Scaglioso e silenzioso, rapido e gioviale; strisciando faccia a terra sulla sabbia della palude Finca Las Tilapias, si avvicina di soppiatto al suo lucertolone. Siamo in Costa Rica, presso la piccola città di Siquirres, e lui è Gilberto Shedden detto Chito, l’unico individuo della storia che sia stato in grado di addomesticare un coccodrillo. Almeno, intendendo questo termine nel senso maggiormente realizzato: non siamo qui al cospetto di qualcuno che, semplicemente, si azzardasse a porgere il mangiare all’animale innanzi a un pubblico trasecolato (anche se talvolta usava fare pure quello) né di un folle che, tra sguardi allucinati, mettesse la propria testa nella bocca del dragone (benché: neanche ciò si fosse risparmiato, sempre per il sollazzo dei turisti danarosi) bensì di un vero e proprio rapporto d’affetto reciproco durato per ventidue anni, durante i quali l’individuo in questione si è sposato, ha messo su famiglia, è diventato una celebrità. Si è giovato di una nuova fonte d’introiti tutt’altro che trascurabile, godendo nel frattempo di una splendida e sincera amicizia con la presupposta belva del boschetto di mangrovie. Mentre il coccodrillo, allegramente, si ingozzava di pesci, coccole e fama largamente inaspettata. Non sarebbe dunque giusto affermare, nel prendere atto di una simile correlazione interspecie, che sia stata largamente benefica per entrambe le parti coinvolte? E non sarebbe bello, dall’oggi al domani, conoscere anche noi un mostruoso dio dell’acquitrino, da accarezzare, abbracciare e sbaciucchiare….
In questo estratto ufficiale del documentario Touching the Dragon, realizzato nel 2012 con la regia dei fratelli sudafricani Craig, il rinomato cameraman subacqueo Roger Horrocks si approccia all’arduo argomento da un’angolazione inusuale, che vorrebbe presentarci il buon Chito come l’ultimo depositario di una tradizione sciamanica ormai decaduta, in grado di offrire un metodo infallibile per rapportarsi alla natura. E nel corso di una serie di interazioni, condensate in un crescendo di sequenze preoccupanti, ci riassume e dimostra la storia singolare del coccodrillo in questione, noto con l’eloquente appellativo di Paco, che significa letteralmente “bel ragazzone” o “forzuto”. Tutto ebbe inizio, a quanto pare, nell’estate del distante 1989, quando l’allora trentaduenne Chito, in viaggio lungo il fiume Parismina, scorse ai margini del suo sentiero il giovane rettile, ferito alla testa dal colpo d’arma da fuoco di un agricoltore, che stava proteggendo i suoi armenti dalla fame incontenibile della creatura. Difficile biasimarlo. Le circostanze esatte dell’episodio restano largamente nebulose, benché sia chiaro il seguito: la futura celebrità locale, impietosita dalla bestia, la portò via con se per adottarla temporaneamente, e nel corso di alcuni mesi la nutrì e curò, fino a un completo ristabilirsi del suo stato di salute. Quindi, considerando la realizzazione naturale del coccodrillo, tentò più volte di liberare l’adorato Paco in zone meno battute dal consorzio civile, per poi ritrovarlo ogni volta, impossibilmente, sulla veranda della sua bicocca, mentre aspettava il pesce quotidiano. Ora, non è esattamente chiaro quanto l’operazione fosse stata gestita in modo tecnologico e professionale. Una volta messo un dinosauro di 450 Kg sopra un camioncino e portatolo a qualche chilometro di distanza, riesce difficile immaginarsi la sua massa considerevole che corre lungo l’autostrada, tenendo la destra fino a casa del suo padroncino beneamato. Però è un’immagine poetica ed è anche giusto, alla fine, che la fiaba venga intrisa di un briciolo leggiadro di magia.
Così lo ritroviamo, in quel giorno di circa tre anni fa, con il visitatore proveniente da oltreoceano, l’Horrocks coraggioso, nonché meritevole portatore della classica giacca coloniale, un simbolo condiviso con altri celebri esploratori del mondo degli animali. Su tutti il compianto e mai abbastanza celebrato Steve “Crocodile Hunter” Irwin, suo collega nella terra dei canguri. Senza entrare nello specifico, basti considerare che una buona parte del documentario Touching the Dragon è facilmente reperibile su YouTube con qualità variabile, grazie a diversi utenti incoraggiati dalle leggi internazionali sul fair use.
