Si chiama Emulsifier, lo squagliatore. L’ultima creazione del giovane artista di Innsbruck nel Tirolo, Thomas Medicus (pseudonimo davvero interessante) ha una dote che riesce a distinguerla da molte altre: a seconda di come la guardi, può rappresentare esattamente quattro cose. Inizialmente, si presenta come aringa. Mica mica, una siringa. Sarebbe un pesce, questo, vagamente variopinto. Con la pinna bronzea, gli occhi spiritati, scaglie argentee e intervallate con del blu ceruleo, così, tanto per dire. O per gradire. Strano e un po’ inquietante, se vogliamo. Ma niente paura, pavidi visitatori, di restarne ipnotizzati! Basterà girarci attorno. Ecco allora che dall’altro lato di quel tavolo da pranzo apparecchiato, certamente fatto per condurre l’appetito, ci si ritroverà dinnanzi alla forma familiare di un uccello in volo. Una sorta di candido condor-cicogna, un po’ papera un po’ geroglifico, bestia evocatrice di un supremo sentimento. O per meglio dire, superiore, sovrastante, ben distante. Dalle cose meno fluide, decisamente più terrene, come ciò che nuota…Dentro. Che a sua volta, come in un gioco di pupazze russe, ospita un segreto imprevedibile. Un sistema d’ingranaggi! Nella padella del mio pranzo?! Tutto passa, per fortuna. Gira ancora per 90 gradi, pensaci un minuto e ti ritroverai davanti le ossa dello scheletro, volante. Sei dall’altro lato dell’uccello. Guarda tu, che bello. Giusto in tempo per la notte d’Ognissanti!
È un gioco che si basa sulla prospettiva, chiaramente, ma non quella virtuale di un dipinto. Benché l’arte grafica, in effetti, c’entri alquanto. Il nostro Medicus, per creare tale singolare oggetto, ha infatti messo in fila ben 160 delicatissime strisce di vetro a sezione quadrangolare, quindi vi ha dipinto sopra il primo dei soggetti. Poi le ha voltate da una parte, prima di ricominciare. Altre due volte e infine le ha piantate. Sul “giardino” di una base, “l’orto magico” della sua mente. Che inganna ma non mente. Ovvero un plinto nero in materiale plastico, ciascun lato del quale potrà misurare…Diciamo, 40 centimetri? A dire tanto, oppure giu di lì. Nell’ultimo secondo del presente video di dimostrazione, che per inciso sta facendo il giro della blogosfera sconfinata, si nota un filo bianco che spunta dal di dietro. Assai robabilmente, chiaro segno di un motorino elettrico, pensato per disporre l’oggettino staordinario sopra uno scaffale, oppure a ridosso di una scarna ed utile parete. Non tutti, a questo mondo, dispongono di sale grandi, per di più dotate di un gran piedistallo, proprio in mezzo, a far da tokonoma (gran sacello visuale) della propria abitazione. Le tematiche di una simile opera d’arte, inizialmente poco chiare, possono scovarsi da un’approccio critico al passato operativo del creatore. Un creativo che di metamorfosi, direi: se ne intende.
Sembrerebbe tutto un gioco, se non fosse per le musiche inquietanti. Che in casi come questi, c’è da ammetterlo, ci stanno veramente bene. L’illusione ottica è da sempre un strumento filosofico di primo piano. In grado di suscitare, per il tramite degli occhi dello spettatore, un turbinìo di sentimenti, il vortice conflittuale dell’incomprensione. Pareidolia è quella tendenza, nata dal bisogno evolutivo di proteggersi dai predatori, che induce l’uomo a percepire facce dove in realtà non ce ne sono. E quest’altra opera Faces, sempredi Thomas Medicus, gioca un po’ su quello. Assieme ad altre cose. Un assembramento di disordinati lineamenti, tratteggiati con lo stile iper-moderno del cubismo, sono posti in cima ad asticelle, che parrebbero disordinate. Messe alla rinfusa, casualmente. Mentre invece, gira e girando, neanche dopo un tempo lungo, quivi appaiono non uno, ma due volti: azzurro ed arancione. Tristi maschere teatrali, dalle sopracciglia arcuate. Chiaramente, il metodo realizzativo è assai meno complesso di quello impiegato per Emulsifier, che già risultava fuori dal comune, anche solo per l’abilità artigiana usata nel suo assemblamento. Ma l’idea già c’era. Era, in fondo, un bel pensiero che proviene da lontano.
Perché gia sapevano, a partire almeno da metà del diciottesimo secolo, che la pareidolia si applica anche nell’interpretare forme ben lontane dall’umano, dal felino oppure dal lupesco. Addirittura, quelle di animali niente affatto avversi alle protoscimmie spaventate. Era il caso della celebre illustrazione tedesca Kaninchen und Ente, il coniglio e la papera, ripubblicata in ogni sorta di rivista, popolare o meno, di quell’epoca di psicanalisi nascente. Si presentava così: un semplice ovale, con un occhio. E due propaggini allungate. Che potevano essere, a seconda dell’interpretazione dello spettatore, il becco di profilo dell’uccello. Oppure all’inverso, le orecchie del mammifero prolifico per eccellenza, l’ispiratore a batuffolo dell’insidioso anti-eroe a cartoni animati, Bugs Bunny. Nel dilemma su che rappresentasse quella forma, si formarono innumerevoli filosofi bambini, dubitatori del senso comune fin dagli anni della formazione. Intere generazioni, messe subito a contatto con il nesso del soggettivismo, cardine contemporaneo delle idee. Le figure del pesce e dell’uccello, che variano liberamente da una forma all’altra, sono una tematica ricorrente nella poetica di Medicus, illustratore, scultore e animatore del Tirolo. Forse in tale immagine transmogrifica va ricercato un che di esistenziale, il richiamo ai miti greci e le credenze del taoismo in Cina, interpretazioni distanti della stessa fondamentale, innegabile realtà. Che tutto muta ed al mutare delle epoche, prima o poi, invetabilmente torna uguale. Oppure.
Si realizza nell’immagine di due ingenui ed entusiasti osservatori, uno da una parte, l’altro in opposizione, che si gridano a vicenda: “Questo qui è un pesce! No, è un uccello!” Purché il motore sia in arresto, la spina scollegata. E il tavolo, imbadito di appetibile Ragionamento. Pura critica tagliente, kantiana.