DING-A-LING-A-DING, dingdingding. DING-A-LING […] E così via, per 10 miliardi di volte all’attivo, da prima del primo volo dell’uomo fino al giorno in cui ha posato piede sulla Luna e poi di nuovo, per lo stesso tempo ripetuto. Ve lo immaginate? 175 anni a risuonare, dentro quella teca vetrosa nel foyer. E tutto questo grazie all’elettricità! Solamente quella… Tra le più semplici e famose leggende metropolitane, i classici racconti del sentito dire, figura quella della lampadina immortale. Ed è un esempio alquanto significativo, perché esattamente come le altre narrazioni di categoria, si trova strategicamente in bilico tra il poco probabile e tutto ciò che non è facile da dimostrare, e conseguentemente, neanche da smentire. Iniziava, in genere, con un trasloco: una famiglia come tante, magari di un amico di un amico (raramente tali storie sono attribuite ai propri prossimi parenti) che viene a vivere in città o in periferia. Qualunque sia la tendenza maggiormente diffusa del momento, nel particolare agglomerato che si è scelto in qualità d’ambientazione – Soltanto New York era sempre stata associata ai coccodrilli nelle fognature, una rara e irripetibile esclusiva. Forse perché, semplicemente, era la pura ma fangosa verità? Ad ogni modo, la situazione del supremo filamento di tungsteno viene fatta partire rigorosamente dal passato, anche diverse generazioni addietro: “Amico, non sto scherzando. Ti dico che gli Smith sono venuti a Cleveland nel 1920. Il nonno, che faceva l’insegnante, giurava di non aver mai toccato il lampadario del salotto…” Già, la luce. La forma più pura e imprescindibile dell’energia, eppure soggetta, anch’essa, ai limiti delle tre Leggi. Primo, n.s.c.e.n.s.d, ma tutto si trasforma…Che è come dire: la distinzione tra l’uovo e la gallina, non esiste perché l’uno fluisce dall’altra e nel contempo, viceversa. Secondo: qualsiasi sistema che svolge una mansione è soggetto all’avanzare del disordine e dell’entropia…Dunque un pollaio, se lasciato ai propri meccanismi di rinnovamento, presto o tardi finirà il becchime. Dandosi al cannibalismo. Terzo: non c’è degenerazione in un ente perfettamente statico mantenuto a zero gradi Kelvin, come per esempio una struttura cristallina (pollo firmato di Swarovski) mantenuto nello spazio di una camera di contenimento sperimentale (frigorifero di casa). Eppure ascolta, persona che ho incontrato casualmente ma che ho voglia di stupire: “Sono stato a scuola con il figlio-del-figlio-del-cognato-del-cugino del Dr. Smith in persona e lui giurava, ti assicuro, che la lampadina non l’aveva mai cambiata. Eppure quella funzionava, fin da quando non si sa!”
Il problema dell’eternità e che è un tempo veramente molto lungo. Durante il quale, anche in situazioni perfettamente ideali, la probabilità del sopraggiungere d’eventi sfortunati cresce in modo esponenziale. Finché non si assesta, in un tempo variabile tra la giornata e i 15 millenni, la percentuale dell’intero spettro del possibile, in altre parole: tutto muore, prima o poi. Persino nel caso, assai diffuso, in cui non fosse stato affatto vivo. Ne sono un esempio le innumerevoli rovine, tutti quei cumuli di macerie attentamente preservati, perché antichi e non perché ancora utili o perfettamente funzionali, per lo meno allo stato attuale delle cose. Terremoti. Guerre. Carestie. Disastri apocalittici. Lievi sbalzi di tensione. Una lampadina, normalmente, non può sopravvivere a chi l’ha comprata. Però in effetti, c’è un barlume di salvezza.
Pur non raggiungendo il tempo senza tempo, le creazioni della scienza possono tendere al futuro, con un grado di successo estremamente ragguardevole, che pare sfidare i sopra detti tre princìpi. Tutto quel che serve è l’intenzione, più la giusta istituzione. Qualcuno che sia in grado di testimoniare, da un podio svettante ed autorevole, non certo per sentito dire: diciamo, per esempio, un’università. Nominiamo, perché no, l’antica e ponderosa, la munifica e la grande, laggiù nell’Oxfordshire.
