Fiori di Burma con gli occhi e sei zampe per saltare

Flatid Planthoppers

L’entusiasmo dello zoologo è palpabile, persino contagioso. Ross Piper, studioso affiliato allo Smithsonian Channel dell’omonimo museo, era giunto secondo il titolo per una nobile missione: (to) chase tigers! Dare la caccia, se così davvero si può dire, al più nobile e spettacolare dei felini, una creatura celebrata nelle opere letterarie e cinematografiche di tre dozzine di culture. Inoltrandosi nelle giungle della Repubblica del Myanmar con la sua troupe, laggiù tra il Bangladesh e la Cina, già tendeva le orecchie esperte a percepire il primo suono di due paia d’ingombranti zampe a strisce tra i cespugli. Per trovare invece, grazie all’uso di quell’altro senso, una strana aggregazione di ciuffetti bianchi, come gran fiocchi di neve che si fossero smarriti in prossimità con l’equatore, per l’effetto di una serie d’impreviste circostanze. L’apparenza, infatti, può ingannare. L’apparenza tende a conquistare. Così ridacchia, sogghigna, sghignazza, si scompiscia ed emette quei buffi versi umani simili a un grugnito, che gli americani definiscono col termine onomatopeico guffaws, mentre si china sopra l’incredibile sostanza dei suoi sogni. Non è facile da biasimare: sembra di essere finiti dentro ad un anime di Miyazaki.
Tutti conosciamo, almeno di fama, gli afidi o pidocchi delle piante. Piccoli puntini verdi, che camminano e si lanciano da un tronco all’altro, per estrarre con proboscidi minuscole la linfa dolce della propria breve vita. Sono parassiti e molto spesso disdegnati, nonostante ne esistano 4.400 specie differenti, tra cui soltanto alcune siano in grado di far veri danni, e soltanto per le malattie che trasmettono da una pianta all’altra senza un briciolo di guadagno o d’intenzione. Ne apprezziamo, tra l’altro, gli scarti zuccherini emessi dopo il pasto (non chiamateli escr..) che raccolti amorevolmente dalle api, vengono usati come ingrediente necessario per il miele. Ecco, a quanto pare soprattutto a Burma, non tutti gli afidi sono così piccini.
Ne semplicemente simili a un’informe pulce saltatrice. Piuttosto tali creature, immancabilmente appartenenti al vasto ordine dei Rincoti, presentano una tale variazione di morfologie e colori da essere talvolta definite come i “veri insetti” (true bugs) quasi che migliaia di farfalle e bruchi, coleotteri, formiche e tutto il resto non fossero che l’antipasto offertoci dalla natura, prima di essere introdotti al gusto e la soddisfazione d’incunearsi tra le pieghe cortecciose con mandibole e mascelle specializzate, per mangiare, crescere e…Trasformarsi. In piccole farfalle bianche; purché si abbiano a disposizione i giusti geni!

Emergono, dall’immaginario collettivo, due vie di preferenza nel ciclo vitale degli insetti: la crescita costante, da uno stadio larvale fino a quello definito dell’imago, oppure la completa metamorfosi, che si realizza grazie all’attraversamento della fase intermedia della crisalide. Mentre i Rincoti, nonché nello specifico l’intera famiglia dei Flatidi, più comunemente detti Treehoppers (saltatori d’alberi) hanno la caratteristica di fuoriuscire dall’uovo microscopico già perfettamente formati e con tanto d’ali, soltanto troppo piccoli, oppure temporaneamente deboli, per poterle usare. Pensate alle cicale parte dello stesso ordine, che dopo anche una decade di ibernazione sotterranea sbucano dal suolo tutte assieme, poco prima di spiccare uno degli ultimi dei loro voli. Ma invero ciò significa puntare tutto su di un solo splendido ed estatico momento, l’attimo della gloria oltre il becco predatorio, oppure del disastro senza una speranza di redimere il domani.

Flatid Planthoppers 2

Mentre il Flatide di Burma osservato da Piper, così bianco e trasognato, trascorre la sua lunga gioventù già sotto i raggi vivificatori dell’astro solare, banchettando senza nessun tipo di preoccupazione. L’evoluzione gli ha fornito l’esperienza e le armi necessarie per imporsi e prosperare. La rilevante strategia di difesa dai predatori è duplice, riuscendo a costituire anche la fonte del suo fascino per noi che l’osserviamo: innanzi tutto, la bestiolina vive e si muove in colonia, come del resto molti dei suoi cugini meno esotici, sfruttando l’impulso a vibrare di concerto per sembrare quello che non è (mimetismo batesiano) al punto che alcuni afidi americani, colloquialmente, vengono definiti “insetti boogie-woogie” per il modo in cui si dondolano a tempo con la musica inaudibile della foresta. Secondariamente, soprattutto nel presente caso, indossa l’armatura.
I suoi molteplici filamenti bianchi scarmigliati in effetti non sono dei peli, ma una secrezione di speciale cera epicuticulare, emessa dalle ghiandole tegumentali dell’insetto. Diverse specie di Rincoti ne presentano una loro interpretazione, in grado di palesarsi, a seconda dei casi, come una variante applicata della seta o della lacca. Fabbricata, come nel caso della celebre vernice trasparente in questione, re-impiegando la linfa stessa delle piante tanto amate. Nel caso in cui l’insetto sia in grado di crearsi una corazza più aderente al corpo, piuttosto che così simile ad un soffice fiocco di neve, viene detto coccide, da cui proviene la parola cocciniglia. Simili implementi, tutt’altro che impenetrabili, vengono comunque mantenuti per l’intero stadio giovanile di ninfa, fino al giorno in cui si è ritenuto di aver fagocitato a sufficienza. A quel punto la buffa colonia dondolante, di concerto, getta via le protezioni. Decine di individui, forse nati tutti dalla stessa madre (e/o padre, visto che alcuni Rincoti sono in grado di effettuare la partenogenesi) spiegano le proprie ali, spiccando via nell’aria in cerca di altrettanti nuovi tronchi da infestare, banchettando fino all’ultimo dei propri giorni. Nel frattempo, la tigre faticosamente arranca, sperando di trovare anche oggi la sua cena.
La prosaica visione collettiva che si ha di simili creature, tutt’altro che ben volute, si rispecchia nel fare spiritoso dell’inviato dello Smithsonian, che ci scherza e li fa saltellare via con versi ridacchianti.  L’unica menzione celebre dell’insetto è attestata nel film di Hitchcock, Marnie (1961) in cui durante una scena chiave, vengono descritti dal marito della protagonista: “In Kenya c’è un fiore molto bello, per certi versi simile a un giacinto. Chi dovesse incautamente toccarlo, scoprirà che questo non è affatto un fiore, ma un insieme di centinaia di minuscoli insetti chiamati Flatid Bugs. Loro sfuggono agli occhi degli uccelli affamati vivendo, e morendo, nella forma del fiore.” Tipico dialogo da luna di miele. Ciò che sarebbe venuto dopo nello sviluppo della trama non è difficile, né piacevole da immaginare…

Scolops sulcipes
Lo stadio adulto di un Flatide saltatore – Via

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