Guardi la bionda signorina con fare rigido e professionale, mentre lei sorride sulla sua sedia regolabile, posta nel bel mezzo del grande terminal dell’aeroporto Chopin, a Varsavia. Stanco, incravattato, lieto di aver fatto anche stavolta il tuo dovere. Soprattutto, sollevato dal gran peso di dover condurre la tua impresa di carriera, all’altro capo di quei lunghi fili che compongono le delicate ragnatele del mercato, le amate-odiate multinazionali. Ad un tratto, percepisci qualcosa d’inaspettato in chi ti sta davanti: come un tic nervoso, seguito da un ulteriore aprirsi della sua espressione, mentre con fare aggraziato la donna punta il dito da una parte, quasi a dire: “Ah, c’è ancora una cosa. Aspetti un attimo, signore.” Panico. Hanno trovato qualcosa nella mia valigia? La polizia mi sta cercando per gli asciugamani dell’hotel? Avevo poi finito di fumare quel tabacco speciale d’importazione? Non avrò mica messo il mio machete nella borsa del computer? Il tempo pare rallentare, fin quasi a fermarsi nella bolla di un minuto di terrore. Lei che allunga le sue braccia, poi inizia a scavalcare il pallido bolide che gli faceva da avveniristico piano d’appoggio. “A-ah, si. Mi d-dica?!” Realizzazioni improvvise: questa donna è chiaramente una squilibrata che fuoriesce dalle norme usuali della civiltà. C’è un buon 70% di possibilità che stia per saltarmi addosso allo scopo di sottrarmi l’orologio, mentre un suo compare mi aggredirà da dietro per il portafoglio. La cosa migliore è restare perfettamente immobile, anche questa passerà. Forse? Magari? Ma ecco che la situazione, stranamente, pare peggiorare. Perché la conturbante sconosciuta, invece di avere almeno quella limitata decenza criminale, spalanca la bocca e si mette a cantare la musica Pop degli anni ’70. D’accordo, sembra Biancaneve nella versione degli ABBA. Ora ci sono pure i sette nani: uno stuolo d’esimi individui che piroettano danzanti, battono le mani, ti allontanano dai tuoi bagagli. Non ti resta che una sola cosa da fare, visto che sei in Ballo…
Che volare in aereo sia uno dei metodi per viaggiare più convenienti, pratici e veloci a questo mondo è un dato che sovrasta l’evidenza. Altrimenti non si spiegherebbe come, dopo il grande rilievo mediatico dato alle occasionali e tristi contingenze, gli incidenti, i dirottamenti, i disastri, le voci sul pessimo sapore delle noccioline, giorno dopo giorno gli aeromobili di ogni luogo partano non solo con un carico di passeggeri, ma abbastanza individui da riempire ciascun singolo sedile contenuto nella solida carlinga, dal muso affusolato fino agli alettoni della grande, variopinta coda. Eppure, nonostante questo, sembra di non aver mai fatto abbastanza. Questo perché previo investimento significativo, per l’acquisizione di licenze, personale, velivoli e finestre di decollo, non è poi così difficile rendere redditizia l’ennesima etichetta da turbina, un’altra compagnia perfettamente degna di ricevere la fiducia e i soldi di chi non soffre, né potrebbe mai soffrire, l’ansia indotta dal mal d’aria. Turisti per scelta, quindi, ma anche manager in viaggio, parenti perduti di ritorno ai luoghi della giovinezza, rappresentanti culturali con l’invito per un party all’ambasciata; per ciascuno, molte soluzioni ed altrettanti sportelli, presso cui recarsi con la carta d’imbarco, il sacro tagliando che fa fede nell’accordo commerciale tra te e loro. Il problema è ad ogni modo, a monte: chi scegliere, fra le diverse alternative?
L’ambiente dei pubblicitari ha ormai scoperto, da un tempo lungo e ricco di dimostrazioni pratiche su media d’ogni tipo, che in situazioni in cui diverse compagnie forniscano servizi equivalenti, o per lo meno percepiti come tali, l’utenza sceglie sempre in base al vezzo del momento. Il ricordo vago di un qualcosa di già visto, il sentimento irrazionale che ci porta a valutare le organizzazioni alla stregua d’individui, classificandole poi sulla base della simpatia. Così anche qui, soprattutto nel panorama odierno del settore dei trasporti via aria, è il marketing che fa fluttuare gli aeromobili, corrobora le strisce sopra i grafici degli ottimi bilanci finanziari.