Il nome corretto e completo sarebbe “la batteria secca di Clarendon” non dal nome del suo costruttore (ignoto) ma da quello del laboratorio presso cui è esposta dal 1840, a seguito di un acquisto in blocco di materiale scientifico da parte del fisico Robert Walker, un insegnante e chierico facente parte dell’eterna rivale di Cambridge, singola organizzazione per l’educazione superiore più antica nell’intero mondo anglosassone. Senza pari come l’edera di cui si vestono i suoi muri, ma con molte valide e importanti concorrenti. Non dev’essere del resto un caso, se i tre esperimenti di più lunga durata al mondo appartengono, ciascuno a partire da finalità differenti, ad un’istituzione universitaria di spicco nella sua regione: 1 – La goccia di bitume di Brisbane, caduta finalmente giusto l’aprile scorso (io c’ero) 2 – L’orologio fatto funzionare grazie alle variazioni atmosferiche del dipartimento di fisica dell’università dell’Otago (Nuova Zelanda) 3 – Questo gizmo demoniaco, iscritto al Guinness dei primati come batteria di più lunga durata nella storia dell’umanità. E con ottime ragioni! Siamo di fronte, dopo tutto, a uno dei pochi dispositivi in grado di funzionare ininterrottamente per più di un secolo e mezzo, senza che nessuno dovesse prendersi l’incarico di caricarlo, senza manutenzione o neanche un occasionale collegamento alla rete elettrica locale. La doppia campanella collegata e questo sistema di batterie, a quanto raccontano, si sarebbe fermata soltanto un paio di volte, a causa di un’eccessiva umidità dell’aria. Stando a Wikipedia c’è stato anche un momento, nella storia accademica internazionale, in cui la larga fama di simili dispositivi si dimostrò utile a provare la teoria elettrica dell’azione chimica, soppiantando quella vecchia, ed erronea, della tensione di contatto. Davvero il progresso fluisce per la strada dei giocattoli dei visionari.
Si tratta di un meccanismo estremamente semplice, come tutti quelli destinati a funzionare molto a lungo. Le due batterie secche, anche dette pile di Zamboni dal nome dell’italiano che le inventò nel 1812, sono cilindri fatti con strati sovrapposti di “carta d’argento” (una mescolanza di cellulosa e zinco) ossido di manganese e/o addirittura miele. Strana, dolce inclusione…Ma non divaghiamo. Costrutti del tutto simili a questo furono usati, fino al 1980, nei tubi ottici delle macchine a raggi X o negli amplificatori d’immagine, data la loro esigenza di un basso valore di voltaggio. Nella versione oxfordiana in oggetto, la cui esatta composizione resta largamente sconosciuta, i due cilindri sono stati ricoperti da uno strato di zolfo liquido ri-solidificato, con la funzione di proteggerli dall’umidità atmosferica, vecchia nemesi di questa tipologia di batterie. Sotto ciascuna pila, come dovrà ormai essere del tutto chiaro, è stata posta una campana d’ottone, mentre un piccolo globulo magnetizzato, dello stesso materiale, è stato appeso a un lungo filo che dondola liberamente. Ora, essendo i due cilindri collegati in serie, questi generano un debole campo magnetico che attrae il batacchio, quindi lo carica in maniera elettrostatica e in conseguenza lo respinge. Verso l’altra parte, dove avviene, inevitabilmente e ripetutamente, esattamente la stessa cosa, ancora e poi di nuovo fin dall’epoca dell’invenzione del telegrafo. Chiedersi da quale parte abbia suonato per la prima volta la campanella di Oxford, destra oppure sinistra, Atlantico o Pacifico, è futile, esattamente come la celebre domanda in merito all’uovo-gallina-uovo-ugugugugu […] di cui sopra.
La scienza è chiara e lapidaria: nulla può durare per il ciclo senza fine degli eoni. Persino il moto dei pianeti, quell’eterna macchina del cosmo, soffre l’effetto dei venti stellari, degli impatti meteoritici, del progressivo riscaldamento delle atmosfere. Nessuna lampadina di oltre un secolo a questa parte può ardere ininterrottamente fin dall’epoca della sua prima costruzione e anche la nostra beneamata campanella, a ben guardarla, oscilla in modo sempre meno percettibile, producendo un suono debole che presto svanirà. Ma se “Un diamante è per sempre” allora uno scienziato può sognare. E c’è sempre zolfo, miele e manganese, a questo mondo, per tentare di riscrivere il creato.