Devi avvolgerli per bene, farli stare caldi. E poi dargli un cuccio da succhiare, affinché si sentano tranquilli. Frisky, Foxy, Kirby, Gizmo, Zubat, Kuro; oppure: Misha, Moongoose, Sushi, Snooper, Tigrex, Zuni. Oppure: niente! Perché dovresti dare un nome a un pipistrello e poi perché, lui dovrebbe accorrere, quando lo chiami? Sono animali selvatici, questi sei piccolini, soltanto di passaggio tra le mura dell’umana agiatezza, a causa di un’imprevista, quanto triste fatalità del caso. E non è certo facile, prendersi cura di un simile gruppetto di figliocci, così privato delle rispettivi madri biologiche, per l’effetto dell’ennesima ondata di calore. Un evento meteorologico che ormai da anni, con incedere pesante e inesorabile, fa strage di chirotteri volanti dell’Australia, di ogni foggia, tipo e dimensione. Il che è davvero un gran peccato, nonostante quel che potrebbe suggerire la superstizione popolare, oppur l’antipatia dei coltivatori di frutteti, il cui prodotto, tanto spesso, viene masticato dai dentini delle qui presenti bestie, tutt’altro che comuni pipistrelli. Siamo infatti di fronte ai cuccioli, niente meno, che della tipologia più imponente di mammifero volante a questo mondo: fino a un metro e mezzo di apertura alare, per un Kg di peso da adulti, niente affatto poco, per un essere che si è evoluto per librarsi, aggrapparsi ai rami degli alberi a testa in giù e poi ricadere, quasi accidentalmente, sopra le vittime del suo cacciare. Volpi volanti, le chiamano, dalla forma appuntita di quel simpatico musetto. Oggi, le ammiriamo per il loro fascino stravagante. Ma non è difficile capire come mai una volta, la visione di una simile creatura suscitasse istantaneamente il massimo livello di terrore: gli occhi neri e intelligenti, le ali membranose dagli artigli preminenti, simili a un mantello da vampiro e il corpo peloso, slanciato e belluino. Pipistrelli di una simile imponenza non si muovono come gli altri animali, non hanno gli stessi problemi e non occupano nicchie ecologiche davvero comparabili a quelle di uno scoiattolo e del topo a cui assomigliano vagamente. Benché la tipologia qui presente, dei sei graziosi cuccioli nel bozzolo giallino, sia più simile a questi ultimi, di qualsiasi altro esponente di quell’ordine dei chirotteri, ingiustamente bistrattati animali.
Esistono, in realtà, due tipologie ben distinte di pipistrello: micro & macro. I primi corrispondono maggiormente allo stereotipo dell’animale in questione, vista la predilezione per la vita in caverna, anche facilitata dal possesso del supremo senso d’ecolocazione: il sonar naturale con un solo emettitore (l’apparato fonatorio) e due ricevitori (le grosse orecchie pelose). Che bisogno c’è di luce, quando puoi sfruttare il suono per trovare la tua casa e la tua preda? Questi particolari esseri si sono sviluppati, attraverso i secoli e i millenni, per sfruttare le ore di maggiore attività degli insetti, di cui vanno in cerca con estrema operatività. Non sono necessariamente piccoli: il pipistrello fantasma, un microchirottero, raggiunge il metro esatto d’apertura alare – Non per niente lo chiamano falsa volpe volante. Però ecco, loro assai difficilmente potrebbero raggiungere gli estremi dell’altro gruppo, tanto graziosamente qui rappresentato dai sei poveri orfanelli, che non avranno mai altri superpoteri, che un senso dell’olfatto molto sviluppato. E se non aveste ben presente come diventano da grandi, ebbene…
Ecce monstrum! A un primo sguardo, sembrerebbe un effetto speciale cinematografico. La creatura si aggira, impossibilmente appesa a testa in giù, lungo il soffitto della sua grande gabbia presso lo zoo di Columbus, nell’Ohio americano. Guarda tutto e ascolta tutti. Osservandola di rimando, è facile mettere in dubbio la tesi dell’evoluzione stessa, con le sue infinite discendenze che guadagnano connotazioni e tratti, per l’effetto della selezione naturale. Perché se davvero questo è un mammifero, non dovremmo poter risalire ad un antenato comune, addirittura tra lui e noi? E come potrebbe presentarsi, una simile creatura, se non coi tratti istantaneamente riconoscibili di Nosferatu, l’orribile Drakul…
È strana la maniera in cui funzioni il preconcetto umano. Quando una creatura è totalmente impossibile da ricondurre alla nostra fisionomia suscita curiosità benigna, persino una qualche tipologia d’affetto. Se invece è simile, ma diversa, ci appare immediatamente sgradevole allo sguardo. Prendi una scimmietta ragno, un lemure del Madagascar: saranno in pochi, a definirle meno che carine, aggraziate nella loro incontrollabile vivacità. Ma un orango oppure uno scimpanzé pensosi, nostri prossimi cugini, ci appaiono istintivamente bruttini e primitivi. Quando, diamine! Non c’è un singolo animale, a questo mondo, più scaltro e attento ai dettagli di loro (tranne, forse.)
Così è la triste storia degli unici volatili senza piume. Guarda tutti quei piccioni, i passeri e il candore di gabbiani sulle piazze cittadine, con grandi e crudeli becchi, non riconducibili alla nostra diramazione del grand’albero del mondo. Se al posto di quelli, ci fossero altrettanti pipistrelli, come reagirebbe la gente comune? Quanti starebbero lì, ad offrirgli briciole del proprio pranzo e così via! Addirittura i nostri angeli, iconografici messaggeri del divino, non hanno ali da mammifero, ma un paio preso in prestito da polli giganteschi ed inumani. Quando un bipede antropomorfo, se potesse mai disporre d’implementi per volare, quali dovrebbe guadagnarsi, per logica, se non quelli membranosi provenienti da un grazioso topolone, occhi neri e naso a fogliolina…