Il mercato thailandese attraversato da una ferrovia

Maeklong Train

La prima volta dev’essere stato memorabile. È relativamente facile determinare il corso degli eventi, fatto salvo il demone imprevisto dei dettagli. C’era in quel particolare luogo, fin da tempo immemore, un grande spiazzo ricavato tra i palazzi di Samut Songkhram. Siamo in una ridente cittadina che getta la sua ombra sulle acque del Mae Klong, principale fiume della regione di Kanchanburi. Proprio quel corso d’acqua, per inciso, che Hollywood avrebbe in seguito ribattezzato Kwai, fischiettando beatamente, tanto per farci un ponte e dopo pure un film. Cosa importa, in fondo, del vero toponimo locale? Così il popolo degli abitanti, passeggiando, attraversava di continuo un tale prato, riuscendo a trasformarlo, con il tempo, in un fondamentale punto di ritrovo. Finché qualcuno, proveniente dalla sua fattoria nella campagna, portò lì la frutta dei suoi alberi, il riso e qualche stoffa colorata. Presto furono davvero in molti ad imitarlo. La voce si sparse in lungo e in largo: c’era un nuovo mercato, variopinto ed eccitante, lì nel mezzo del centro abitato, via dagli alberi e dal fiume turbinante su cui giunche, chiatte ed altre imbarcazioni si affollavano, per quell’altro celebre ma più antico, la fiera galleggiante di Amphlawa.
Ci sono luoghi in cui il progresso arriva tutto assieme, all’improvviso, spinto innanzi dal bisogno percepito di modernizzarsi. Tale approccio è attentamente istituito, per la prassi, da uno sforzo immane che percorre i molti campi contrapposti della collettività. Pensate, ad esempio, al Giappone del 1800. Mentre in altri luoghi, invece, si procede per gradi e con estrema attenzione, selezionando caso per caso ciò che va mantenuto in vita quotidianamente, mentre tutte quelle altre usanze o pratiche che hanno fatto il loro tempo, e siano dunque celebrate nei musei o nella letteratura. Possibilmente, solo e unicamente lì. Pensate alla Cina del 1900. Ma ecco, la Thailandia segue un’altra diramazione di quel grande corso. Laggiù nella penisola, dove una stretta striscia di terra si protende verso la Malesia e tutte le altre isole del mistico Sud-Est, in bilico tra due dei golfi più grandi al mondo, la tecnologia si mischia con le tradizioni senza soluzione di continuità. Non è un caso, né un’affettazione lirica di qualche autore, se le composizioni fantascientifiche sull’immediato futuro trovano tanto spesso l’ambientazione proprio in simili località. Cyberpunk: l’unione inscindibile tra l’uomo e il mondo della tecnologia, di per se stessa fonte di nuovi equilibri tra i rapporti meta-prismatici della derelitta società, ineguale (così la corrente è battezzata da quel movimento giovanile degli anni ’80/90, ribelle per definizione). Uno stile di pensiero in cui il mondo della virtualità, si dice, troverebbe sfogo grazie a impianti tecnologici totalizzanti ed invasivi, nel corpo umano come negli spazi del mondo reale. È invero possibile, che un tale mondo si stia palesando gradualmente, tra gli alti palazzi di vetro e cemento di Bangkok. Mnetre è invece certo, nonché pienamente dimostrabile, che ad appena 60 Km dalla capitale, siamo già nel pieno di una differente fase. La stagione del Trainpunk.
La vita del mercante viaggiatore, fin da che lui pratica quel suo mestiere, è soggetta alle connotazioni problematiche del mondo. Può bastare uno scroscio di pioggia, nel momento maggiormente inopportuno, per sovrascrivere l’ora di punta, cancellando innumerevoli occasioni di far soldi. O un ufficiale particolarmente puntiglioso, di passaggio con la Luna di traverso. O lo sciopero dei mezzi pubblici, naturalmente, salvo casi assai particolari?!

