PL-01, un carro armato che aspira all’invisibilità

PL-01

Un veicolo estremamente innovativo, nero e opaco, che fuoriesce dal deposito verso la prima e forse più importante delle sue battaglie. Secondo molti, lo ricorderemo così: mentre veniva pilotato fino agli autotrasportatori designati, oppure perché no, direttamente presso la sua piattaforma di esposizione dell’ultimo MSPO (International Defence Industry Exhibition) grande fiera polacca di settore, usata ormai da anni per presentare le ultime novità europee in materia di mezzi da combattimento militari. Quanto è cambiato il mondo, dal termine della passata guerra fredda! Così come avviene nel regno dei consumatori, l’industria della difesa è ormai connotata dai flussi e le discipline del libero mercato, all’interno del quale non è più importante poter disporre di un’arma esclusiva, quanto vendere la stessa cosa a quanti più possibili alleati potenziali, affinché una futura azione di concerto possa funzionare nella maniera più fluida ed efficiente. E sia ben chiaro: stiamo parlando soprattutto di esercitazioni. Nessuno conosce in realtà il futuro, ma la storia ci ha insegnato che la corsa agli armamenti è un gesto alquanto futile, visto il trasformarsi imprevedibile dei presupposti di battaglia. Tranne che nel caso in cui, per l’iniziativa particolarmente ben riuscita di un’intera generazione di progettisti, si riesca a prevedere il tipo di minacce emergenti sulle strade degli scontri armati, schierate successivamente dall’ennesimo e indesiderabile avversario. Facendo un passo avanti, due indietro e anche incredibilmente, tre di lato.
Occorre guardare le cose da lontano. Dato che il carro armato, nello schema odierno delle cose, viene considerato l’evoluzione del concetto di cavalleria, potrebbe risultare particolarmente utile un parallelo storico, relativo alle caratteristiche della tipica armatura medievale a piastre. In principio, la caratteristica più ricercata era lo spessore, aumentato gradualmente grazie alle migliorie tecniche nel campo della metallurgia. Il partecipante ad una carica guerresca del periodo tardo, nello spronare il suo destriero innanzi, poteva contare su di una barriera essenzialmente impenetrabile ai colpi di un fante nemico, fossero questi vibrati con la spada, l’ascia oppure addirittura quell’arma concepita appositamente per fermarlo, la lancia lunga tanto spesso puntellata a terra. Ma basta fare un fast forward di qualche secolo, successivo all’invenzione delle armi da fuoco efficaci in quanto tali (tra cui non può davvero annoverarsi l’archibugio) per trovare una situazione totalmente ribaltata. Ecco sparire tutto quel metallo a vantaggio di semplici uniformi variopinte, vedi ad esempio quelle associate alle guerre napoleoniche, concepite esclusivamente a scopo di aggregazione collettiva ed a vantaggio dell’immagine di ciascuna armata nazionale. Era terminata l’epoca in cui si poteva pensare di sopravvivere a un colpo diretto del nemico, e paradossalmente, si tornava allo stato originario di una sola tenuta soldato, invariabile dal punto di vista funzionale. Ed è proprio questa la situazione che stiamo vivendo, ormai da diverse decadi, nel campo dei mezzi militari per il fuoco diretto, quelli che comunemente definiamo carri armati.
Se si guarda indietro fino all’inizio della seconda guerra mondiale, il conflitto attraverso il quale si è consolidato il valore tattico di questo temutissimo implemento veicolare, appare chiaro un processo di sublimazione di quelli che erano stati in origine un’ampia gamma di elementi paralleli: il Matilda inglese, il Panzer 2 tedesco, il T-26 russo erano macchine che si aggiravano sulla decina di tonnellate, pensate per assolvere a più ruoli. Dominate dalla presenza egualmente primaria di due armi, un cannone di grosso calibro e l’irrinunciabile mitragliatrice, dovevano irrompere sul campo di battaglia soprattutto per lo scopo di superare le fortificazioni pre-esistenti, inibendo successivamente il contrattacco del nemico. Fu soltanto successivamente, attraverso scoperte tattiche anche in parte accidentali, che si scoprì come fosse possibile privare l’esercito nemico di questo stesso formidabile vantaggio operativo. Occorreva disporre di un veicolo per acquisire la superiorità tipologica, e tale veicolo fu il carro pesante. Viene spesso citato, nei testi del ramo, l’effetto che ebbe sulla storia militare la messa in opera nel 1940 dei primi carri KV (Kliment Voroshilov) dell’Unione Sovietica, oltre quaranta tonnellate d’armatura impenetrabile ed un cannone di fino a 110 mm di calibro. Strumenti del tutto impervi alle armi montate dai loro predecessori, nonhé in grado di distruggerli senza fatica e che potevano quindi essere contrastati solo tramite un approccio ancora non scoperto. Ciò che seguì, nei cupi anni successivi, fu una vera diaspora di stili progettuali. Mentre la Germania produceva i suoi iconici Tiger e Tiger 2, le altre nazioni reagirono con bassi e rapidi caccia-carri, privi di torretta, con profilo basso e quindi più difficili da contrastare. Nel frattempo, i mezzi corazzati che venivano considerati più desiderabili erano quelli ai lati estremi dello spettro: piccoli e veloci, in grado di sfuggire all’occhio del nemico, oppure giganteschi superpesanti, come lo sperimentale ed ormai quasi leggendario Panzer VIII Maus, un veicolo che avrebbe pesato 122 tonnellate (circa il doppio di un moderno M1A4 Abrams).
Il vecchio concetto del carro universale era finito, mentre anche i precedenti medi, con i loro armamenti pesanti ma la corazzatura comparabile non prestazionale, finivano per assolvere ai dei ruoli attentamente definiti.

