Forse capisci la furia, ma non per questo comprendi la potenza. Magari puoi immaginarti la paura vaga ed indistinta, eppure non è certo facile, concepire il puro terrore immacolato che scaturisce da un incontro con la bestia più orribile del mondo. Un vero e proprio fossile vivente, residuo d’altre epoche, che può nuotarti dietro alla velocità di 56 Km/h. Veloce come un autotreno e grosso, pure, come quello. Ma pieno pure, guarda caso, di denti. Che magari neanche servono, visto come lui può divorarti tutto intero, questo mostruoso, orribile, magnifico Carcharodon carcharias (Suona bene, eh?) Il comunemente detto: squalo bianco. Vittima di suo, oltre che carnefice, del film di Spielberg dal successo multi-generazionale, fonte d’innumerevoli seguiti scriteriati, seminati un po’ qui, un po’ lì, lungo la scala poco artistica, ma redditizia dei B-Movies dozzinali. Eppure il primo resta, sotto gli occhi di noi tutti, una magistrale esecuzione dalla storia semplice, ma appassionante, che ben calibra i tempi della suspense con sprazzi e spruzzi di assoluta truculenza. Bene, a tal proposito, ecco una notizia troppo spesso ripetuta: lo squalo bianco non attacca spesso l’uomo. E perché mai dovrebbe accontentarsi? Ve lo immaginate a sopravvivere, lui che può pesare fino a 30 quintali, mangiando qualche sub o improvvido bagnante, del peso approssimativo di una 70ina di deludenti Kg, capitato accidentalmente dalle sue remote parti… Ben altri sono i cibi, in grado di fornir sostentamento al più grande pesce macropredatore, ancora vivo sulla Terra; le otarie, soprattutto. Grassi e tondeggianti spuntini, veloci ed agili, in senso lato, eppure inermi di fronte a tale e tanta bramosìa vorace. I ponderosi leoni marini, qualche volta fortunata. E poi cetacei, come delfini e balenottere, o persino, perché no, altri squali. Come il macro-gruppo dei serpenti detti “reali”, ovverosia che mangiano altre serpi per natura, lo squalo bianco è assurto nell’Olimpo dei cattivi pure grazie a questa sua assoluta propensione, l’appetito fratricida, il puro e semplice cannibalismo.
Così non è facile, il più delle volte, rendere giustizia in video ad una tale grifagna, famelica creatura. In molti ci hanno provato, negli ambienti controllati, dietro sbarre dure di metallo. Ma l’erede moderno del titanico megalodonte non è nulla, tranne che libero e felice. Vero argentovivo degli abissi, che si esprime a pieno solo quando è libero di fare la sua cosa: accelerare fino ai limiti del mare, poi aprire quella bocca sconfinata e si, se serve, uscire fuori tutto intero. Tra gli ultimi aspiranti addetti alle Public Relations del qui presente demonio con le pinne, come non citare Mark Hodge, oceanografo della Atlantic Edge Films! Tale autore del presente video, che qui viene proposto al pubblico del web dalla sempre interessante testata inglese Barcroft.tv, deve aver avuto la sua idea giocando ad Angry Birds sul cellulare, durante qualche lunga trasvolata. Perché ecco, è davvero fantastico: una foca di gomma, rigida come uno stoccafisso, è finita bene assicurata dietro il suo natante, con una lunga e resistente corda. E lui ha guidato, assieme alla sua troupe, fino ai terreni di caccia del dragone senza scaglie, laggiù in Sud Africa, a largo di Città del Capo. Finché, eureka! Il momento lungamente atteso. L’acqua si increspa, corrugandosi, e dalla sua cima scaturisce la celebre puntuta pinna. Seguita dalla punta superiore della coda, da un muso grigiastro e infine tutto il resto dello squalo, così entusiasta, e tracotante, dell’imprevista preda succulenta, da non preoccuparsi affatto di star dando spettacolo a vantaggio di noi voyeur in visita tra le onde. E che spettacolo, a dir poco! La forza necessaria per uscire dall’acqua a quel modo, degno di un pomeriggio al delfinario, va moltiplicata per il peso ingente dello squalo. Mentre quella sagoma così elevata, grandiosa e tozza, pare uscita da uno di quei banner lampeggiante che tentano d’insinuare il dubbio ai naviganti (digitali) Sharks can FLY! Is this REAL or FAKE?
Ed è tutto vero, addirittura in senso oggettivo, perché gli squali bianchi volano eccome, benché sott’acqua, soprattutto. Guardate questo altro squalo di False Bay, presso Città del Capo, qui inquadrato nelle circostanze di una seconda registica invenzione, frutto della fantasia situazionale di Charles Maxwell, cameraman sottomarino ed esperto d’immersioni di 68 anni, già più volte premiato nel corso della sua carriera. E che la sua telecamera, stavolta, ha ben deciso di lasciarla assicurata all’estremità di una sorta di razzo metallico senza propulsore, a sua volta trascinato dalla sua veloce barca di 7.5 metri. Per scoprire come, anche senza l’impiego di un’esca, la naturale curiosità degli animali sottomarini li porti ad inseguire cose tali, tanto luccicanti e rapide, così simili a una preda. Ci cascano, per prime, le foche. Un intero branco, che nuota tutto attorno, agitando le pinne, divertendosi ad inscenare una sorta di balletto acrobatico sincronizzato. Poi, qualche tempo dopo, giunge un trio di delfini, di cui due più coraggiosi, che si avvicinano allo strano oggetto, mentre l’altro timido, un po’ in disparte, si accontenta di seguirlo da lontano. Passano i minuti, le ore, forse addirittura i giorni (meno male). Finché.
Naturalmente ultimo, per sempre lungamente atteso, lui di nuovo: il grande bianco. A questo punto il commentatore di Barcroft.tv paragona l’intera scena ad una sorta d’incubo notturno, e non ha certo tutti i torti. Tentare di sfuggire ad una tale belva, così rapida nel suo elemento, mentre si guarda fissi indietro, verso le sue fauci spalancate; osservare come serpeggia efferata, agile tra i flutti, mentre si avvicina, ancora e ancora, in cerca di… Una meta, raggiunta. Nel sogno come nella realtà, quando il Carcharodon, approfittando di una sosta del natante, riesce a raggiungere al telecamera e la morde. Il che dimostra, subito, la notevole resistenza dell’oggetto in questione, nonché il modo in cui qualsiasi materiale, sottoposto alla pressione di una simile mandibola crudele, sia destinato a riportare almeno una gran crepa. Constatata, quindi, la natura non commestibile della sua preda, lo squalo si volta infastidito e se ne va.
È interessante notare come questa tecnica del “morso di prova” sia assai diffusa tra le specie di squalo che si nutrono di animali dalla massa ingente, e che devono, quindi, determinare se sia il caso d’ingoiare oppure no. Perché può bastare, strano a dirsi, un osso di traverso, troppo spesso oppure lungo, per mettere in pericolo la sopravvivenza di un singolo esemplare bianco, se pure in ottima salute. Si ritiene sia per l’appunto questa, la ragione per cui lo squalo bianco non attacca letalmente l’uomo: troppo ossuto per i suoi gusti, quando c’è l’alternativa di una splendida e gustosa foca. Meglio passare oltre, a lidi maggiormente nutritivi. Peccato solo che, per capirlo, non gli basti la teoria. Chi è fatto per mordere, quello tende a fare, sempre e comunque, molto prima di fare domande. Che peccato!