La ferrovia del Mae Klong, grossomodo parallela al vasto fiume, venne completata su decreto reale attorno al 1905, come parte dell’aggiornamento delle infrastrutture imposto a margine dell’accordo anglo-siamese, la presunta apertura verso l’Occidente. Fu questo un simbolo, assieme a molti altri, dell’inizio di un periodo di attriti che avrebbe portato, nel giro di appena una generazione e mezza, al predominio militare dei rivoluzionari sotto la guida del ministro Plaek Phibunsongkhram. Quindi, nel frattempo, tanto vale prendersi l’ingombrante anaconda di ferro, carbone e fumo, fatto passare proprio in mezzo alla città…. A voi, non avrebbe dato un po’ fastidio? Ci sono luoghi in cui le cose si fanno solo in un particolare modo. Non per una ragione specifica, ma perché si è ereditata, assieme a tutto il resto, quell’usanza priva di un significato aggiunto a quel classico: siamo venuti prima noi, quindi abbiamo il diritto, la sacrosanta precedenza. Di restare e vendere le nostre merci, nonostante tutto… La prima volta. Immaginatela: un mercato thailandese, forse anche più della sua controparte europea, è un vero vortice di sapori, colori e sentimento. Il rosso del frutto del Drago, le sagome puntute del Rambutan e dello Ngho. L’odore pungente del gigantesco durian, pomo maleodorante degli dei. Tutta quella gente, i venditori ed i visitatori, scacciati in malo modo dagli ufficiali della ferrovia, affinché i loro lavoranti, nel giro di un febbrile pomeriggio, potessero disporre traversine e i fecondi profilati di metallo, quei binari con la forma di una doppia T sovrapposta. Perché strano a dirsi, non ci vuole poi così tanto tempo. Terremoto e tram-vata?

Maeklong Train 2
Mmmm, la fuliggine dona tutto un’altro sapore ai frutti del Guava!

Ritrattosi alla maniera di un colossale anemone di terra, dunque, il mercato si era probabilmente ricostituito ai margini della sua vecchia sede deputata, forse più piccolo, certamente carico di un senso di rancore (perché la folla, in tali casi, facilmente può essere individualizzata) per la dura strada costruita in mezzo al suolo della sua esistenza. Diversi giorni, forse settimane, passarono senza nuovi eventi. Una ferrovia non si completa nel giro di qualche giornata né la polizia civile, per quanto pronta a rispondere ad ogni evenienza, non può davvero far la guardia a tanti chilometri di duro metallo, la nuova arteria dei trasporti e dell’immagine governativa. Così, gradualmente, i venditori ritornavano giorno dopo giorno, con tutti i loro banchi, i carretti e i larghi parasole, quegli ombrelli che tradizionalmente vengono chiamati Rom, liberalmente distesi sopra l’area deputata per il passaggio dell’ennesimo presunto re dei Naga, il dio-serpente qualche volta amico, altre nemico dell’umanità. All’altro capo della disputa, forse suo malgrado, c’era lui. Un conduttore, il primo apripista della più bizzarra consuetudine nel mondo delle ferrovie mondiali. Un individuo ragionevole, si può ben dire, per lo meno a sufficienza per capire come, nonostante il suo carico di passeggeri, fosse il caso di andar piano. E superato il passaggio a livello della possibile discordia, far suonare la sirena, mille o più volte, preannunciando il suo passaggio. Seguì un frenetico turbinìo d’operatività, mentre i venditori ritiravano dal suo passaggio i loro preziosi averi e solo successivamente, quasi come in un ripensamento dell’ultimo secondo, loro stessi, esq.
Potevano, quindi, succedere solo due cose: 1- Che i venditori, preoccupati per gli incidenti potenzialmente causati della loro passiva resistenza, si ritirassero per vendere, a partire da quel giorno, in un qualche lido meno periglioso. 2- Che la compagnia nazionale delle ferrovie, colpiti da una simile convinzione, decidesse di ricostruire i suoi binari altrove (ok, questa era davvero poco probabile). Di sentiero ne fu scelto, invece, un terzo: far finta di niente. Dopo il passaggio del treno, gli ombrelli, i carretti e tutto il resto, ritrovarono immediatamente la precedente collocazione. Il conduttore neanche fece rapporto. Purissimo Trainpunk.
Fino al giorno e l’ora successiva, di quel confronto non-confronto, nell’attesa di una guerra che non giunse mai. Oggi, in quello che viene comunemente definito il Talad Rom Hoop (mercato degli ombrelli che scappano) passano fino ad otto convogli al giorno, con gli addetti specializzati che di continuo smontano e rimettono in posizione le essenziali coperture, unica difesa contro il sole cocente di simile umide latitudini. È un luogo particolarmente amato dai turisti, ai quali per un’usanza assai diffusa, ogni qual volta se ne presenta la possibilità, i locali ripetono: “Il treno? Oggi non passa.” Eppure passa. Tutte le volte.

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