Nell’Otago scivoliamo su slittini senza neve

Luge run

“Benvenuto a Queensland, Nuova Zelanda, dove il sole splende tutto l’anno. Dove il kookaburra lancia il suo canto rauco prima di rubarti una salsiccia, il vento soffia tra gli arbusti ed i turisti sono pronti a tutto pur di divertirsi. Sono 53 dollari, grazie.” Poi si fa da parte, a lato del tornello presso l’area di partenza del circuito quasi verticale. Le montagne frastagliate dell’Otago, propaggine estrema del paese, svettano sopra le acque specchiate del lago Wakatipu. Oppure, forse è l’Hayes… Tutto dipende dal percorso scelto e dalle curve rilevanti, per discendere velocemente dalla cima del Bob’s Peak. Che nome falsamente rassicurante! Qui nell’isola meridionale dell’estate senza fine, dove il gelo che attanaglia è una leggenda da narrare assieme alle altre favole di tolkeniana reinterpretazione, il criterio dei toponimi pare selezionato per tranquillizzare l’animo degli “spericolati” escursionisti: Tooth Peaks, il monte del dente(ino), David Peaks, ehi David come butta? Che dice Jane Peaks?? (Si, c’è pure la consorte) mentre a ridosso delle abitazioni, giù dall’altra parte del gran lago, addirittura sorgono i Remarkables, gli Stupefacenti, ma non come a dire, wonderful, oppure amazing – quelli si, veri superlativi – ma piuttosto un termine morigerato che pare preannunciare l’espressione: “Caspita, c’è una montagna. Ah, però! Saliamoci e facciamo qualche cosa.” Questo pensi mentre molli il freno, visto che hai pagato per la bicicletta e adesso è ora di pedalare. Metaforicamente parlando.
Perché tranquillità non vuole dire inedia, pacificazione non significa fastidio. Scatta sempre un meccanismo, nella mente di chi è giovane ed intenzionato a fare nuovi esperimenti, che dal nulla sa creare l’avventura; il rischio che si corre per divertimento, il senso di sprezzo del pericolo, più o meno controllato, variabilmente conduttivo a strane conseguenze. Chissà chi avrà pensato, per primo, questa straordinaria soluzione alla mancanza di una vera stagione sciistica, nonostante il vento di nordovest del föhn possa portare a inverni alquanto freddi, con la neve che discende fino nella valle abitata e qualche volta lì attecchisce, addirittura. Ma l’anno è lungo e c’è da guadagnarci, pure senza pattini sotto la slitta, ma piuttosto…Con le ruote ed uno sterzo manuale, ah si! Se ti schianti, la colpa è tua. Ecco, guarda qui che roba: questo luge track (percorso per slittino) che ormai stai discendendo da oltre sei minuti, non accenna a giungere alla fine. È stato costruito, infatti, con criteri assai particolari. Prima di tutto è ruvido e asfaltato. Giacché l’approccio estivo allo scivolamento, per sua implicita natura, trae giovamento dagli estremi controsensi. Non puoi davvero curvare, senza l’adeguato grado di aderenza. E qui, seguire adeguatamente il circuito è cosa buona e indubbiamente utile, persino delicata. Scendi, coraggioso. Quanti tornanti, fra il degrado collinare discendente, alla tua sinistra, e il baratro piuttosto preoccupante, dalla parte contrapposta, come Frodo Baggins che affronta il passo di Cirith Ungol con il fido Sam Gamgee, presso la Torre della Stregoneria, verso la sagoma attraente del distante Monte Fato. Ci sono paesaggi, tanto ricchi di spunti attraenti per lo sguardo, da poter condizionare il mondo dell’intelletto e l’intera cultura di un popolo. Pensa per esempio al Tibet, che ospitò il Buddhismo Mahayana delle origini, una religione filosofica fondata sullo splendido infinito, come senza limiti erano quelle valli, all’ombra di montagne sconvolgenti. Ma non è davvero chiaro come sia successo, che il verde magniloquente delle dolci colline neozelandesi, abbia finito per diventare, nell’immaginario collettivo, il simbolo dell’Epica moderna!

