Silenziosa e immobile, statica ed inerte. La mia lontra è differente. L’ho comprata in un negozio, alquanto piccolino, che non vende gli animali (veri). Ma targhette con il nome, cappellini, tazzurelle colorate e una maglietta, con su scritto, guarda caso: 二見シーパラダイス (Futami Sea Paradise). La mia lontra non è diffidente. Ma piuttosto placida e benevola, sempre grata di essere tenuta in mano e accarezzata. Niente di strano, mi dirà qualcuno, un giorno o l’altro: “Quella bestia è fatta di peluche!” Grazie. Non l’avevo mai notato. La ragione è la seguente; un giorno siamo stati, con la mia famiglia immaginaria giapponese, presso lo zoo acquatico della città di Ise, nella baia meridionale che abbellisce l’isola di Honshu. E allora il mio pupazzo è stato amato per due brevi, quanto eterni giri del minuto. Da un suo simile, bagnato.
Chi può dire cosa passi nella mente di questo grazioso esemplare di lontra senza artigli africana, anche detta dalle guance bianche (Aonyx capensis) mentre sperimenta un simile sollazzo sopraffino della sua giornata. Non capita ogni giorno, dopo tutto, per simili bestioline messe in vasca, di sperimentare l’esperienza di un incontro tanto fuori del comune. Si dice che tra i numerosi animali di questo pianeta, siano pochi quelli che posseggono una vera coscienza di se, riuscendo a riconoscersi nel vetro di uno specchio. Sono questi, soprattutto: scimmie, qualche uccello di colore nero, certamente la specifica fazione tra i delfini che ha la voglia, o l’obbligo di starci a sopportare. Mentre gli altri nuotano, incostanti e liberi, tra i flutti di un destino pinnipede o picaresco. E c’è molto da dire, o criticare, sulla prassi di tenere gli animali in gabbia, fluida o letterale, con lo scopo principale di un guadagno. Eppure, una cosa è certa: dall’incontro tra le specie nasce sempre qualche cosa. Di particolare, interessante, degno di essere osservato. Una catena ininterrotta di magnifici momenti, tra cui l’ennesimo è così.
La lontra guarda fuori tramite quel vetro e vede una bizzarra mistificazione. L’immagine di un suo fratello, o la parvenza di un cugino, laddove mai ce n’erano passati: dalla parte dei Padroni. O chi per loro, chi con l’oro, giustappunto, spende o paga per vederti. E possederti, come può: in effige. Ma il concetto di un corposo simulacro non è facile da concepire. Per nessuno, tranne chi lo costruisce, come specie. Dunque nasce qualche cosa. Forse, la passione e in fondo chi può dirlo? L’animale in carne ed ossa si entusiasma. Inizia ad agitarsi, preme il muso contro il vetro. Combatte e vince la sua noia, con il rapido entusiasmo delle menti semplici, spontanee. Mentre i bambini gridano estasiati, la situazione poi si evolve. Mai visto niente di simile, gente! Neanche fosse un coccodrillo nell’atto di ghermire la sua preda, la lontra ruota su se stessa, vorticosamente, più e più volte: “Chotto, chotto! Chotto, chotto!” Gridano gli spettatori, e i loro genitori, mentre il suono si trasforma in uno squillo roboante, la sirena di una scena che diventa Storia, quasi subito, ed Aneddoto da Raccontare. Ciò che serve, soprattutto, a ricordarci cosa siamo. E quanto è strano quell’ambiente, la natura da cui proveniamo.
Le specie appartenenti al genere Lutrinae non sono particolarmente numerose, ma risultano comunque parecchio diversificate. C’è dalle nostre parti la lontra europea, semplice e marrone, simile ad un grosso topo con la coda e gli artigli alquanto acuminati. C’è quindi quella americana simile nell’aspetto, da secoli cacciata per il pelo, particolarmente morbido e setoso. Poi esiste il tipo maggiormente eclettico, la Enhydra lutris, abitante del Pacifico, anche detta lontra di mare, che non ha la coda lunga delle sue sorelle e sembra un po’ una foca. Mangia ostriche, rompendole contro gli scogli. Il che ci lascia, da nominare brevemente la specie gigante, detta lontra sudamericana, che misura fino a 1,80 di lunghezza (roba da capibara!) E quindi lei di cui sopra, l’unica senza artigli, graziosamente bianca e nera. L’africana che avevamo conosciuto in quello zoo marino, all’altro capo del globo. Che ha due piccole manine degne di un orsetto lavatore. E gioca coi pupazzi, come fossero persone. Lo sapevate che in inglese i cuccioli di lontra vengono chiamati pups, come quelli dei cani? E non finisce qui. In ambito riproduttivo, il maschio viene detto dog, la femmina bitch (la sua compagna). Strana coincidenza! Oppure, forse no…
È l’incontro tra diversi modi di vedere il mondo. Quello di chi annusa, per campare. Con le invenzioni di chi sperimenta, per guardare. Ovvero i proprietari bipedi dell’animale domestico per eccellenza, colui che da millenni viene sottoposto a lanci di palline da tennis, ossobuchi, dischi volanti ed altre mille amenità. Si gioca con il cane perché ci assomiglia nel comportamento, ed è facile partecipare di una tale gioia tanto spensierata. E qualche volta lo si sfida, sperando che fallisca, ridendo della sua beata ingenuità. Persino quello è utile, per arricchire tale interminabile vicenda, un simile rapporto tra compagni di avventura.
Questa candid camera del popolare canale canadese Just for Laughs, risalente alla fine di agosto, ha una caratteristica che la rende alquanto originale. Le sue vittime non sono umani. Il metodo ricorda da vicino quella scena accidentale con la lontra, ma in circostanze questa volta costruite. Qualcuno, nascosto dentro a una finta fioriera, fa muovere una marionetta fatta come un cane, con un osso delizioso stretto tra le zampe. Mentre vari visitatori con la coda di quel parco, muso sempre rigorosamente a terra, si avvicinano per indagare. Che cosa buffa, ovvero interessante! I cani, come la lontra, non osservano i particolari, ed il fantoccio ai loro occhi sembra vero. Tranne che…Manca l’odore. Così si avvicinano guardinghi, poi capiscono l’imbroglio. Ma a quel punto il pupazzo “abbaia” coinvolgendo pure il senso dell’udito e sono allora DUE percezioni, contro una sola, benché dominante. Le reazioni variano. Qualcuno si arrabbia, altri rotolano a terra. Certi vanno in tilt, correndo tutto in giro e dando voce ad una tale frustrazione. Un cucciolo di beagle, dall’adorabile candore, non tenta neanche di capire e prende l’osso. La sua candida ingenuità, alla fine, gli varrà il pegno di vittoria.
E giustizia, fu. Non poteva finire in altro modo. Scherzare con gli animali è un gesto che nasce dal bisogno di capirli. Perché vederli affrontare piccole peripezie, per quanto artificiali, suscita un immediato senso di empatia. La reciproca commistione delle idee.