Anziano maestro che sconfigge cinque campioni di judo

Kyuzo Mifune

Ah, Kyuzo Mifune! Quando nasceva quest’uomo i fratelli Lumière stavano ancora perfezionando, nel distante continente d’Europa, le tecniche per mettere la luce su pellicola, il primo prototipo di cinepresa. E adesso eccolo lì, oltre 70 anni dopo tale svolta d’epoca, sul palcoscenico finale del suo dojo di una vita. Spesa bene, molto faticosamente. Guadagnandosi, nonostante le due guerre, una reputazione di sportivo insuperabile. E la cintura nera 10° dan, il massimo grado di quel mondo, eternamente dedito al combattimento. Non per niente tutti lo chiamavano a quel punto, “Il Dio del–“. Questo è uno spezzone di The essence of judo un vecchio e interessante documentario, disponibile su YouTube senza una data esatta o altre specifiche di produzione, probabilmente reperito in origine, nonché sottotitolato, dallo stesso utente Mike Fliss, che ne offre la versione integrale di un’ora di durata.
Qui compare lui, lottatore leggero e apparentemente irrigidito dall’età, rigoroso eppure privo di una massa muscolare rilevante, ormai canuto, spigoloso e invulnerabile quanto uno spietato stelo di bambù. E l’intero gotha tokyoita della scuola Kōdōkan, ove era nato, neanche un secolo prima, il concetto stesso di quest’arte marziale moderna, in cui le tecniche di epoca Muromachi (XVI sec.) venivano adattate e limitate a ciò che fosse giusto, ed utile, al di fuori della furia di una guerra. Niente più intento omicida, dunque. Ma non fraintendete questa scena! Non stiamo certo parlando, qui, dell’incontro tra un anziano istruttore in pensione e i suoi pupilli adoranti, la nuova generazione che lui stesso ha contribuito a plasmare, pronta a ricambiarlo con un gesto di rispetto collettivo, lasciandolo trionfare per bontà… Questa durissima lezione, perché di ciò si tratta, è anche lo scontro tra visioni estremamente differenti. Ciascuno dei giovani guerrieri coinvolti si era già meritato, attraverso innumerevoli tornei ed esami, almeno il quinto o sesto grado oltre il colore nero, tracciando, con gli archi e le proiezioni disegnate dagli avversari sconfitti, una sua via del judo lunga e articolata. Che ebbe a condurlo sopra quel tatami, dandogli l’ultima opportunità. D
i superare chi è venuto prima! Nella visione del combattimento dell’Estremo Oriente, anche contesto del mondo circostante ha un grado primario d’importanza. E finita l’epoca di transizione, dopo la fatica fatta dai predecessori, come mai potrebbero loro dar prova di essere altrettanto validi, e possenti? Se non così, allora…

Nel 1956, forte dell’esperienza acquisita, Kyuzo Mifune scrisse e fece pubblicare un libro, Il canone del judo, in cui rivedeva e suddivideva in modo differente l’intero corpus dell’insegnamento di Jigorō Kanō. Era impossibile superare il sacro fondatore della scuola, polimata e divulgatore, grande personaggio nella storia olimpica e dello sport tutto. Però si poteva edificare, sopra i suoi insegnamenti. Già da tempo, come l’ultimo dei suoi amici personali ancora praticante, il vecchio maestro Mifune aveva condizionato con la sua visione e stile d’insegnamento il flusso stesso di quel grande fiume, e adesso qualcuno affermava, non senza un certo grado di preoccupazione, che il judo successivo alla seconda guerra mondiale fosse diventato meno “duro” e più “gentile”, che avesse perso il suo sentiero originario. Almeno, così diceva Trevor Leggett, il celebre istruttore inglese.

Go Tsunoda
A far da contrappunto alla battaglia di apertura, ecco un esempio più recente di maestro di judo alle prese con i suoi giovani studenti. Lui è Go Tsunoda.

La storia di Mifune è, in un certo senso, anche quella del judo. Il futuro maestro veniva da lontano, dalla piccola città di Kuji, nella prefettura di Iwate. Era un bambino piuttosto sregolato, a quanto si usa dire. Fu a 13 anni, nel 1896, che scoprì quest’arte marziale nuova, presso una severa scuola del Sendai, dove l’aveva mandato suo padre, per punirlo delle scorribande scriteriate ed i fastidi che aveva arrecato alla famiglia. Che fantastica ironia! A 14 anni, durante un torneo regionale, sconfisse 9 avversari di seguito. Così scoprì la sua passione, l’unico sentiero meritevole di essere seguito. Lo ritroviamo all’epoca dell’università, quando trasferitosi a Tokyo, per frequentare la prestigiosa Waseda, decide di iscriversi per frequentare il dojo Kōdōkan, l’origine stessa del suo mito. Non era facile riuscirci, a quell’epoca a cavallo tra due secoli, e richiedeva, soprattutto, la raccomandazione di un membro interno, con cui stringere un mistico patto d’alleanza. Ma lui non si perse d’animo. Piantonò, per settimane e mesi, la figura di Sakujiro Yokoyama, detto “Il Demone” tra i più forti lottatori di quell’epoca. Il quale alla fine, stanco di vederlo nel vialetto fuori casa, o forse colpito da tanta cocciuta determinazione, acconsentì all’idea. Nel 1903, Mifune si unì alla scuola stessa di Jigorō Kanō. Aveva 22 anni: suo padre, piccato per il fatto che spendesse i soldi di famiglia per qualcosa d’altro che studiare, smise di mandarglieli.
Segue un’epoca di successi senza pari. Mifune, auto-pubblicando un giornale che gli permetteva di mantenersi, si guadagna una reputazione d’imbattuto della scuola. Vince numerosi tornei e nel 1912, a soli 30 anni, è già istruttore con il sesto dan. Quell’anno esatto si sposò, con una ragazza della sua nativa Kuji, su specifica richiesta di suo padre. Ci sono molte storie, su di lui. L’amico occidentale E. J. Harrison, a cui lui dedica il suo libro Il canone del judo (1965) racconta della volta in cui furono aggrediti insieme da un gruppo d’ubriachi, dentro un piccolo locale vicino alla scuola Kōdōkan. E di come lo svelto lottatore giapponese, da solo contro tutti, avesse messo in fuga 13 avversari, grazie a pochi colpi attentamente calibrati. A 40 anni, con un peso approssimativo 45 Kg, Mifune sfidò un campione di sumo alto un metro e ottanta, dalla stazza complessiva di oltre due volte e mezzo la sua. Finendo per proiettarlo in aria due minuti dopo, grazie alla sua personale interpretazione della presa uki otoshi. Così trionfava di nuovo e ancora, e ancora.
Finché non giunse, un giorno, a questo, il giorno dell’incontro predestinato. Qualcuno potrebbe affermare che i giovani studenti, tanto abili anche loro, avrebbero potuto sovrastarlo grazie alla pura forza fisica, sollevandolo di peso. Non saprei, non ne capisco abbastanza. Di certo, l’anziano Mifune si dimostra agile, per qualunque età. E poi, che senso avrebbe avuto? Battere “Il Dio del judo” usando tecniche da rissa di strada…Il disonore di un simile gesto sarebbe stato sconfinato. Raggiunta l’epoca della saggezza, il chi che scorre dentro al corpo umano smette di agitarsi. Immoto come uno stagno, si trasforma nello specchio che riflette il mondo delle cose. Permettendo, non soltanto al saggio di comprendere il nemico. Ma a quest’ultimo, di capire, finalmente, la Realtà.

Lascia un commento