Sapevano come divertirsi, loro le lucertole giganti. Recenti scoperte scientifiche hanno dimostrato che… Nel periodo in cui si dava inizio alla quaresima verso la fine di Febbraio, i dominatori di un pianeta giovane e senz’altro meno popoloso, più freddo e ricco di foreste, rinunciavano alla carne per far finta d’esser altro. Come sul suonare di una tromba invisibile ed abnorme, presso le radure chiaramente designate, si vestivano di gran cappucci frondosi, pelli lunghe, le lenzuola di corpose ragnatele. Carnevale Mesozoico: l’occasione di un giorno per serrare i denti, posizionarsi sulle zampe dagli artigli spaventosi, spalancare gli occhi e fare finta di parlare come umani, per un breve tempo sotto il sopracciglio delle aspettative. Perché anche un ruggito, quando attentamente modulato, può servire a dirti “T’amo, pio Strigo(sauro)” A colazione, a pranzo e a cena; ma non prima di domani, quando torneremo non-umani. Oggi, beviamo. Strano come una simile curiosa usanza, largamente documentata dai frammenti di scritture ritrovate assieme a fossili e altre varie cose, sia riuscita a caratterizzare l’immagine che abbiamo dei più grandi vertebrati di terra mai vissuti prima della storia. Sessantasei milioni d’anni dopo, abbiamo avuto modo di vedere la venuta degli anfibi e degli uccelli e degli insetti, sopraggiunto il tempo di cambiare. Ci sono state molte civilizzazioni, guerre e carestie; vetusti cambi generazionali di significati del possibile, poi è venuta l’automobile, l’aereo e l’astronave. Però non è mutato quel bisogno di gettare lo sguardo oltre il muro di ciò che siamo veramente, assai semplicemente in verità: mammiferi bipedi del genere Homo sapiens (sapiens-sapiens-sapiens…) Che non si abbassano a raccoglier le ossa dei predecessori, se non ci finiscono praticamente sopra. O queste ultime riemergono dal suolo dei momenti, con il seguito di un fascino evidente.
Un cerchio di giovani aspiranti paleontologi si raduna attorno ad un pupazzo spaventoso. Grida appassionate, salti d’entusiasmo, battiti di mani. Il sauro dalle braccia corte si avventura esplorativo, a turno prima da una parte e poi dall’altra, sconfinando col testone in mezzo a tanti lazzi di richiamo, ostentando un senso di minaccia che non è reale; ma potrebbe esserlo, eccome! I punti forti dello show, perché di questo poi si tratta, non albergano soltanto nel realismo visuale. Oggi non è difficile, soprattutto grazie al repertorio offerto da un cinema di genere ormai prossimo al ritorno, mettere assieme un’approssimazione ragionevole di simili creature, fatte di gomma attentamente pieghettata, colori vividi e vivaci. L’ultima versione del classico costume da dinosauro bipede, resa celebre da un’ampia serie di scherzi, candid internettiane e Pesci d’incipiente primavera, prevede una metà superiore gestita da un complesso sistema meccanico, mentre un figurante deambula con fare minaccioso, pantaloni neri e scarpe collegate alle zampone del mostrone. Quest’ultime piegate a volte all’incontrario, come quelle degli uccelli. Tale prassi conduce ad una serie di movenze alquanto realistiche, benché sia connotata da un considerevole problema: le gambe del marionettista sono perfettamente visibili agli spettatori. Ora, naturalmente, se sei lì per divertirti, farai finta di niente ed accetterai qual patto finzionale. Ma col diffondersi della particolare soluzione, ormai persino i bambini, vista una creatura come quella, non potranno fare altro che notare i due punti d’appoggio veramente molto umani, rovinando in parte l’atmosfera. A meno di essere in Giappone, presso uno spettacolo della On-Art…
Kazuya Kanemaru era un individuo con un sogno: mettere assieme, nella sua fabbrica del sobborgo Kurume della vasta Tokyo, l’approssimazione più realistica di almeno un dinosauro, possibilmente almeno due. Non ci è in effetti reso noto se una simile passione fosse nata fin da giovane, studiando tanti libri ed enciclopedie, piuttosto che nel 1993 di pari passo a quella di un’intera generazione, quando Spielberg ebbe l’idea epocale di portare sullo schermo il best seller di Michael Crichton sulla clonazione di giurassiche zanzare. Che come spesso capita nei romanzi di fantascienza, si presentava in origine come un agglomerato fantasioso di temi particolarmente cari all’attualità di allora: l’ingegneria genetica, l’ecologia, i deliri d’onnipotenza dei capi d’azienda troppo ricchi e potenti, l’impiego di soluzioni matematiche ai problemi complessi. Ma che d’improvviso, grazie alla tecnologia della computer graphic, diventò una storia soprattutto di carnivori realistici e montagne semoventi, culminante in alcune sequenze che non avrebbero sfigurato nell’orrorifico Alien di James Cameron, certamente invise a tanti genitori invogliati dal tono amichevole della precedente creazione spielbegiana Hook – Capitan Uncino (1991) per non parlare dell’adorabile e benevolo E.T. l’extra-terrestre (1982).
