È una semplice realtà dei compiti ripetitivi e naturalmente complessi. Tutti sanno che il cervello umano, se annoiato, tende presto ad automatizzare i gesti. Immaginate lavorare, un giorno dopo l’altro, in mezzo alla paura. Non quella vaga ed imprecisa del futuro, relativa alla perdita della propria privilegiata condizione, oppure l’ansia per qualcuno a cui vogliamo bene. Ma una paura microscopica, sottile ed intangibile, che vola nell’aria trasportata via dal vento. Finché non viene, in un attimo fatale, inalata. E allora si trasforma. Negli umidi pertugi di ciò che l’ospita per sbaglio ovvero tale fragile, inerme, vulnerabile organismo. Troppo spesso, troppo umano.
Questo tipo di terrore, che il mondo ingeneroso ci offre in molte razze o varietà, è subdolo e incredibilmente pieno di risorse. Una volta dentro cambia forma. Replicandosi infinite volte, tale parassita, rovina tutto ciò che gli è vicino, lo squaglia e lo fluidifica, trasforma il sangue in vino e lo decanta da ogni poro. Appropinquarsi ad una tale fonte di condanna, per un simile di quel malcapitato, non è facile. Ma conduttivo di salvezza perché si, anche di ebola si può guarire. Come muoversi, dunque? La risposta possibile è soltanto una: con cautela. In questa video dimostrazione messa in opera nel 2011 nel contesto del programma divulgativo dell’Università del Nebraska, HEROES – Healthcare and Emergency Responder Organization Education through Simulation (quite a mouthful, indeed) Venivano mostrati grazie alla simulazione, in tempi non sospetti, i metodi adeguati per rimuoversi una tuta per il pericolo biologico di livello C. Quella in uso, per intendersi, negli ospedali di metà del mondo, o almeno quelli tanto fortunati, o viceversa, da aver ricevuto attrezzatura e addestramento per gestire simili emergenze. È veramente impressionante.
L’infermiere oppure il medico, dunque, arriva puntuale sull’inizio del suo turno operativo. Potremmo trovarci, per dire, presso la sezione malattie di un grande ospedale, magari in un paese progredito d’Occidente, dove si trova, suo malgrado, l’ennesimo “paziente zero” – Sta già succedendo, dopo tutto, ieri ed oggi. E potrebbe continuare da domani, per quanto ne sappiamo! L’addetto è determinato, auspicabilmente, e forte d’animo, convinto del suo Giuramento. Prima di procedere verso il dovere, ha il sacro compito verso Esculapio, di mettersi la tuta protettiva usa-e-getta. Questo passaggio non è poi così difficile. Basta essere meticolosi. Può trattarsi, spesse volte, di una larga calzamaglia, plasticosa e resistente, sulla quale si assicurano due guanti ed altrettante calzature, attentamente chiuse con lo scotch. Sulla testa, invece, viene collocato un ampio cappuccio con maschera trasparente, collegato ad una bombola, oppure un filtro per la respirazione. Le soluzioni possono variare, in base alla pericolosità delle diverse circostanze. E purtroppo, anche in funzione dell’apporto tecnologico a disposizione…
A questo punto, inizia la sua lunga veglia. Non conosco gli specifici passi necessari, nonché auspicabili, tramite i quali si può assistere un malato che richieda tali apporti protettivi solamente per trovarsi in sua presenza. Qualcuno che è al tempo stesso terminale, perché prossimo alla morte, ma che tuttavia sta combattendo, con le fibre stesse del suo essere, per tornare a quello che era prima! E che può vincere, lo voglia il fato. Come gli Achei di Agamennone, sotto quella rocca, che fu il simbolo della più grande guerra degli antichi.
Però ecco, la nostra storia ricomincia fuori dalla porta, dopo la conclusione di quel duro turno. È praticamente, un’Odissea.
L’impiego di una tuta Hazmat di livello C, ovvero sostanzialmente equivalente a quella del video di apertura, sottintende il coinvolgimento di almeno due persone, entrambe adeguatamente protette. La serie dei gesti necessari per spogliarsi è semplicemente così complessa, e tanto delicata e pericolosa, da essere semplicemente impossibile da compiere da soli, pena il rischio d’inalare ciò che mai doveva essere inalato. O di toccare quel che mai, etc. etc…
Si comincia rimuovendo i propri sopra-guanti, dopo aver strappato via il nastro adesivo. Quindi si deposita, da una parte, l’unico componente riutilizzabile della tuta, il dispositivo usato per purificare l’aria. Questo viene attentamente disinfettato dal Secondo, un compito che qui viene riassunto, a beneficio degli spettatori, dal passaggio sommario di un fazzolettino, un po’ qui, un po’ lì (è assai probabile che in condizioni reali, i metodi siano maggiormente approfonditi). Si passa quindi alla rimozione del pezzo principale, l’indumento che copre corpo, braccia e gambe. Questo verrà fatto cadere attentamente, per evitare che se ne separino terribili particelle potenzialmente infette, direttamente dentro a un secchio di smaltimento. La parte successiva è quella maggiormente delicata. Si dovrà sollevare la parte anteriore del cappuccio, sopra la testa dell’addetto medico, e rimuoverlo senza che la parte esterna entri in contatto, in nessuna parte, con le spalle, braccia o gomiti di costui. Secondo alcuni dei commenti di YouTube, sarebbe qui che i due insegnanti sbagliano nella simulazione, dando luogo a un potenziale rischio di contagio. Perfetto! Quindi si rimuove un ulteriore strato di plastica che proteggeva i piedi, poi si procede con una doccia di disinfettante, perché non si sa mai. Permane solamente un dubbio: chi spoglierà il secondo, tanto abile nell’assistenza all’infermiere o dottore uscente? E chi spoglierà, in seguito, il suo secondo? Nella risposta a questi quesiti, si trova la ragione stessa del pericolo e della paura.
La realtà della vita, questa nostra stessa vita, è che abbiamo iniziato milioni di anni fa. Con visioni radicalmente differenti: da una parte gli eucarioti, cellule complesse con un nucleo ben differenziato e un citoplasma, per occuparsi del metabolismo e tutto il resto. Dall’altra i procarioti, semplici grumi d’esistenza, con soltanto una membrana contro la materia inerte del pianeta. Fu così che i primi si aggregarono tra loro, specializzarono formando ogni tipologia di pianta ed animale. Mentre i secondi, invidiosi e solitari, si evolsero sempre più piccoli, per meglio sfruttare le circostanze. Erano e sono costoro, i batteri. Nemici del benessere comune. Ma tutto questo non è nulla, in confronto all’odio del virus, l’essere parassitario per la massima eccellenza. Che non può nemmeno riprodursi, senza nuocere alla collettività.
L’ebola si sarebbe inizialmente diffusa, secondo alcune teorie, dai gorilla di pianura dell’omonimo fiume africano, in pieno Congo. Se soltanto si potesse ritornare indietro, in quell’inaspettata valle dell’oscurità…