L’hanno fatto di nuovo. E questa volta è assolutamente fuori parametro: il primo video sulla sicurezza con i personaggi del Signore degli Anelli, attentamente strutturato per catturare l’attenzione dei passeggeri più distratti, era stata un’iniziativa originale della compagnia di volo battente la bandiera neozelandese. Si era trattato di un’idea interessante, un tipo nuovo di video virale da diffondere online, anche dotato di una sua innegabile utilità, visto l’impiego dichiarato di educare i passeggeri a come comportarsi in caso di emergenza o spiacevole imprevisto di varia natura. Vi compariva una parte del cast di quella serie cinematografica, tratta dai racconti di Tolkien, così notoriamente associata a tali luoghi, tanto verdeggianti ed appropriati per rappresentarli, da far pensare che l’autore letterario, in qualche modo, li avesse impressi nella mente mentre descriveva le peripezie, nonché le disavventure, dei suoi piccoli protagonisti.
Ma l’altra volta, diciamolo, si era trattato solamente di un cameo. Tanti elfi ed orchi, qualche hobbit e poi giustamente lo stregone (“stranamente” ringiovanito) comparivano tra i posti a sedere di un comune aereo di linea, creando interessanti giustapposizioni. Adesso, guarda caso, l’aereo non c’è più, sedili esclusi. Non serviva nella nuova sequenza, intitolata alquanto giustamente: “Il più epico video sulla sicurezza aerea della storia” con aquile maestose, bungee jumping e addirittura una battaglia fiammeggiante contro gli orchi, trasformati in altrettante majorettes. Poi alla fine, ad ogni modo, ricompare sempre lui: Peter Jackson, il regista che ormai pare, tra barba e capelli, pronto per un viaggio da Isengard a Granburrone.
Perché ne è passata di acqua sotto i ponti della Contea dal remoto 2012 e siamo in attesa della conclusione di quest’altra trilogia, forse maggiormente criticabile, per certi versi, eppure d’innegabile successo. Il drago Smaug, sveglio e inferocito, l’abbiamo lasciato a vagheggiare sopra i cieli di Dale. Mentre nel terminal dell’aeroporto di Wellington campeggia, da tempo, la massiccia statua della creatura Gollum che ghermisce un pesce, povera vittima affamata delle circostanze. E la fenomenale visione proto-fantasy di questo scrittore inglese, per tanto strane associazioni, è finita per diventare un simbolo (beneamato) di questi remoti cugini, all’emisfero opposto dell’effettivo globo terracqueo.
In fondo c’era sempre stato, un piccolo Union Jack, in alto a destra della bandiera di Nuova Zelanda, a far da contrappunto per la Croce del Sud, quattro stelle rosse a nome di un Oceano intero.
Il Signore degli Anelli può condurre a molti spunti d’approfondimento. C’è una reinterpretazione funzionale, motivata dal bisogno, del classico bildungsroman (romanzo di formazione) dell’epoca moderna. Vi si trovano poi gli elementi più attuali di un poema epico, con le figure semi-divine, i molti misteri inspiegabili, l’uso frequente dei componimenti in versi. Per qualcuno, invece, strano a dirsi, il tema principale dell’opera è un senso specifico di manchevolezza. L’anélito e il bisogno privo di soddisfazione, l’incanto per qualcosa che non c’era, e lì mai ci sarà: l’aeroplano, ebbene si. Frutto tecnologico di un modo di pensare, ed un approccio fattivo, che non può semplicemente appartenere ai “vecchi tempi” ne a quelli fantastici, come questi, che da essi ne traggono l’ispirazione.
Così nasce, e poi riecheggia insistente, una domanda internettiana che ha costituito, per molte giovani menti, la prima via d’accesso al mondo della critica letteraria: “Perché mai le aquile giganti non hanno trasportato l’Anello fino al Monte Fato, per distruggerlo senza far tanta fatica?” Ah, si! È un paradosso semplicemente meraviglioso: dalla parte dei buoni si schierano, fin dall’antefatto fiabesco de Lo Hobbit, questi esseri volanti dalla forma di maestosi uccelli, i messaggeri di Manwë, il re dei venti. Salvano Bilbo e i 13 nani dall’inseguimento di lupi e orchi. Partecipano alla battaglia delle cinque armate. Aiutano Gandalf a fuggire dalla torre di Saruman, lo stregone bianco e poi di nuovo, dopo il suo spiacevole incontro con il demone della montagna. Attaccano direttamente durante la battaglia finale le bestie dei Nazgul, gli stregoni non-morti al servizio del Big-Bad in persona, Sauron e alla fine, colmo dei colmi! Volano fino al dannato vulcano e ne traggono in salvo Sam e Frodo, meno un dito perché ci vuole sempre un Sacrificio, freschi e riposati giusto dopo il compimento dell’Impresa. E allora si chiedono, tanti spettatori e forse un numero ancor maggiore di lettori, perché mai durante la scena del consiglio di Elrond, verso l’inizio della storia, nessuno le ha chiamate in causa, queste cornacchie, per evitare la lunga e spiacevole camminata?
Ci sono molte Spiegazioni. Secondo alcuni, senza la battaglia epica dei Campi di Pelennor portata innanzi da Aragon e gli altri, con il valido intento di distrarre l’Occhio sulla torre, gli uccelloni sarebbero ben presto precipitati, colpiti da fulmini magici et similia. Altri dicono che l’anello stesso, che poteva cambiare il proprio peso a piacimento, non avrebbe mai permesso di essere imbarcato. C’erano, ad ogni modo, molti approcci validi a produrre buoni risultati.
E poi c’è la discussione ragionevole, che parte dal significato della storia. Lo stesso Tolkien definiva, tra le sue molte lettere coéve ad amici e colleghi, le aquile di Manwë come “una macchina pericolosa” da sfruttare con cautela. È chiaro a che si stesse riferendo: la soluzione teatrale che sta alla base del concetto stesso di questi onnipresenti effetti speciali, il momento in cui le scenografie si trasformavano, gli angeli scendevano dal sopra delle quinte, le trombe squillavano l’apoteosi conclusiva. C’è sempre stato, e sempre ci sarà, in ogni forma di racconto, il colpo di scena finale, che capovolge l’esito fallimentare. Le storie sono, semplicemente, meglio in questo modo. Maggiormente conduttive a un qualche tipo di morale.
Ma il contemporaneo medio militarizzato, dopo troppi film americani, insoddisfatto da una tale spiegazione, continua a chiedersi “Why, oh Why, didn’t the Eagles fly the Ring to blah blah blah…” Ed a lui risponderei da sotto il cappello a tesa larga, con un colpo di bastone sulla roccia: “Taci, stolto!” Credi davvero che qualcosa di forgiato dal Signore Oscuro sul finire della Seconda Era, infuso di tutto il suo potere e malevolenza, potesse essere distrutto usando scorciatoie? Non è stato il semplice gesto di gettare un pegno come quello nelle fiamme della forgia, che ha salvato i popoli della Terra di Mezzo. Ma il coraggio e la forza d’animo di tanti piccoli Hobbit, senza capacità o addestramento particolari, disposti a sacrificare la propria stessa vita per il bene collettivo. E pace fu.
Come per le grandi guerre dello scorso secolo, in cui Tolkien stesso fece la sua parte, l’obiettivo meritevole non era la destinazione di vittoria. Ma il viaggio stesso:
Roads go ever ever on
Under cloud and under star,
Yet feet that wandering have gone
Turn at last to home afar.
Eyes that fire and sword have seen
And horror in the halls of stone
Look at last on meadows green
And trees and hills they long have known.