Penne dai pennelli, di lucertole ed uccelli

Paper Goldfinch

Carta che muggisce, carta che ruggisce, che squittisce. Carta che grugnisce, poi nitrisce. Che ulula e che trimbula, che tubula, persino. Carta che miagola ed abbaia, fino alla vecchiaia. Quanti anni a ripiegarla e colorarla ed incollarla e così via… È un viaggio continuo pieno di scoperte, che si concretizzano nelle infinite forme della splendida Natura. Vista non soltanto, chiara e limpida per ciò che davvero rappresenta, ma reinterpretata dalla mano degli artisti, che sono assai distratti e molto spesso inventano, cambiano le regole del gioco. Così è rana l’origami, d’astrazione giapponese, geometrico ed impressionista per quanto sia possibile pur mantenendo il senso ultimo dell’animale. A definirlo è in fondo il gesto, di saltare, grazie a un piccolo colpetto che vien dato sul di dietro, se ti va. Ma è rana pure quella disegnata, con tutti i bitorzoli nei punti giusti, verde o rossa e nera, così lucida che viene da leccarla. Ed è rana soprattutto, più delle altre addirittura, quella tridimensionale, ricavata dalla carta! E come lei, l’uccello.
Johan Scherft, artista olandese, percorre dalla metà degli anni ’90 due sentieri paralleli: la pittura della tradizione e quella dei pepakura, le figurine da intagliare, ripiegare ed incollare poco a poco, finché possa emergere, da tanto minuzioso sferruzzare, l’oggetto designato dal pensiero. Che pure se in effetti è inanimato, qualche volta sembra cosa quasi viva, pronta per saltare giù dal trespolo e venirti a far pio-pio. Il suo qui presente cardellino marrone, rosso e bianco, se lo guardi da lontano oppure come stiamo facendo noi, attraverso la lente a bassa risoluzione di un video di You-Tube, può trarre in inganno. Così messo su di un bastoncino, con le ali maestosamente aperte, tanto dettagliate nel profilo di ciascuna penna, non suscita l’ombra del minimo dubbio: questo piccolo animale ha ricevuto l’incantesimo dell’immobilizzazione. Oppure, è impagliato? Possibile, che sia tanto leggiadro, addirittura nel trapasso…Cos’è in fondo l’apparenza, se non una metafora impossibile da superare. Finché non tocchi ed anche allora, una creazione come questa suscita un potente sentimento. Perché è diafana, leggera. Il vento ne farebbe foglia da portare via; quando invece, quello vero di uccellino, quella forza la incanala e sfrutta per trovare la sua via. Poi se torna, prima vola via.
Pepakura è l’unione tra le due parole inglesi paper (carta) e craft (creazione) contratta secondo le regole della lingua giapponese. Ci sono diverse teorie sull’origine dell’arte dei siffatti modellini di carta, che pur venendo oggi identificata per convenzione con un termine d’influenza estremo orientale, potrebbe essere nata in Occidente, pressapoco durante la seconda guerra mondiale. In quell’epoca di fervida produzione industriale, infatti, i materiali erano tanto regolati dai diversi stati europei, che l’unico rimasto, per far divertire i bambini, era la carta. E iniziarono così ad essere stampati, sulle riviste soprattutto d’Inghilterra, piccoli modellini di quegli stessi mezzi, aeroplani e carri armati, che tanto patriotticamente andavano a far fuoco sulle linee dell’eroico fronte di battaglia. Il Giappone invece, all’altro lato del globo, che alla carta aveva sempre dato un’importanza rituale e religiosa, non seppe o volle concepire questa associazione; i suoi origami di quest’epoca di cambiamenti, sempre più complessi e modulari, ricercavano piuttosto una bellezza astratta che li rende ancora attuali, matematicamente affascinanti senza l’uso delle forbici o la colla.
Questo non significa, comunque, che l’unico soggetto adatto al foglio bianco ritagliato sia un veicolo costruito dalle mani umane, per combattere una guerra. Benché certamente, quest’ultimo risulti maggiormente facile da fare, vista la forma spigolosa, le superfici chiare e nette, laddove un animale, invece, è curvilineo ed organico, ricoperto di peli,piume o scaglie. Ci sono, del resto, soluzioni valide a tale quesito: pensiamo ai videogiochi della fine degli anni ’90. Quando il calcolo dei processori, per la prima volta, fu in grado di gestire ambienti tridimensionali, con dei limiti che oggi ci appaiono bizzarri. Cubi e piramidi, grezzi triangoli, dovevano allora diventare navi spaziali, orchi ed elfi, coraggiosi cavalieri! E il sistema era pur quello, di un virtuale, imprescindibile pennello…

