto dei pali della luce e come altrove corrono le strade trafficate, qui coyotes, Road Runners e le trappole dei primi a danni dei secondi. A.C.M.E. Nella frontiera c’è spazio per tutti, ovvero i folli e le loro sorelle, le famiglie intere e pure quelle…Dedite a dei passatempi molto preoccupanti. Vedi ad esempio quella trifecta della dannazione, che difficilmente può trovare spazio nei contesti urbani: scalare le cose, lanciarsi giù da esse, tendere una corda, appena a sufficienza. L’ultima che resta forse la migliore, in questo sport moderno (ma non lo sono forse tutti) del camminare sopra il nulla dei bisogni, all’alta quota della massima concentrazione ed abnegazione di se stessi. All’inseguimento del perfettissimo equilibrio, si, ma non soltanto fisico e persino spirituale. Stiamo parlando, per intenderci, dello slacklining d’alta quota. Provateci voi a farlo, nel bel mezzo di una gran città!

Non a caso i due eventi che la testata di settore Slackline-Media cita a margine di una circostanza simile, dello scorso ottobre sono tra i più noti nell’ambiente degli sport estremi statunitensi: il Turkey BASE Boogie (tacchino, forse dalla vicinanza del Ringraziamento) e il G.G.B.Y. highline gathering, ovvero rispettivamente: il raduno dei paracadutisti di bassa quota e quello degli amanti del nascente acrobatismo semi-improvvisato sulla ripida, ma non rigida fettuccia in policarbonato. Ed è proprio dalla ricerca di un punto d’incontro tra i due mondi, contrapposti eppure confinanti, che il team delle Moab Monkeys, guidato in questo caso dalla visione creativa di “Sketchy” Andy Lewis, ha iniziato a tessere questo costrutto innovativo del pentagono flessibile, saldamente imbullonato alle pareti delle mesas millenarie – per inciso, non mancano le ingiustificate critiche del tipo: “Avete rovinato i nostri monumenti naturali!” Come se una massa preistorica di pietra, in quanto tale, potesse risentire dell’opera dei suoi remoti discendenti costruttori di alveari.
Un’operazione che ha richiesto, secondo la descrizione del video, un tempo cumulativo di 500 ore di lavoro, cordialmente ripartito tra le 50 paia di mani partecipanti alla messa in opera di ciò che mai, prima d’ora, era stato neanche immaginato. Se non da loro stessi, diversi mesi prima e in una versione certamente più prosaica, meno ambiziosa:

Space Thong
Lo Space Thong compare nella seconda parte di questo trailer dedicato al documentario di Chuck Fryberger “Exposed” dedicato alle ultime innovazioni nel campo di scalate, BASE jumping e slacklining. La parte rilevante inizia verso i 3 minuti del video.

Lo Space Thong (perizoma del cielo) era stata questa piattaforma di lancio con tre soli punti d’ancoraggio, meno estesa della versione pentagonale e quindi anche priva dell’apertura circolare da cui lanciarsi, tra i propri amici in festa, comodamente seduti tutto attorno per testimoniare il prevedibile successo. Già erano presenti in tale prototipo, tuttavia, le lunghe corde di fino ad 80 metri d’estensione, vere e proprie piattaforme lineari per l’arricchimento spirituale, da percorrere senza l’impiego di un bilanciere, come da migliore tradizione dello slacklining, e fino a quel punto centrale memorabile, un luogo che sarebbe esistito unicamente per un tempo definito. L’effettiva messa in opera di una di queste ragnatele può richiedere anche tre giorni di lavoro, e benché il processo non venga effettivamente mostrato, è facile immaginare la complessità di trascinare tanto in alto ciascuna delle corde di sostenimento, per poi assicurarle in modo idoneo a sostenere il peso necessario. Ma nonostante questo, resteranno lì per breve tempo: nel caso narrato nell’articolo di Slackline-Media, ad esempio, la rete pentagonale stata smontata dopo appena una giornata, benché ricca d’impegni. Nel corso della quale ben 50 utilizzatori, fra equilibristi della corda e/o saltatori, incluso lo stesso capo-progetto Andy Lewis, che non contento di limitarsi a usare la rete come trampolino di lancio, ha persino chiesto ai suoi colleghi di coprire il buco, per ATTERRARVI quindi sopra col paracadute, a partire da un qualche cordiale elicottero di passaggio.

Moab Monkeys Devin
Tra i video meglio riusciti delle Moab Monkeys c’è questo, realizzato con la regia di Devin Supertramp, l’ormai celebre narratore delle imprese spericolate in giro per il mondo. La sequenza si apre e chiude con generose inquadrature di automobili della Ford, chiara sponsor dell’evento.

La pratica dello slacklining può offrire uno spunto d’analisi interessante a margine degli sport d’avventura in quanto tali. Che hanno preso, con il correre degli anni, l’abitudine di rendersi in qualche maniera maggiormente democratici, alla portata di chiunque abbia il desiderio di esserci e lasciare il segno. Laddove l’antica pratica circense del funambolismo sulla corda metallica tesa quanto quella di un violino prevedeva l’enfatizzazione di una situazione di pericolo vista l’assenza di dispositivi di sicurezza, oltre ad un contesto attentamente controllato e tecnico, la nuova visione del camminare sopra la sua controparte flessibile si trasforma piuttosto in una semplice espressione della creatività, rapidamente attivata dai suoi praticanti quando necessario, con appena un vezzo di preavviso contestuale. Lo slacklining in quanto tale non necessita di un punto rischiosamente elevato per giungere o partire (prassi questa che rientra nel sotto-genere dell’high s.l.) ma nasceva piuttosto fra i diversi rami degli alberi del parco naturale di Yosemite, grazie all’opera di personaggi come Jeff Ellington e Adam Grosowski verso la fine degli anni ’70, che successivamente furono in grado di rivoluzionare ciò che era lecito aspettarsi da un bipede in bilico sopra una corda, flessibilmente agile sopra i canyon delle aspettative. Resta significativo l’episodio tratto dalla biografia di Grosowski e citato nell’articolo rilevante di Wikipedia, relativo ad una vecchia foto che lui vide da bambino, di due artisti circensi del 1890 intenti ad eseguire una figura particolarmente complicata: uno in equilibrio su una mano sopra un palo verticale, che mantiene tesa una corda imbullonata su parete. Mentre l’altro, anch’esso nella stessa posizione, si mantiene in equilibrio sulla stessa, piegandola in parte col suo peso: una situazione detta in lingua inglese della slacking rope, ovvero la “corda debole, piegata”. Fu allora che lui giurò di riprodurre almeno in parte un simile episodio, onde trasformare ciò che era rigido e costante, nell’approssimazione lineare del tipico trampolino elastico, sopra il quale compiere una vasta serie di evoluzioni salterine. E dal suo desiderio messo in pratica, fonte d’innumerevoli significative imprese, iniziò l’attuale rinascimento del nuovo funambolismo digitalizzato.
E se oggi questi suoi eredi professionali dello Utah, le titolari Moab Monkeys, scelgono di modificare ulteriormente il concetto di un tale sport, collocando proprio nel mezzo delle corde intrecciate l’improbabile piazzola, questo non andrebbe interpretato come un desiderio di spostarsi oltre, lasciando i predecessori nella polvere del tempo. Si tratterebbe piuttosto, almeno in teoria, di un ulteriore metodo divulgativo. Chi può davvero dire, vedendo un simile spazio iperboreo, di non avere almeno un vago desiderio di trovarsi lì?

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