Ad ogni modo risulta difficile non pensare a questo ineccepibile creativo, esperto nella creazione di scenografie a rilievo e diorami per i musei, come l’alternativa giapponese a tanti classici creatori d’effetti speciali della Hollywood dei vecchi tempi, in cui tutto veniva realizzato manualmente e non era insolito che un grande successo generasse spettacoli dal vivo, perfetti reimpieghi di tante stupende marionette.
Su una simile premessa nacque da principio, assai probabilmente, il suo Dino-A-Live, un tour nazionale con ottima copertura mediatica in cui l’intera serie dei pupazzi mette in scena incontri e pantomime preoccupanti, incluso l’intervento di attori in abiti militari che tentano a più riprese di contenere sul palcoscenico i mostruosi animali preistorici fuori controllo. Un’ispirazione per simili momenti devono senz’altro essere state le ormai celebri esercitazioni degli zoo giapponesi, in cui guardiani in costume da ippopotami o zebre vengono braccati dai loro colleghi, spesso tra il serioso sollazzo dei presenti (va pur sempre mantenuta un’aura di professionalità). Dal sito ufficiale della compagnia, si apprende che lo spettacolo è animato da tutta una serie di costumi giganti: il tirannosauro lungo ben otto metri dal suo muso alla punta della coda, due giovani allosauri (Allosaurus fragilis) alla misura naturale di sei metri e uno stegosauro, che si tiene a specificare: “Essendo un erbivoro, spaventa meno i bambini e viene spesso accarezzato”. Menzione a parte per la coppia di tute-Velociraptor, ispirate alle creature più temibili del film Jurassic Park, la cui effettiva esistenza pregressa è tutt’altro che dimostrata. I fossili usati come fonte d’ispirazione infatti, secondo quanto successivamente dimostrato, erano piuttosto appartenenti a delle creature simili ad uccelli, con una copertura completa di piume e volte addirittura un becco utile a ghermire la preda. Bestie vissute, inoltre, a qualche decina di milione d’anni di distanze dai loro celebri colleghi su schermo argentato, ma cosa ci vuoi fare! Il contesto cinematografico è anche frutto di un certo grado spettacolarizzazione.
A concludere l’offerta della On-Art, un grande triceratopo gonfiabile denominato Balloon Dino, affittabile su richiesta e persino costruito in serie, in versioni però molto più ridotte.
È una questione che trascende il semplice aspetto esteriore. Pensare che simili giganti, oggi ecologicamente impossibili, un tempo abbiano davvero camminato sulla Terra! E se pure molti scettici potrebbero giustamente dubitare dei dettagli, della forma effettiva di questa o quella specie così faticosamente ricostruita a partire da un mucchietto d’ossa consumate, una cosa resta certa: a QUALCOSA o QUALCUNO, quei resti sono appartenuti. Con le piume o senza. Ed è forse proprio il grammo d’incertezza, che indubbiamente permane in merito all’essenza di simili mistici masticatori, a connotare maggiormente l’entusiasmo di chi guarda dal Giappone verso la Preistoria.