Kuru kuru! Kuru kuru! Quella vecchia volpe è un cuoco che ha girato, eccome. Ha girato il minestrone, ha girato il risotto, il pollo sull’arrosto, ha mescolato la polenta e le verdure. Ha girato anche il Giappone! Finché trovansi, per puro caso, la perfetta soluzione: un pentolone, attentamente costruito su basi termodinamiche, per praticare tale gesto in assoluta autonomia. Eccolo mentre si muove. Eppure, allora, evviva Galileo! Liberati dalla schiavitù dei broccoli, dal giogo dei carciofi, grazie all’invenzione titolare si potrà tornare alla cucina della prima volta pomeridiana, quando l’entusiasmo ci guidava, nel creare, invece che il dovere verso gli affamati e la fatica dei mondani. Sarebbe questa un po’ la chiave del problema, un lucido lumino in fondo al tunnel (carpale) di chi da il principio all’arte faticosa della mescolanza. Ché già l’alchimista nel laboratorio, oppur la strega col suo calderone carico di ali di pipistrello, occhi di serpente, pelli di leopardo, noci macadamia già sbucciate […] etc. etc. Praticavano, ciascuno, il gesto rilevante. Ma su scala differente: il primo con bacchette trasparenti ed alambicchi, per un rapida girata di momenti e aspettative. Per poi sublimare silenziosamente l’agognato risultato, spesso poco stuzzichevole, al palato. La seconda, invece, con un gran bastone o manico di scopa, mentre salmodiava l’incantesimo e il richiamo degli spiriti notturni, fino ai limiti della sopportazione delle orecchie dei presenti, per un filtro caustico e pericoloso. I tempi cambiano e con essi la scienza che si applica al bisogno, vero oppure percepito: così oggi il chimico, per sua prerogativa, ormai dispone di diverse approcci. Fra cui un particolare tipo di bottiglia, dotata di quello che si chiama correntemente lo stir plate, ovvero una piastra magnetica con relativo pillolone di metallo, messo dentro al fluido rilevante, per girare vorticosamente sul comando di un interruttore. Senza mani, senza piedi, soltanto gli occhi e la pazienza di guardare, per un tempo lungo e dopo mescere. L’argento e l’oro degli stolti.
Ma in tutta questa rapida corsa verso il futuro che semplifica, la ricerca continua dell’astrusa migliorìa tecnologica, qualcuno doveva essersi dimenticato del magister più importante in assoluto. Colui che comanda i fuochi dei fornelli, le camere iperboree dei forni a microonde, tutti quei coltelli e le dozzine d’ingredienti. Che offre tutto e in cambio ottiene dai sapienti, giusto una menzione e i complimenti, nulla più. Tanto che il cuoco, nonostante le ottime prerogative, ancora gira con le mani, mano a mano che gli serve e quindi Serve, finché non è pronto il pranzo e poi la cena. Ma che continui a farlo ancora a lungo, è tutta da vedere. Ecce, infatti, Kuru Kuru Nabe, la “Pentola girin girello”. Si tratta dell’ultimo frutto di una mente fervida ed attiva, nello specifico quella di Hideki Watanabe, dentista di Tobe, ridente cittadina presso l’isola di Shikoku, nel Giappone meridionale. Un luogo silenzioso e verdeggiante, piacevolmente temperato. Presso cui dedicarsi, tra una carie e l’altra, ai propri interessi e le passioni più gradevoli che riarrangiare i denti dei pazienti. Così pare, e per inciso, la sostanza del racconto è quasi leggendaria, che un giorno il buon dottore di periferia avesse un buco nei suoi appuntamenti. E un carico appena consegnato di polvere d’alginato, quella sorta d’intonaco impiegato per la realizzazione dei calchi odontotecnici, dal Cairo a Timbuktu. Nonché un bel pentolone da cucina lasciato lì presso la sala d’attesa, nel caso sopraggiungesse un improvviso languorino all’ora di pranzo (non giudicate) Al che lui, L da Vinci del passaggio orale, si mise a realizzare finalmente quella che era forse stata una sua vecchia idea: la colossale impronta scultorea, non di una dentatura con 32 candidi personaggi, uno meno, uno più, ma di una sorta di vortice apposto sulla parte interna del metallico implemento da cucina. Il risultato…
