Se si dovesse descrivere l’impegno creativo di chi fa qualcosa di meritevole dal punto di vista intellettuale, senza basi solide o una sicurezza finanziaria di partenza, il primo campo che verrebbe in mente sarebbe quello delle cosiddette performing arts: suonare musica con l’organetto o con la fisarmonica, naturalmente, richiede un certo studio. Così come praticare la giocolerìa dei birilli turbinanti, benché in entrambi i campi, normalmente, sia possibile mettere in pratica le basi dopo un breve periodo di apprendistato. E chi davvero, tra le genti di passaggio, sa riconoscere la qualità? Ma se vi dicessi che in America, grossomodo dalla metà del diciannovesimo secolo, esiste una pratica d’incidere il metallo, tra le baraccopoli e i rifugi temporanei di cartone?
Il nomade, fin dall’epoca di Gengis Khan, possiede ciò di cui ha bisogno per viaggiare con comodità. Egli ha la sua yurta vasta e piena di tesori, armi e cavalli, vesti nobili ed opere d’arte. Mentre il vagabondo, che non ha fissa dimora per definizione, è anche privo di una vera scelta nel condurre una questione. Senza soldi e senza una famiglia, solo contro il mondo e contro le pulsioni autodistruttive che l’hanno condotto fino a quel punto (praticamente non esistono i barboni ereditari) dovrà sopravvivere in qualche maniera misteriosa. Chiedere l’elemosina è il primo di quei metodi ancestrali, come spostarsi di continuo, dove ancor non ti conoscono, per mendicare un pasto o una serata al caldo di un estraneo focolare, acceso da persone d’animo altruista, se non addirittura: buono. Ma la vita che ti toglie alternative o valide opportunità, nel contempo, può proportene di differenti. Leggete la biografia di un qualsiasi creativo di larga fama ed ottimo buon gusto: quanto spesso, costui, sarà rientrato nello stereotipo che definisce noi “normali”? Quante sofferte conversioni, matrigne malefiche, scorribande e ladrocìni, duelli sanguinosi e conseguenti gravi problemi col papato quelli si, su cui sarebbe meglio non scherzare…Il fatto è che la sofferenza, fra tutti gli stati umani, indubbiamente aiuta l’arte. Produrre un qualcosa d’immanente è il frutto massimo delle proprie ragioni di contesto, moltiplicate per ciò di cui è possibile disporre, nel momento dell’ispirazione. Per questo, sono davvero pochi, i senzatetto che abbiano prodotto un quadro ad olio, una scultura, un lungo e indimenticabile romanzo. Onde produrre cose simili ci vuole la materia prima, oppure, nell’ultimo caso il tempo, che come si usa dire è pari al soldo, ovverosia denaro.
Vile sangue di Mammone, l’abietto demone del desiderio, che fu prima di essere coniato, pezzettino di osso inciso, piccola conchiglia, sassetto bitorzoluto. Il bisogno di facilitare la questione antica del baratto, rendendola più astratta ed efficiente, è un antica problematica della comune società. Finché non giunse la perfetta soluzione: un disco di metallo, attentamente zigrinato, con l’emblema non riproducibile di un…Qualcuno. Generalmente, il re, un dio classico o un qualche loro remoto predecessore/erede. C’è un qualcosa di davvero fastidioso, in tutto questo: gli uomini e le donne condannate dalle sfortunate circostanze a vivere ai margini del mondo, che piuttosto che elevarsi al di sopra di simili questioni, come dovrebbe competergli per predisposizione, ancor maggiormente devono dipendere dal ferro tintinnante. Per mangiare e sopravvivere, finché! Ecco forse la ragione, per cui da sempre un certo senso d’esultante rivincita, questa tecnica per incidere dei piccoli ed affascinanti medaglioni. Chiamata per antonomasia hobo nickel, dall’appellativo statunitense usato al fine di definire, durante la grande depressione, tutte quelle persone che avevano perso la casa, eppure ancora piene di una gran voglia di fare. Lavoravano nei campi, nei cantieri, nelle fattorie o nei porti, ogni luogo, insomma, in cui non fosse necessario un abito pulito ogni mattina e un evidente standing culturale. È importante notare che il termine hobo, per la cultura di quel paese, non è affatto dispregiativo (per quello si usa bum) ma evoca piuttosto una curiosa diramazione del sogno americano, che se ci credi continua pur sempre a regalarti splendide soddisfazioni, nonostante le crudeli avversità. Ma devi crederci!
Fu con questo probabile sentimento nel suo cuore impavido, sotto strati e strati di vestiario newyorkese e con lo scalpello bene stretto fra le mani guantate, che il primo di questi scultori accidentali pensò ben di trasformare Lady Liberty sul trono, ritratta sopra il mezzo dollaro di allora, in una bellezza intenta a usare il candido WC.