E tutto, stavolta, grazie al sacrificio di quest’uomo: lui-te, che aveva soltanto la “colpa” oppure il “merito” di essersi presentato a quel bancone dopo il passeggero numero 499.999 e prima del collega 500.001, per ritrovarsi all’improvviso in mezzo al palco invisibile di un vero e proprio musical di B, con un intero aeroporto di persone stipendiate allo scopo di metterlo in terribile evidenza. Che poi potrebbe dirsi, fra tutti gli stati del possibile, quello meno adatto a chi è stato suo malgrado trascinato dagli eventi, coinvolto all’interno di un’operazione che non gli appartiene, non ha vantaggi d’immagine per lui. Anzi, nel caso specifico, l’esatto opposto, vista la comprensibile reazione d’imbarazzo.
Ma d’altra parte, non mi preoccuperei poi troppo delle conseguenze per il povero signore. Avete mai visto un’operazione di prank marketing, le candid camera con scopo pubblicitario, che non fosse stata attentamente pianificata in ogni sua minima parte, inclusa la scelta della presunta vittima? Se ancora tale, si può chiamare.
Il flash mob in questione, che è dal punto di vista tipologico un ottimo rappresentante di categoria, nasce da una fortunata collaborazione tra due grandi istituzioni della capitale polacca, Varsavia: la compagnia di volo LOT/Polish Airlines e il TEATR ROMA, presso cui sta andando in scena proprio in questi giorni un’interessante versione tradotta in lingua del classico jukebox musical inglese “Mamma mia!” scritto in origine dalla drammaturga Catherine Johnson, allo scopo di creare una struttura narrativa attorno alle canzoni di uno dei gruppi pop tra i più popolari della storia, gli Abba. Una missione certamente non facile benché l’amore, sentimento da sempre cantato in simili componimenti, possa ben adattarsi alle vicende variegate della tipica commedia dei paesi anglofoni, strutturata, come di consueto, attorno al matrimonio di una giovane con l’uomo dei suoi sogni. Proprio mentre, come da prassi, le vicende trasversali di bizzarri ed improbabili invitati rischiano di soverchiare l’evento principale, talvolta giungendo a compromettere la stessa atmosfera della cerimonia, ma soltanto fino a un certo punto di risoluzione. Quando il lieto fine, trascinante e inarrestabile, giunge a dirimere i diversi presupposti d’incertezza. Tutti, tranne quello fondamentale: chi era di quei tre curiosi individui, alla fine, il vero padre dell’adorabile protagonista? Un mistero che si perde tra lenzuola preter-generazionali. Forse dovremmo chiederlo a Meryl Streep e Pierce Brosnan, gli attori più importanti del discusso adattamento cinematografico del 2008, film musicale con il maggiore incasso di tutti i tempi. Questo, nonostante il critico Mark Kermode della BBC avesse affermato: “È la cosa più prossima ad assistere allo spettacolo di grandi attori hollywoodiani che cantano il karaoke ubriachi.”
Proprio così, non è facile improvvisarsi interpreti da musical, un mondo vasto e variegato almeno quanto quello della recitazione pura…
Si, in effetti c’era da aspettarselo. Uno dei musical più replicati in assoluto, basato su canzoni così orecchiabili da sembrare quasi diaboliche, spesso usate nel marketing di più paesi. Fra queste, scegliere proprio la principale, dal titolo deliziosamente assonante nonché espressione più celebre della lingua italiana (cara pure a Super Mario). Tutto questo, unito ad uno dei trend dominanti della comunicazione aziendale dei nostri tempi: il flash mob. E non sorprende quindi come siano sulle decine migliaia, forse anche più, le visite complessive delle molte interpretazioni di questa stessa cosa: “Mamma mia” inscenato all’improvviso, tra i passanti accidentali. Piazze, spiagge, centri commerciali, stazioni. L’evento dell’aeroporto di Chopin, per quanto ben realizzato, non era che l’ennesima versione di uno stilema quasi dato per scontato, con in più il merito di servire al duplice scopo di pubblicizzare lo spettacolo, oltre al committente dello sketch. E graziosi pasticcini a forma d’aeroplano per gli astanti.
Una rapida ricerca su YouTube offre uno sguardo affascinante, e per certi versi ansiogeno, sull’attuale fissazione quasi-memetica dei moderni comunicatori, in cui la voglia di distinguersi deve essere necessariamente subordinata al bisogno di essere diretti e comprensibili, immediatamente accattivanti. Cosa importa, se dozzine d’aziende hanno già percorso la stessa identica strada? Essere originali è un merito che paga unicamente quando chi ti osserva, grazie al suo carico d’esperienze personali, riesce in qualche modo ad essere conscio di questa tua dote. Ed io che faccio il manager di marketing, non posso contare su di voi, nemmeno in questo. Se non vi sta bene, sarà meglio spegnere il computer per stasera. Dicono che i teatri facciano orario continuato…