Ah, si, la linea che si chiude su se stessa. È un simbolo che ricorre in ogni luogo e remotissima cultura, inclusa quella giapponese. Uno dei sigilli matematici della natura, tanto riconoscibile allo sguardo ed esteticamente attraente, quanto inquietante per chi ha voglia di trovare mistiche significanze. Nel 1995 Koji Suzuki, il romanziere che aveva inventato il celebre spettro-bambina di Sadako che usciva fuori dal pozzo, già protagonista d’innumerevoli film e cupe dicerie (un po’ come i lucchetti del nostro Moccia, ma con meno vittime innocenti) scelse il termine Rasen – 螺旋 in qualità di sigillo e copertina per il suo nuovo e alquanto terrificante libro. Un insieme di ideogrammi che significa vite, oppure per l’appunto: spirale. C’è una sorta di sensazione, estremamente diffusa nell’ambito nipponico e anche altrove (pensate alla svastica in Europa) che un tale allestimento geometrico possa simboleggiare la caduta, una serie di conseguenze progressivamente sempre più terribili e prive di una se pur remota via d’uscita. Tra il 1998 e il ’99, il celebrato mangaka (fumettista) orrorifico Junji Ito narrerà della disgrazia dell’intera cittadina di Kurôzu-cho, dapprima resa paranoica dal sigillo accidentalmente ricorrente di questa pregna figura, poi letteralmente distrutta, per la sua manifestazione ecologica e spropositata. Vi lascio immaginare di quale fenomeno climatico stiamo parlando…
Ma una tempesta in un barile, si sa, non fa paura. Anzi, se qualcuno potesse davvero asservire la furia della Terra ad una dimensione piccola, privata delle implicazioni distruttive, si potrebbe usare per generare energia pulita per i nostri fondamentali meccanismi artificiali. Oppure, come nel caso dell’invenzione di Hideki Watanabe, farne completamente a meno. Perché è questa, fondamentalmente, la genialità del suo sistema: funziona senza batterie o cavi da collegare alla corrente. È semplice, perfetto. Il contenuto del recipiente girerà, semplicemente per l’effetto del calore che tende a salire e s’incanala in quella sorta d’inserto, una pentola-nella-pentola dotata degli intagli necessari, in quella che non a caso molti chiamano “la pila”. Nella lunga pubblicità in stile infomercial, inoltre, l’entusiastica voce fuori campo spiega, a noi e alla sbadatissima attrice, come un valore aggiunto del sistema sia il modo in cui i residui del cucinato non vadano ad attaccarsi ai bordi del tegame, aspettando di essere faticosamente rimossi con detersivo ed olio di gomito, ma piuttosto si radunino spontaneamente al centro di esso, per essere facilmente riversati fuori. Anche se personalmente, mantengo qualche dubbio sulle intercapedini, giacché i vuoti, da che arcipelago è goccia di lancia nell’Oceano, tendono a riempirsi. E dopo non è facile, per Izanagi, riaverli uguali, lindi e pinti come all’epoca della fabbricazione! Certo, se con la pentola ci cuoci tre broccoli e qualche perlina colorata, questo non sarà mai un problema?! Inoltre, sarebbe opportuno notare come l’inserto in questione riduca sensibilmente la capienza dell’attrezzo, con conseguente inadeguatezza alla preparazione di cene per più di due-tre persone. Altrimenti, guarda: quello è il mestolo, lì c’è il calderone. Non puoi stare comodo e fare le cose in grande stile; o l’una, o l’altra cosa.
La Kuru Kuru Nabe, subito brevettata dal suo furbo creatore, viene prodotta in serie dal gennaio dell’anno scorso e venduta anche direttamente, presso il sito ufficiale rilevante, che purtroppo non riporta altre diciture in lingua inglese che un laconico “We ship overseas!” Evviva il mercato globale…Beh si, visto che esistono le scorciatoie. Amazon americana la importa e spedisce anche verso l’Italia, per il prezzo trascurabile (al momento in cui scrivo) di 134 dollari. Pensate al tempo risparmiato! Alle fatiche non fatte, a tutte le telefonate che potrete portare a compimento, con soddisfazione, mentre si cuoce il chili senza mai attaccarsi, in un vortice di peperoncini e rosseggianti piccoli fagioli, simili ad altrettanti reni estratti dai folletti dell’Hokkaido. Cos’è la vera fame, in fondo, se non attendere nell’assoluta distrazione? Chi guarda l’orologio mentre attende che bollisca l’acqua, invero lo sa bene: non si getta mai la pasta, se non quando è il momento di gettare, la pasta. Giunti al centro della ragnatela, quando il ragno dello stomaco ha già divorato tutte le farfalle…