Cigni, mufloni, pellicani. Tre specie molto differenti, di cui una appartenente addirittura ad una classe totalmente non aviaria ma piuttosto dei quadrupedi cornuti, giù nella foresta. Tutte: creature che non violano l’antico patto con gli umani, infastidendo le campagne o minacciando chi si trova sulla loro strada, salvo il caso, comprensibile, che abbiano cuccioli al seguito in pericolo presunto, oppure più effettivo (certi cani non distinguono tra Friskies e un pulcino). Ma il rischio, che è una forza primordiale, può colpire quando meno te lo meriti, persino. Può avvenire, ad esempio, durante una discussione particolarmente animata tra volatili del fiume Maza Jugla della Latvia, che s’inizi una schermaglia con la biancastra controparte, un becco contro l’altro a sferragliare. Per fare poi d’un tratto zig, mentre l’altro/a puntava in un deciso zag, starnazzando e svolazzando, finché a un tratto non si vede più una via d’uscita. Da due colli e un solo problematico groviglio, che non potrà risolversi per l’opera dei suoi compositori. Questa la rara e preoccupante scena che si è presentata innanzi agli occhi di Vitaly e Alexander Drozdov, entrambi fotografi, nel corso di una delle loro ultime escursioni naturali alla ricerca di soggetti artistici d’effetto. Quel giorno, veramente, non sapevano ciò verso cui si erano messi in marcia.
Una visione assai difficile da qualificare. Un essere soltanto, con quattro ali ed altrettante zampe, due becchi e soprattutto, ormai purtroppo, ben poca forza rimanente per chiamare aiuto. Come gli ibridi orrorifici dei testi lovecraftiani, frutto d’inappropriate commistioni tra diverse dimensioni, il duocigno era già nato da poco, che già sarebbe sopraggiunta la sua fine. Se non ché, un caso assolutamente gordiano: come Alessandro sopra il suo cavallo bianco, che entrò nel regno della Frigia e seppe districare ciò che collegava il carro di Sabazio al palo simbolo dei re dell’Asia, giunsero gli accidentali salvatori. Ora, naturalmente non è che come quel grande condottiero, la parabola possa considerarsi una dimostrazione dei vantaggi dell’assoluta semplificazione. Se costoro avessero impiegato un taglio netto e deciso, portato a compimento grazie al filo di una spada della Macedonia, ben poca cosa sarebbe stato quel crudele gesto. E tutte quelle penne, a poco sarebbero servite, se non allo scopo di farci cuscini e materassi. Gli uccelli in effetti, ormai sfiniti, erano prossimi ad arrendersi del tutto.
Si è diffusa un po’ ovunque, alla prima pubblicazione di questo video, l’idea romantica secondo cui i malcapitati avrebbero in qualche modo compreso che la loro unica speranza fosse cercare aiuto dagli umani, e si sarebbero intenzionalmente spostati verso i due fotografi di passaggio, subito riconosciuti come l’ultima speranza di salvezza. Possibile? Storie di questo tipo, che sembrano parlare di una legge di giustizia che collegherebbe tutti gli esseri viventi, finiscono in realtà per attribuire un certo grado di furbizia alle creature non particolarmente intelligenti, come per l’appunto due Anatidi annodati come questi. In realtà, personalmente, ritengo più probabile che il duo si stesse muovendo a caso, e apparisse tanto mansueto per la semplice mancanza di forze residue nelle loro zampe.
Ma che abilità! Quale cautela e senso del dovere! Mentre uno dei fratelli, come da sua inclinazione professionale, continua a riprendere la pregna scena, l’altro con il golf a strisce s’industria nel groviglio, stando bene attento a non forzare troppo le cose. La situazione appare complessa: addirittura i due cigni, successivamente al primo intabarramento di colli, in qualche modo sono riusciti ad incastrarsi con le ali, che per imprescindibile legge di natura hanno un’angolazione di movimento alquanto limitata e quindi virtualmente insufficiente a farli uscire dalla contingenza. Poi, fatto preoccupante, il cigno che si trova sotto ormai si muove appena.
L’impegno si protrae per un tempo medio, finché alla fine, gradualmente, ciò che era diventato uno ritorna due creature ben distinte che riprendono a zampettare per la propria strada, inclusa quella apparentemente ferita, subito guarita dal torpore. I salvatori, prima di recarsi altrove, si preoccupano pure di prendere uno dei due cigni e liberarlo un po’ più a valle, un gesto che ha lasciato perplesso più di un commentatore. Probabilmente, temeva che i due potessero attaccarsi di nuovo?