 

Luge run 2
All’altro capo del globo: Breckenridge, nel Colorado statunitense. Questa versione della pista per slittini senza neve ricorda maggiormente un circuito per i bob. Viene da chiedersi come riesca ad operare una simile realtà, nel paese in cui anche un piccolo infortunio può fare da preambolo a beghe legali senza fine…

Xena, Hercules, la Leggenda del Cercatore, dai romanzi di Terry Goodkind sulla spada della verità: davvero la Nuova Zelanda può costituire un’ambasceria del regno del fantastico, su questa Terra priva di sorprese sovrannaturali! Non c’è guadagno senza rischio, e questo è vero in capo finanziario, come in quello, più naturalmente attraente, delle esperienze fatte come parte estranea alla pesante vita quotidiana. Il procedere dei minuti è fatto di momenti di possibile divertimento, ma non tutti sono utilizzabili con il gusto della vera spensieratezza. C’è sempre una missione da compiere, l’anello da portare, il pregno bisogno di risolvere un problema. Addirittura il viaggio di piacere, per alcuni, si trasforma in un lavoro a tempo pieno: fare foto, video, pubblicare stati social (anche quella, si, è davvero una moderna dannazione) e ridere, scherzare a perdifiato, far si che ogni giornata abbia un profondo e memorabile senso ulteriore, di cui vantarsi coi propri prossimi e parenti, al ritorno lungamente atteso dalle ferie. Perché lasciare un segno tra chi ti è vicino, senza mai conoscerti davvero, è un compito davvero impegnativo. Chi vive un’avventura, tendenzialmente, fa presto a metterla nel centro della storia, spingendo via ogni possibile residuo dell’altrui soggettivismo. Così, ogni anno, la propria personalità pubblica va rinnovata, attraverso nuovi rischi corsi per “piacere” se possibile all’interno di contesti controllati. Non tutti siamo fatti per gli sport estremi! Ma non sarebbe meglio, a quel punto, scrivere semplicemente un libro? Oppure.
È sempre la tecnologia, quel campo fluido di continui cambiamenti, che può giungere a semplificarci la pesante marcia verso Mordor-del-pensiero, quella meta assai distante e calda come il magma della Terza Era. Ciò che avrebbe potuto fare un semplice GPS, per la compagnia dell’anello ma poi soprattutto, successivamente, per i due hobbit già rimasti soli, a leghe e leghe di distanza dalla fine di quel viaggio, non è facile da immaginare. Se non grazie allo strumento dell’analogia: come quello, per loro, la telecamera da casco, nei bisogni reali di chi fuoriesce dagli schemi. Immagina, se puoi: il rischio assoluto significa dimenticarsi dei problemi. Perché si ritorna, in quegli attimi di assoluto terrore più o meno giustificato, allo stato del rettile che sfugge ai predatori. Il cervello basico, privo di fisime o connotazioni problematiche, teso unicamente alla sopravvivenza. Dicono sia come una droga, persino assuefacente; dicono tu debba fare l’esperienza, per capire, come volando sulle aquile di Gwahir, il grande messaggero. Testimonianza del bisogno che non sapevi di avere, ecco a cosa serve la costante narrazione. E qual’è il modo migliore di portarla a termine, che un semplice dispositivo, con memory card e batteria, che fa le funzioni di un grande occhio senza palpebre, al servizio costante della collettività…
Alla prima curva, ti pieghi appena (in fondo il regolamento del Queensland Luge Track prevede che tu faccia prima un giro di prova, sul percorso scenico dal gradiente meno ostile). Tra la seconda e la terza, inizi a pensare chi te l’abbia fatto fare, giusto l’ultimo giorno di vacanza. Dopo di che, scatta il meccanismo: che t’importa del domani? Può darsi che l’idiota di turno, nascosto dietro l’ansa del circuito, abbia inchiodato per un riflesso inconsulto in mezzo ai tre metri scarsi della carreggiata, con il deretano a far da rampa giù nel fosso della Fine. Può darsi che un cervo rintontonito, sfuggito alla riserva, stia per attraversarti la strada, con conseguente rotolamento inarrestabile fino alle acque immemori del Wakatipu. Può darsi…Che meraviglia! Finalmente stai pensando all’Oggi, non all’aneddoto da raccontare. Missione compiuta, tanto per tutto il resto, c’è la telecamerina.

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