Ti ho visto, in mezzo ai rami di un enorme albero con pere. Eri lì, splendida ed immobile, nel centro esatto di un geometrico disegno. Molti lati e una spirale, invalicabile, il confine sul versante di una vita. Quella morte, ragno e tela, di ogni moscerino, piccolo pidocchio e formichina. Possano condurti, con sapiente sacrificio, ad un miglior banchetto quotidiano. La tua casa trasparente risplendeva, come il bel color marrone, mia fulgida regina, ottuplice e stupenda cacciatrice, che Diana stessa, della Luna la prescelta, avrebbe benedetto, usando il calice o la freccia insanguinata, fàttosi cheliceri gemelli, denti acuminati senza oscura traccia di beltà.
Ti ho visto molto bene, dentro l’ombra di sublime crudeltà. E ti ho guardato, da lontano. È un tipo d’amore assai difficile, come ben sai, quello della genìa che ci appartiene, di noi creature sotto i due centimetri di stazza, dalla fronte con i molti occhi, fino alle ultime propaggini del tagma posteriore, che gli umani, cautamente, chiamano torace. Sempre pronti per saltare, al primo accenno di un segnale. Del resto: aracnide è la storia, sempre ripetuta, della Vedova con il suo manto, chiaramente nero con pois di sangue. E della fine a cui ella condusse, ineluttabilmente, il suo malcapitato spasimante. Questo mondo, quale crudeltà! Del minuscolo e affamato, in cui c’è guerra senza posa, tra chi può mangiare, ordunque ed alla fine, finalmente riprodursi. Alle spese d’altri, meno fortunati. Ancor peggio, come ben sappiamo, è quando le due cose si ritrovano in conflitto, tra ardor di mantidi decapitate. Eppure…
L’emolinfa già scorreva fluida, sotto l’esoscheletro raccolto. In una palla, quasi, con le zampe ben configurate, poco prima di saltare, verso l’orizzonte di un’idea. O per meglio dire, quel profondo desìo sul soglio di un proseguimento, il primo senso della vita, dopo la mera e semplice sopravvivenza. Così deposi sul mio ramo l’estremità di un sottil filo, l’ultima speranza di salvezza, nel caso avessi calcolato le distanze. Ma che dico! Piuttosto, è più probabile che io venga intercettato da un crudele meteorite. Ti ho già detto che mi sono laureato come primo del mio corso? Chiedi pure, all’università degli Araneomorphae, sezione Entelegynae. La mia famiglia, come anche la tua, ne fu tremendamente fiera. Ma non fraintendermi: a legare il nostro sangue c’è soltanto un sistema di classificazione biologica, null’altro in più. Non siamo “parenti”, anche se il cognome ed il prenome restano così, Habronattus pyrrithrix. Stai pronta.
“Che arrivo!” Pare di sentire la sua voce di ragnetto stridulo e agitato, mentre vola oltre il soglio destino, per dare il principio lungamente atteso di una danza, lo spettacolo di quell’augusta primavera. Chi non ha mai visto il rituale di corteggiamento di un appartentente al gruppo dei cosiddetti ragni saltatori (scientificamente definiti Salticidae) si è perso uno dei maggiori capolavori dell’universo naturale, un sottile susseguirsi di stupende vibrazioni, tremolii, ritmiche gestualità. Il maschio dell’aracnide in questione, come succede per certe specie di uccelli, è straordinariamente variopinto, azzurro lucido, verde rosso e marroncino. Una livrea attentamente progettata, per catturare ben quattro paia d’occhi, gli strumenti ineccepibili di Lei.
La famiglia dei Salticidi è la più vasta tra gli aracnidi, e comprende oltre 5000 diverse differenti variazioni di ragni. Ovvero, circa il 13% del totale globale. La caratteristica che colpisce maggiormente, in questi piccoli animali, è il modo in cui siano forniti di ben otto ingombranti occhi, disposti tutto attorno alla loro graziosa testolina. E fra questi, soprattutto, un paio grande sul davanti, estremamente sviluppato. Da simili grandi fari, costoro riescono a identificare il mondo circostante con attenta e approfondita minuziosità, godendo anche di un senso molto sviluppato di profondità. Altrimenti, come farebbero a saltare, per mangiare? E nulla sfugge a quello sguardo, non importa quanto agile e veloce, ed alcuni esperimenti, piuttosto recenti, hanno anche dimostrato la capacità di distinguere i colori. Un fatto, in realtà, piuttosto facile da rilevare per inferenza, giudicate un po’ voi:
Questo esaltato giovane, dal posteriore maestoso e sfolgorante, è una nostra vecchia conoscenza. Il Maratus volans, anche detto ragno planante oppure, per ovvie ragioni, ragnopavone, WOW! Che fantasia. Dimostra per l’appunto, nell’averlo concepito, la pulsione-sistematica della natura, sempre valida nello sviluppo di stupende soluzioni , pure piccoli problemi, poco importa. Sembra un frutto, attentamente architettato, di un potente software per computer. Fatto 1: il ragno ci vedeva molto bene. Fatto 2: la ragna pronta per l’accoppamento, in assenza di potenti feromoni, gridi di richiamo ed altre vertebrate amenità, aveva problemi a riconoscere il suo amato. Fatto 3: cambiare livrea, attraverso il ciclo generazionale degli Eoni, comporta relativamente poche problematiche, soprattutto per chi è in cima alla catena alimentare.
Così ad un certo punto, per alcune specie siamo giunti a questo cataclismico tripudio. Non solo il Maratus volans danza di suprema gioia, con le zampe anteriori sollevate, seguendo un ritmo che proviene dalle nebbie primordiali, come fatto dagli altri suoi cuginetti Salticìdi. Ma ad un certo punto, tra lo stupore immane dei presenti, solleva un abbagliante ventaglio variopinto, quella stessa “vela” che lo aveva aiutato a proiettarsi lungo metri di assoluto nulla, paracadute ed arma seduttiva, firma inconfondibile di riconoscimento. Che funziona, molto bene. Come resistere, del resto ad una simile ed appassionante coreografia d’Amore…
Lui l’ha vista, quindi, e noi li abbiamo visti entrambi. Il balzo a parabola d’arcobaleno, la ripida discesa con al seguito l’arrampicata, fino alla ragione di un Incontro. Il perfetto coronamento, per quell’albero del pero. Per tutti gli alberi, dei peri.