Se il cigno è il re del fiume, come il leone, l’imperatore della giungla, chi domina le foglie cadute sopra il manto morbido dei boschi ombrosi? Chi eredita, una generazione dopo l’altra, il dominio sulle verdi distese di tronchi dell’Europa Orientale, inclusa quella presso la cittadina di Konin in Polonia? Chi se non lui, il muflone. L’antenato delle capre dei nostri giorni, che ancora vive libero, incontaminato dal bisogno di servire i bipedi addomesticatori. Si riconosce facilmente dal suo palco scenografico, la coppia di corna ritorte che costituisce la sua ossea corona. Giacché la funzione evolutiva di simili implementi, da quando esiste l’ecologia, è stata largamente discussa, e benché sia chiaro l’uso che ne fa l’animale maschio (cozzando contro i suoi consimili per primeggiare) resta lecito chiedersi quanto di una tale procedura sia giustificata ed utile, nel contesto ripetuto della procreazione. Ciò poi, senza considerare quello che succede quando il gran quadrupede, per un attimo di distrazione, si avvicina troppo ad un tronchetto, alto e stretto, non particolarmente resistente. Ma quanto basta! Per intrappolarlo lì, finché…Ora, come ben sa chiunque abbia guardato il National Geographic, le escrescenze craniche del muflone hanno una forma spessa e ricurva, ricordando nei fatti la struttura artificiale di un gancio per portachiavi. Non è quindi difficile da immaginare, tendono a incastrarsi. Molti di questi splendidi animali, nel corso dei secoli, sono periti per la semplice problematica dell’istinto di fuga dai predatori: quando si sente in pericolo, l’ovino non sa far altro che tentare di correre innanzi verso l’orizzonte. Il che, se il corno è già inserito nel suo perno, può soltanto aggravare il rischio della situazione. Quel muflone era probabilmente condannato a roteare per l’eternità.
Se non che, miracolo del mondo: di lì passava Krystof Wlodarczyk con il figlio, jogger mattutino tra le fronde, telecamera alla mano, cuore grande e voglia di snodare. Così, dopo un primo momento in cui tenta inefficacemente di buttare giù il piccolo arbusto (soluzione, quella si, davvero gordiana) costui scopre l’approccio giusto, induce l’induzione di una momentanea retromarcia e poi libera il cornuto sfortunato.
Era soltanto una questione di buon cuore, come no. CHIUNQUE di noi l’avrebbe fatto al suo posto, passando da quelle parti per un fortuito caso del destino. Fare buone azioni è uno stile di vita che ti ricompensa quotidianamente, per il senso di soddisfazione verso il cielo e poi la Terra, tutta quella terra brulicante di creature. Purché sia possibile, nel caso specifico verificatosi, che ci riesca di aiutare l’animale. Il che è tutt’altro che scontato! Prendiamo in esame l’avventura del pellicano. Non uno qualunque, ma questo qui di Gulf Shores, in Alabama, con la sfortuna di essersi ritrovato con una lenza da pesca avvolta bene-bene intorno al becco. Terribile il suo fato: un animale perfettamente in salute, ancora capace di cacciare qualsiasi pesce del vasto mare, ma assolutamente non in grado poi, di spalancare la sua bocca e trangugiarlo. E sarebbe ben presto tristemente morto di fame, se non fosse stato per l’intervento salvifico di questo eroico individuo (rimasto senza nome, come Batman o Superman) che con fare fulmineo afferra le sue zampe all’improvviso, lo abbranca e lo trascina giù sul marciapiede del gremito lungomare. A quel punto, chiara la situazione, un altro degli astanti, in giacca militare o da cacciatore, interviene ad aiutarlo. Appare piuttosto chiaro, a torto o a ragione, che i due sanno ben muoversi con gli animali, mentre operosamente si dividono le mansioni dell’arduo compito e districano la situazione. Alla fine il primo, addirittura, apre il becco del pellicano e quasi ci entra dentro con la testa, nella probabile ricerca dell’amo da pesca. Quindi, apparentemente soddisfatto, libera l’uccello e poi va via, verso un metaforico tramonto d’opportunità.
L’avremmo tutti aiutato, quel pellicano? Potendo, di sicuro. Ma quanti davvero sarebbero stati in grado di afferrarlo, ed avrebbero avuto il coraggio di condurre un tale lavorìo vicino alla sua bocca arcuata… Conoscere davvero la natura, non temerla quando la si osserva da vicino, non è una dote facilmente disponibile agli esponenti dell’odierna civiltà urbana. L’unica speranza è fare quello che possiamo, quando si palesa il bisogno e l’opportunità. Di sicuro, Buddha si ricorderà di noi.