Certo, non  è difficile immaginare un possibile seguito di questa storia. Nell’àmbito naturale, l’evoluzione dei predatori segue una strada attentamente definita, tramite cui ciascuna specie finisce per specializzarsi in una specifica nicchia della catena alimentare. Nel futuro di allora dunque, il nostro presente, secondo questa premessa dovremmo avere degli eredi di ciascuno di questi dinosauri metallici del passato, ciascuno ancora più pesante, leggero, oppure “medio” se messo a confronto con i suoi predecessori.
Solamente che non è così: perché nel periodo di relativa tranquillità successivo all’invenzione della bomba atomica, quando nessuno osava fare il primo passo che, si riteneva, avrebbe potuto sprofondare il mondo in un inverno senza fine, nel campo della guerra corazzata emerse la figura dell’MBT (Main Battle Tank) ovvero il nuovo carro universale, frutto d’innovazioni tecnologiche tutt’altro che indifferenti. Come per la cavalleria dell’era pre-moderna, innovazioni tecniche avevano permesso di creare un’unità militare priva di alcun tipo di compromesso: la migliore armatura a disposizione, l’arma più potente, una mobilità sufficiente ad avvicinarsi al 100% di efficacia strategica nel proprio ruolo. Era finita, e tale resta tutt’ora, l’epoca della vecchia triade leggero-medio-pesante, sostituita in un certo senso da un’interazione più strutturata tra le diverse risorse dell’armata, ivi inclusa l’aviazione, la fanteria e l’artiglieria. Il che ci porta all’innovazione polacca messa in mostra l’anno scorso durante l’MSPO, una visione radicalmente differente di ciò che dovrebbe essere, e fare, un moderno carro armato.

