Uno di quei video che ti ritrovi a guardare per caso, durante una mattina uggiosa di fine gennaio, e restano per mesi intrappolati presso un angolo sperduto della mente. “Strano.” Eppure, ce ne sono tante al mondo…Forse non te ne interessi più di tanto. Magari non verifichi con Google o Wikipedia, armi e bagagli al seguito, il motivo e l’effettiva logica di ciò che hai visto. Ma da quel momento, il tuo mondo è differente. In modo, s’intende, estremamente POCO significativo: perché non è probabile, anzi neanche possibile, che tu giunga presto o tardi fin laggiù, presso la cittadina di Henrietta, distretto metropolitano di New York, Istituto Tecnologico di Rochester (RIT) dove i giovani studiano operosamente. Chini sui libri, alla tastiera dei computer, fino all’annichilimento di quella risorsa assai preziosa e certe volte rara: il tempo libero per divertirsi. O mettere assieme l’invenzione di una vita, il proverbiale fulmine nella bottiglia. La creazione digitalizzata frutto di sapienza e goliardia… Poco diversa, insomma resta, la tua vita. Però, in modo stranamente significativo: perché allora ti convinci vagamente (a meno di pensarci troppo a fondo) che si, è possibile. Si è verificato. Esiste una scala che dopo essere salita per sei metri, ritorna indietro su se stessa, alla maniera della chiocciola di un ghirigoro. È uno strano fenomeno che in qualche modo affascina la mente. Ci sono pure i testimoni! La bizzarra creazione audiovisiva in questione, creata nel contesto del RIT Festival 2013, un evento dedicato alla creatività e alle invenzioni degli studenti o dei loro molti amici, prende la questione molto alla lontana (si consiglia di saltare i primi due minuti). Un uomo col microfono e la telecamera cammina per il campus, chiedendo a ciascuno degli astanti “Ehi tu, conosci la Scalinata Escheriaaana?” Poteva trattarsi del classico incipit psico-virale, affine a quello di un passante che cammina in mezzo al pubblico di una gran piazza, e indicando il cielo dice: lì c’è un UFO, finché tutti non iniziano a vederlo. Poteva, dico, perché la reazione media degli intervistati è un qualcosa in linea con: “La cosa? Esc-sc-sc-sherchosa-che?” (Gli incisori e i grafici olandesi del ‘900, a quanto pare, non fanno parte del programma di lezioni americano). Finché all’improvviso, eccolo qui.
Lui, magnifico nei pantaloni kaki e la camicia bianca, che rigido sul pianerottolo dichiara altisonante: “Ecco, QUESTA è la Scalinata.” Quindi, guarda caso si comincia. L’uomo sale fino al di fuori dell’inquadratura, sparisce e ricompare dall’altra parte della scena, come niente fosse, teletrasportato? Non proprio, ahah, ci spiega lui con far divulgativo e un po’ saccente, eh no, perché questa roba qui non è normale, bensì, Escheriana! Si tratta, spiegansi, dell’opera un tempo celebre dell’architetto filippino Rafael Nelson Aboganda, il quale, giocando sull’illusione ottica di un non meglio definito gioco di luci, avrebbe dato i natali ad un tale bizantino diabolismo. Perché? Perché no? Perché ne aveva voglia (affari suoi).
Forse poteva funzionare un po’ come le cosiddette “strade gravitazionali” in cui gli oggetti sembrano rotolare verso l’alto per l’effetto del paesaggio circostante. Però fermiamoci un secondo, aspetta… Visitando regolarmente un grande numero di siti Internet creati con il materiale fornito dagli utenti, si giunge gradualmente alla conclusione che se una cosa sembra poco probabile o non ha una spiegazione chiara, verrà puntualmente fatta seguire da un fiume interminabile di parole, diagrammi, dimostrazioni para-scientifiche più o meno vere. Il che non è sempre un’assoluta garanzia di buona fede. Però è vero l’esatto contrario: se un fatto è misterioso e tale resta, per il preciso volere di chi ce lo sta presentando, puoi star del tutto sicuro che la sua sincerità non raggiunga l’apice della questione. Il che, da un certo punto di vista, è esattamente quello che succede con la bizzarra storia di questa scalinata, orgogliosamente definita (a posteriori) un “esperimento sull’auto-suggestione del pubblico digitale” però fatto, questo invero occorre riconoscerlo, in modo estremamente convincente, sia dal punto di vista tecnico che della recitazione degli attori. E dotato, per di più, di un aggancio molto interessante al mondo della grafica moderna!
Difficile immaginare questo mondo senza i molti disegni e le incisioni a mezzetinte di Maurits Cornelis Escher (1892-1972) l’uomo che seppe coniugare alla perfezione matematica e creatività visuale, fantasia e filosofia. Le sue opere più famose, quasi tutte in bianco e nero, precorsero molti dei concetti del pensiero virtuale. L’opera citata dagli istrioni del RIT in modo particolare, quella conturbante scalinata di Penrose che non aveva inizio né fine, ma un susseguirsi di persone che la percorrevano tranquillamente, senza mai raggiungere la meta, potrebbe rappresentare l’impegno quotidiano di tanti aspiranti alla fama sul web, che spingono ogni giorno per far crescere quei numeri senza significato, dei mi piace e dei retweet. E che dire della mano che disegna la sua consorella (1948) la quale a sua volta fa la stessa cosa solo apparentemente illogica, in un turbinìo infinito di feconda ricorsività…Potrebbe addirittura rappresentare, con l’occhio reso sapiente dal senno di poi, la prima manifestazione dei memes (detto all’inglese) le immagini buffe, i fotomontaggi insensati del web, in cui grazie all’opera collaborativa della maggioranza, un singolo cane giapponese, una ranocchia mal disegnata, un bimbo che sorride sulla spiaggia, si trasformano in infinite e talvolta spaventevoli declinazioni.E siamo forse tutti uccelli (pesci) e pesci (uccelli) intabarrati nella trama di una mistica testura, come quella dell’Alhambra di Granada che ispirò, secondo l’aneddoto, un giovane M.C. nella sua lunga serie di tassellazioni, incastri d’animali, demoni e creature fantasiose.
Potreste infine dubitare che l’effetto di un simile gigante, così tanto singolare e lontano dal senso comune, possa essere andato perduto nella manifestazione più tristemente contemporanea del suo mezzo espressivo. Ovvero, la pubblicità. Però pensiamo, per un attimo, all’effetto Droste; un nome che si riferisce alla maggiore marca di cacao da bere dell’Olanda coéva ad Escher, che in una seminale composizione grafica rappresentava una donna, in abito monastico, con in mano un vassoio completo della confezione del prodotto. Che sopra raffigurava la donna, in abito monastico, con in mano un vassoio completo della confezione…E così via, tendente all’infinito. Ecco, lo stesso effetto compariva nell’opera galleria di stampe dell’autore qui citato. Forse un plagio, però molto significativo… Tutto è collegato, soprattutto l’intento meta-referenziale delle immagini verso se stesse. Finché un giorno guardi verso il Polittico Stefaneschi di Giotto (primo esempio noto dell’effetto) e ti rendi conto che la scala che hai salito, tuo malgrado, ormai si chiude su stessa. Ormai, non puoi tornare indietro. Tanto vale, allora, mettersi a inventare strade nuove.
– Link alla pagina di Artsy.com con un catalogo delle illustrazioni di M.C. Escher