E merita davvero di essere guardato: la sequenza inizia con il corrispondente sudafricano in questione che raggiunge Siquirres, per incontrare “casualmente” una ragazza che aveva subìto, giusto qualche anno fa, un pericoloso attacco da parte di un coccodrillo non meglio definito (non sembrerebbe essersi trattato del nostro Paco). Ne mostra i segni sul braccio e poi si offre, con estrema cordialità, di presentare alla troupe televisiva proprio l’uomo che intervenì per salvarla, gettandosi senza nessuna esitazione nelle acque masticatrici di Las Tilapas, la vicina palude artificiale, risultante dalle operazioni di bonifica dei campi coltivati. Si trattava, neanche a dirlo, del nostro eroico Chito il quale, che imbarazzo! Proprio in quel momento, era intento a fare il bagno con il ruvido verdone, l’amico di tante avventure umide e stranamente mansuete scorribande.
Il coccodrillo americano è sostanzialmente diverso da quello classico dell’Africa, tanto spesso mostrato nelle acque del Nilo vivificatore. Tanto per cominciare, ha un muso più stretto, fatto per nutrirsi prevalentemente di pesci e altre creature acquatiche, come tartarughe, rane, granchi o molluschi di passaggio. Si potrebbe quindi affermare che non abbia quell’istinto naturale ed innato, tanto spesso messo in evidenza nei film d’avventura, di balzare fuori dai flutti come un pupazzo a molla, per ghermire grossi quadrupedi o scimmie senza peli. Nonostante questo, simile creature sono mangiatori d’opportunità, esattamente come gli orsi, e non è affatto raro, nel caso di periodo particolarmente sfortunati, che la fame li spinga in territori abitati dai vicini umani, per cacciare gli animali domestici o i loro stessi proprietari. Non si tratta, insomma, di un animale con cui scherzare, soprattutto considerata la semplicità del cervello rettiliano. Ci sono diverse opinioni in merito al fatto che un’iguana, un camaleonte, o qualsiasi altro tipico abitante dei terrari, possano in effetti riconoscere il padrone, piuttosto che accogliere con relativa gioia la semplice mano che li nutre. Chito, dal canto suo, non aveva alcun dubbio: il suo Paco ricercava non soltanto la presenza, ma addirittura il contatto diretto con l’amico, che per questo non mancava mai d’immergersi nella palude quotidianamente, per giocarci come fosse un cagnolino (qui Horrocks cita, con ricerca televisiva della suspense, i molti casi in cui simili storie sono finite molto male, vista la naturale imprevedibilità dei coccodrilli). Nel finale della sequenza, addirittura, il folle documentarista si mette in costume da bagno e tenta anche lui di avvicinarsi a Paco, sotto l’attenta supervisione del padrone. Dopo pochi minuti, l’idea viene abbandonata: qualunque sia il fluido mistico che consentiva a questi due di essere tanto uniti, non era trasferibile a terze persone.
Avrete a questo punto notato che stiamo parlando dell’insolita comunione animalesca al passato: questo perché purtroppo, pochi mesi dopo la realizzazione del documentario sudafricano, l’adorabile coccodrillo è deceduto per cause apparentemente naturali, ricevendo un funerale particolarmente struggente, tra la presenza di tanti critici dei tempi antecedenti, improvvisamente privati della principale fonte di guadagno cittadina. La sua vita, relativamente lunga e movimentata, non ha raggiunto i vertici di longevità di questi mostri preistorici, che potrebbero raggiungere facilmente, secondo alcuni studi, anche i settant’anni di età. A margine della questione, qualcuno afferma che furono proprio i danni riportati al cervello, per il colpo sparato dall’agricoltore della sua gioventù, ormai quasi trent’anni fa, a rendere Paco insolitamente pacifico, accorciando tuttavia il tempo a sua disposizione su questo pianeta. Supportare con la certezza dei fatti una simile disquisizione, tuttavia, sarebbe veramente un sacrilegio. Verso la natura, lo sciamanesimo sudamericano e perché no, il concetto stesso d’amicizia pelle-a-scaglie, sulla quale tanti erpetologi sarebbero disposti a scrivere un trattato.