Erano prosaiche, spesso satiriche, le prime monete sottoposte al trattamento rilevante. Sostanzialmente questo gesto di alterazione, fondato su una serie di rapidi e precisi movimenti, mirava alla modificazione di uno stato di partenza, come per l’appunto, l’immagine scelta dal governo per proporsi agli occhi dei suoi cittadini, in una figura strana, sinistra oppure carica di sottintesi. Era una sorta di anticipazione della cultura hacker degli anni ’80/90. Abbondavano le allegorie massoniche, i riferimenti alle presunte società segrete che avevano condotto il mondo a scatafascio, i teschi e i mostri ed i gargoyles. C’erano riferimenti politici e religiosi, con figure di monaci, rabbini e sacerdoti. Oppure semplici astrattismi, ghirigori piacevoli allo sguardo, fabbricati assai probabilmente per la vendita immediata a un qualche accidentale mecenate, ben disposto a scambiare i soldi spicci, se adeguatamente lavorati su di un lato oppure entrambi, con un maggiormente gradito ed utile pezzo di carta.
Ma il vero boom di quest’arte avvenne a partire dal 1913, con l’emissione e conseguente entrata in circolo del celebre Buffalo nickel, una nuova denominazione di piccolo taglio, recante su di un lato l’immagine di uno degli omonimi ed imponenti animali, mentre dall’altro una splendida testa di nativo americano, abbastanza grande da coprire oltre il 60% della superficie di metallo. La moneta, fortemente voluta da Abram Andrew, direttore della zecca di allora, fu realizzata dallo scultore di larga fama James Earle Fraser, e viene oggi considerata un grande classico della numismatica statunitense. Secondo molti appassionati, si tratterebbe di una delle maggiori opere della numismatica nazionale, in grado di offrire un grande omaggio al suo paese e soprattutto immediatamente riconoscibile per ciò che è, nonché da dove proviene. Almeno finché qualcuno, con intenti dichiaratamente benevoli, non dovesse rivolgergli contro il suo scalpello sovversivo…
Il Buffalo Nickel era perfetto per gli hobos dediti all’incisione del metallo, addirittura una vera e propria incitazione a mettersi all’opera quanto prima: il grande e chiaro volto di colui che si ritiene fosse il capo Due Pistole Vitello Bianco, l’ultimo della tribù dei Blackfoot (Piedi Neri) presentava lineamenti estremamente adatti ad essere reinterpretati. Lo stesso animale sul retro della moneta, essenzialmente, altro non costituiva che una vera e propria tela informe, in grado di trasformarsi, a seconda del vezzo artistico, in uomo con lo zaino, paesaggi, veicoli… Furono anni di scoperta, simboleggiati da alcune grandi figure chiave. Il maggiore capo-scuola dell’hobo-nickelismo, a quanto ci è dato sapere, sarebbe stato un certo Bertram Wiegand, noto all’epoca semplicemente con l’appellativo Bert, dalle lettere che manteneva intenzionalmente integre nel testo LIBERTY delle monete da lui lavorate. La leggenda vuole che lui avesse un fido discepolo, compagno di viaggi e d’avventure, il quale di nome faceva George Washington (ma tu guarda!) Hughes, eppure tutti chiamavano: Bo. Le loro rispettive opere, a posteriori, ci appaiono estremamente simili nello stile e non è sempre facile capire da chi sia stata realizzata una singola moneta, anche perché queste, tanto piccole ed insignificanti all’apparenza, furono spesso vendute innumerevoli volte, passando da un mercato di strada all’altra, finché non fu impossibile capirne più la provenienza.
La riscoperta accademica degli hobo nickels viene fatta risalire convenzionalmente al 1980, con la pubblicazione di un corposo catalogo ad opera del numismatico Del Romines, il quale incidentalmente riuscì a rimettere in moto la produzione di queste singolari opere d’arte, benché la fiamma originaria fosse ormai spenta da quasi un secolo di freddo e di silenzio. Le monete modificate dei tempi moderni, non più prodotte dagli stereotipici vagabondi, rappresentano spesso figure della cultura pop moderna, come cantanti, attori, politici e personaggi dei videogiochi. L’impiego in laboratorio di strumentazione moderna, come scalpellini pneumatici e sostanze abrasive di vario tipo, permette di raggiungere un grado di precisione e approfondimento costruttivo senza precedenti, con l’autore che spesso, invece di modificare il volto pre-esistente del capo tribale, lo cancella del tutto, per sostituirlo con la sua personale visione creativa. E non è facile capire se ciò sia meglio, nell’estetica del pezzo concluso, oppure una perdita del senso originario, ma una cosa è certa: vedere, a tanti anni di distanza, un vecchio e insostituibile nichelino con il bufalo svanire per sempre è indubbiamente un dispiacere. Anche se ciò che ne nasce, è fluido e barbagliante quanto le correnti imprevedibili della moderna Economia.
Per approfondire: il sito della Original Hobo Nickel Society, con una vasta selezione fotografica di monetine.
1 commento su “Shaun e l’arte numismatica dei senzatetto”