Vieni, qualche volta, fino a Singapore City: il tempio urbano di un possibile futuro, ricco, variopinto e formidabile. Il primo giorno, fai acquisti per il centro accanto ai prati del Padang, dove si gioca il cricket quotidiano del distante Oriente. Gusta un pranzo luculliano a China Town, tra sapori, visioni illuminanti e tradizioni antiche, conservate a tavola, se non altrove. E poi, nel pomeriggio, recati con macchina fotografica e fida Wikipedia al fianco, presso i rinomati orti botanici e al santuario degli uccelli di Jurong, forse anche allo zoo. Per bestie, piante, gadget senza precedenti. Oh, e non perderti, assolutamente, gli shopping mall e i casinò, perle al collo di quel mitico felino! Figlio con criniera della tigre di Malesia che, si dice, mostrò all’antenato il luogo in cui fondare la città, già piena di strisce, laddove adesso passano i pedoni. Sarà una settimana interessante, pregna e conduttiva di approfondimenti. L’ultima giornata di quel viaggio, stanco e indubbiamente soddisfatto, visita la spiaggia di Siloso verso mezzogiorno. Rimarrai sorpreso. Perché…
C’è qualcosa, in questo luogo luminoso che si affaccia sugli stretti di Johor. Di unico e prezioso, che sparisce senza traccia, eppure sempre ricompare: come una miriade di sferette, piccole, perfette, in grado di formare dei disegni. Sono fatte con la sabbia, tutte uguali tra di loro. Cambia solo la disposizione! Sembrano i diagrammi che taluni tracciano nel grano (umani? Alieni?) Ma stavolta ebbene, non è arduo da dirimere, il mistero dell’origine di tali forme. Basta avvicinarsi, di soppiatto, per scorgere una buca al centro, grossomodo, di ciascun assembramento visuale. Con un granchio che ci corre dentro, spaventato dalle ultime propaggini dell’ombra traditrice. Di chi guarda ed ha capito il come. Ma ancor gli sfugge la questione del perché.
Granchio soldato, a.k.a. sand bubbler crab: non sono rari in tutto l’area dell’Indo-Pacifico, ma restano pur sempre degni di un commento. Soprattutto, per chi non lo ha mai visto prima. E per l’effetto visibile della sua esistenza, tanto insignificante per lui stesso, quanto interessante per noi, curiose super-scimmie senza peli. I loro splendidi mandala, simili a costellazioni di gumballs, appaiono ogni giorno, gradualmente, a partire dalle prime luci di quell’alba, finché l’alta marea, spietatamente, non le cancella con puntualità, verso l’ora di un tardivo pranzo al sacco. A quel punto, le figure sono sterminate: intere sezioni di una grande distesa di sabbia, come ad esempio quelle che graziano l’isola a losanga di Singapore, oppur le altre località turistiche della Malesia, ne saranno ricoperte, brevemente. Con la gente che vi gira attorno, perché chi mai distruggerebbe l’arte! O schiaccerebbe l’artista dalle chele sopraffine! A parte la natura stessa, per l’appunto.
Ma ecco la questione dell’indovinello: ogni volta che ciascuna sfera di sabbia tocca la terra da cui è nata, essa cessa di esistere, per il granchio. È uno scarto dedicato al mondo. O all’occhio di chi guarda, ovvero noi.
Questa categoria arbitraria dei granchi soldato racchiude, a seconda della regione in oggetto della discussione, specie totalmente differenti. Nei mari d’Europa, generalmente, tale termine si riferisce al paguro con la sua bicocca, la scatoletta di recupero o la cara conchiglietta sopra il dorso, ultimo baluardo contro i predatori. Nei Caraibi, invece, militante è il Coenobita clypeatus, un granchio di terra che va in giro in cerca di frutta marcescente, resti d’animali, altra roba non davvero appetitosa. Quando invece, che peccato! All’altra parte del mondo, i suoi colleghi crostacei mirmidonici d’Oriente, hanno trovato una nicchia evolutiva davvero invidiabile, alquanto rilassante. Funziona così: innanzitutto, gli appartenenti ai genera Scopimera e Dotilla, che formano il macro-tipo di questi produttori di palline d’Indo-Cina, sono sempre piccolini, larghi appena un singolo centimetro. E dunque, per mangiare, gli basta agire come filtri dell’ingente micro-fauna (insetti, vermetti, addirittura microbi un pò cresciutelli) nascosta nella sabbia che raccolgono, appallottolano e poi gettano da parte. È un metodo efficiente, persino invidiabile ecologicamente. Così facendo, giorno dopo giorno, ciascun soldato si allontana dalla sua buca solamente per un tratto trascurabile di terra, e resta quindi sempre pronto a ripararsi dai pericoli incipienti, come un cane di passaggio, oppure il suo padrone, incuriositi da tanto laborioso brulichìo. Ed all’insorgere della nuova alta marea, tutto quello che i granchi devono fare è ritirarsi sotto terra, facendo affidamento sui minuscoli peli delle proprie zampe, che trattengono l’aria tra l’acqua, per permettergli di respirare. E fanno anche il contrario, quando il sole si fa troppo duro ed insistente, e si rischia il surriscaldamento sulle sabbie del banchetto. La mattina dopo, si ricomincia: al ritirarsi delle acque, non resta una singola pallina, sulla spiaggia di Siloso. Ma si è rinnovata una giungla di gustosi animaletti, inermi di fronte al metodo e l’organizzazione strategica dei sand bubbler crabs.
Non c’è niente di magico, dunque. Questa storia affascinante, tanto simile a quella di Penelope, che tesseva la sua tela per poi scioglierla di notte, è in realtà la risultanza di una pratica presenza, l’insistenza. Il realizzarsi di un preciso piano, attentamente messo in atto dall’evoluzione: ancora una volta, siamo chiamati ad ammirare un che di involontario, vedere l’ordine dove in effetti non ce n’era. Sputo d’artista, mica un’altro tipo di escrementi! Chi l’ha detto poi, che ci vuole l’intenzione? La scelta giusta del momento? Per lasciare, faticosamente, un segno sulla storia… Da tempo immemore, i granchietti disegnano figure, mentre mangiano e alla fine, stanchi e soddisfatti, tornano nel buco a digerire. Domani lo faranno ancora. Dopodomani, ancor di più. E se prima che sopraggiunga il mare tu gli fai una foto, che resti ai posteri oltre l’onda di marea, Turista, a chi puoi dare il merito di tale gesto? Se non alla musa degli artropodi. Crab-iope callipigia…