Paper Chameleon

Si tratta di una soluzione semplice, se vuoi pensarci: la carta è ideale per scriverci o disegnarci, a tal punto che per molte persone, nel corso di un’intera vita, serve soprattutto, solo e sempre a quello. E se la pieghi, in una forma che allude a qualcosa, ciò non toglie che puoi ancora colorarla, con la precisa livrea di quel tuo soggetto. In gergo informatico, nel campo della grafica e dei videogiochi, il termine tecnico per tal principio è texture, un artificio visuale, come un fondino fotografico, che serve a dare l’impressione di ruvidità. La giusta colorazione può risolvere molti problemi: guarda le uniformi da lavoro! Lo stesso lungo vestito simil-camice, se verde, fa pensare a un medico chirurgo, quando è bianco e con le tasche a uno scienziato, se è nero col grembiule, ad una cameriera. Quando è rosso, apriti cielo! Sta passando un mistico super-eroe. Ben conosce del resto, tale problematica, il camaleonte costruito come il cardellino, da pepakura vestuto, col pennello, colorato. Coi suoi occhi sporgenti, omni-direzionali, la sua lingua lunga che non ha molto da dire. Ma che aspetta, piuttosto, l’occasione di saettare…
Il camaleonte cartaceo di Johan Scherft ha doti assai particolari. Grazie ad un complesso meccanismo, si muove avanti e indietro, avanti e indietro sul suo bastoncino tubulare, alzando un po’ la zampa anteriore destra e punta lo sguardo in giro alla ricerca di una mosca. Poi alla fine, cambia pure colore (ma quello è un trucco scenografico in post-produzione, ahimé). Mentre la deambulazione e il nervosismo, quelli si che sono veri! E traggono l’origine da alcuni piccoli magneti, posti in opposizione con parti metalliche nascoste all’interno della carta del camaleonte. Una vite, addirittura, viene fatta roteare, causando l’irrequieto sguardo da lucertola affamata. Davvero questo artista è un po’ leonardesco, nel suo interessarsi ai diversificati campi, dell’invenzione pseudo-ingegneristica, della scultura e della pittura. Molto interessanti, in effetti, sono anche i suoi quadri e disegni, con vividi animali e barche fantasiose. Lui, ci tiene a dirlo, li considera la parte fondamentale di un’unica visione, inclusiva dei pepakura. Che si concretizzano in tre dimensioni, quando servono. Ma pur sempre, almeno due!

Paper Hummingbird

Tale particolare filone delle invenzioni automatizzate, che l’autore riesce a nobilitare con tanta della sua vasta opera, si osserva affiorare anche nel qui presente grazioso colibrì, ben piantato col suo becco in un grazioso fiorellino rosso. Che posto alla luce del sole, grazie ad un pannello solare accuratamente nascosto, riesce a far muovere le use ali di cellulosa, forse non rapide come quelle reali, ma sufficientemente convincenti, almeno, per il frame-rate della telecamera impiegata per riprenderlo. La quale altro non ne trae che una discontinua, poco chiara sfocatura. Proprio come avverrebbe, per l’appunto, tentando di catturare su pellicola il moto accelerato del Trochilide apodiforme, l’anello mai mancato tra la mosca e il passero, l’ape ed il piccione. Se soltanto avessimo anche noi una tale cosa, con le scimmie che ci chiamano alla Storia! Molte meno foto, si farebbero a quel Big Foot, che da tempo ricercato, nessuno ha mai trovato. Criptide zoomorfo della dannazione fotolitografica…
Non è meglio, per giocare con le forme naturali, interpretarle grazie a questo gioco con la carta? Dargli forma, alla mattina, per guardarle quindi fino a sera. E pensare che basterebbe tanto poco: lo stesso Scherft, sul suo sito personale, offre gratuitamente alcuni modellini da stampare a colori su foglio A4 e quindi ritagliare, per trarne l’animaletto preferito, tipo il gufo, o il martin pescatore. Altri, invece (a dire la verità la maggioranza) li vende per un prezzo del tutto ragionevole, assieme ai prodotti già finiti, dipinti a mano e rinchiusi in una teca protettiva.  Però che peccato, intrappolare in tale modo l’arte! Consiglierei piuttosto, a chi volesse possedere tali cose, di andare in giro per i boschi. Con la macchina fotografica, se serve, oppure solo l’occhio inquisitivo e l’entusiasmo. Per catturare, con lo sguardo, l’averla, il basettino, forse addirittura la beccaccia di mare. Per sognare una cicogna, sotto il cielo terso e poi tracciare con il dito, il limpido passaggio della cincia. Di sicuro alla fine, ritornati a casa, col rettangolo papiriforme pronto ad essere imbevuto di creatività, qualche cosa spunterà. Un disegno, una figura, una scultura, chi lo sa? Per chi ascolta, di sicuro canterà.

Paper Lizard
La lucertola volante muove il suo bargiglio da mattina a sera, pare il pendolo di un orologio.

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