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Si chiama per il momento, come dicevamo, il PL-01, ed è visibilmente l’applicazione al campo dei veicoli di terra di alcune delle soluzioni rese celebri dai mezzi aerei anti-radar americani, vedi l’F-117 e l’incredibile bombardiere a forma di lettera W, il B-22. Superfici appositamente angolate si occuperanno, successivamente al suo schieramento, di deviare le onde elettromagnetiche degli strumenti di rilevamento elettronici, oltre che le schegge ed i proiettili nemici. Ma questo non è che l’inizio, per un mezzo dalle soluzioni tecniche che si avvicinano talmente tanto all’ipotetica rule of cool, da finire per sembrare parte di un exploit cinematografico o moderno videogame.
Il suo intero chassis, basato su quello del cingolato svedese Combat Vehicle 90, è stato interamente ricoperto da una serie di piastre dalla forma esagonale. Queste ultime, secondo quanto dimostrato, sono in grado di riscaldarsi o raffreddarsi a comando, formando l’equivalente termico di una matrice di pixel. A che scopo? Presto detto. La maggior parte delle armi anti-veicolari moderne, ivi inclusi i missili aria-terra, si basano su un sistema di guida che rileva la sagoma calda del nemico contro il suolo relativamente freddo, oppure viceversa. Un corazzato in grado di cambiare la sua impronta termica anche in modo settoriale, come fanno i proverbiali camaleonti con il colore, risulterà virtualmente invisibile a molti dei più pericolosi strumenti in grado di fermare la sua avanzata. Ed è proprio questa la principale ragione d’esistenza del carro polacco, frutto di una collaborazione tra l’OBRUM, agenzia nazionale con partecipazioni pubbliche e la BAE inglese, originaria sviluppatrice dell’interessante soluzione in questione. Non si tratta, ad ogni modo, dell’unico punto forte del PL-01.

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Progettare e presentare agli acquirenti internazionali un nuovo carro armato oggi, soprattutto nel panorama altamente competitivo dei paesi aderenti all’organizzazione della NATO, significa farlo con un corollario di sistemi essenzialmente allo stato dell’arte. E in questo, il PL-01 non delude: la sua torretta posizionata molto indietro sul corpo centrale, che appare così stranamente piatta e aerodinamica, può infatti avvalersi di un sistema di quasi completa automazione. All’interno del carro, che richiede un equipaggio di sole tre persone, è stato incluso un sistema di controllo remoto e carica automatica delle munizioni, diminuendo molto il rischio per l’addetto a tale ruolo, che può conseguentemente trovare collocazione tra le piastre d’armatura dotate di un maggior spessore. Il veicolo è inoltre fornito di un’ampia serie di telecamere disseminate nelle zone più protette della sua struttura, utili a restituire un campo visivo prossimo ai 360 gradi. Tra i possibili miglioramenti futuri, viene in effetti annoverato un sistema di realtà aumentata per il capitano del carro, che indossando un casco dotato di display integrati, potrà vedere virtualmente attraverso le pareti del veicolo, anche in infrarossi e stereoscopia. Non è che uno dei vantaggi offerto per la prossima versione del tank, dovesse verificarsi il caso fortuito della sua produzione in serie, la quale includerebbe secondo quanto dichiarato, addirittura un qualche tipo di camuffamento ottico nello stile del film Predator (promesse, promesse…) Tra le doti maggiormente realizzabili allo stato attuale delle cose, colpisce ad ogni modo un’interessante modularità ed interazione delle componenti. Il veicolo, che verrà teoricamente offerto anche in versioni specializzate per il comando, la riparazione oppure lo sminamento, potrà facilmente scambiare i propri sistemi con gli altri membri del gruppo operativo, godendo di quella flessibilità che dovrebbe sostanzialmente costituire la linfa delle migliori armate moderne, meccanizzate o meno. Il PL-01 è inoltre dotato di un sistema anti-missile affine al Trophy dell’esercito israeliano, teoricamente in grado di bloccare le munizioni nemiche in arrivo grazie al fuoco di risposta di una sorta di shotgun (fucile a canna liscia) motorizzato su torretta, così eloquentemente dimostrato nel video di marketing a corredo.
La rivelazione si è verificata sul palco gremito della fiera oggetto dello show. Schiere di specialisti provenienti da tutta Europa, ammirando le forme innovative del PL’1, hanno elogiato questa riproposizione dell’antico concetto di un carro leggero, quasi si trattasse dell’ultima Ferrari o Lamborghini. È indubbio come nel panorama della guerra odierna, in cui può bastare un drone comandato a distanza per fermare il fulmine d’acciaio di un Main Battle Tank, la rapidità e la non-visibilità acquisiscano un valore nuovo. Però è anche vero che un buon corazzato di terra dovrebbe essere, secondo quanto rilevato dai grandi generali dell’epoca moderna: semplice, affidabile e sopratutto facile da riparare. Quest’ultima qualità, in particolare, da sempre avversa a tutto ciò che è altamente tecnologico, e/o mai visto prima.

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