291 metri, apperò! Avvenne così, nel continuo tentativo di ridurre il peso degli aerei, che si giungesse a fare a meno del motore. Integrandolo, senza colpo ferire, con la figura del pilota stesso. È una forma veramente nuova, per un velivolo in grado di staccarsi dal terreno sulle proprie forze, si, ma solo per qualche minuto. Giacché anche andando verso le destinazioni verticali, l’uomo non può perdere di vista l’orizzonte. E raggiungerlo, anche concettualmente, richiede un certo numero di pedalate.
L’erba verde giaceva immobile presso un piccolo aeroporto di Goheung, isola sulle propaggini meridionali del paese suddiviso in due metà. 4 aprile del 2013: Senza un filo di vento, né impazienza. Sospesi tra colline verdeggianti e il mare, ecco un gruppo di sportivi, pronti a sfidare i limiti delle presunte circostanze. Sarebbero in effetti, costoro, i giovani ed atletici rappresentanti del KARI, l’istituto aerospaziale coreano, alle prese con l’annuale sfida, regolarmente indetta, di un antico fascino per la moderna civiltà. Volare, senza l’assistenza d’altro che dei propri muscoli guizzanti, alimentati grazie alla benzina di un gran piatto di kimchi (pietanza nazionale) a far le veci di un prezioso, assai gradito carburante. Niente inquinamento, né lungaggini d’imbarco. Prendere semplicemente il volo, dopo aver preso la rincorsa, come teorizzavano i sapienti, osservatori degli uccelli liberi e incostanti! Eppure comunque, sempre per il tramite della tecnologia. Se bastasse battere due ali fatte con la cera, oggi stimeremmo Dedalo, al posto dei fratelli Wright. E Leonardo avrebbe avuto la sua pista a Fiumicino con sei secoli d’anticipo, anno più, anno meno.
Guardateli, sopra quelle folli macchine volanti. Guardate quelle macchine, tra l’altro. E osservate, soprattutto, la follia ingegneristica che le contraddistingue, un sinonimo, da che esiste il tempo, di genio e sregolatezza. Questi veri e propri velocicli-fatti-per staccarsi dal terreno, piuttosto che di un solo pezzo di allumino, sono composti da intricate reti e agganci in fibra di carbonio. Le loro ali, piegate verso l’alto come quelle di un aliante, hanno l’unica membrana di una pelle in microfibra, o plastica di qualche tipo. Un intero mezzo come questi, generalmente, non raggiunge neanche i 40 Kg di peso, risultando quindi l’elemento meno oneroso, nell’imprescindibile diade guidatore-aeromobile. Per la “cabina” di comando, poi, c’è ogni tipo di diversa soluzione: alcuni piloti si accontentano di un piccolo sellino, con due ruote tipo il carrello da ristorante, su cui stare faticosamente in equilibrio nella fase di decollo. Altri adottavano approcci più complessi, con carene dall’aspetto spiccatamente motociclistico, concepite per massimizzare la scorrevolezza aerodinamica. Uno dei concorrenti, addirittura, si era fatto rinchiudere in un cabinato semi-trasparente, che avrebbe dovuto favorire la riuscita dell’operazione ma invece si rivela, alla prova dei fatti, di gran lunga troppo pesante. I risultati, ciò è palese, possono variare.
Non sapete quanto!
L’idea di usare le risorse muscolari applicate sulla trasmissione di una bicicletta per staccarsi dal terreno non è nuova, né esclusiva dell’Estremo Oriente. Il 23 aprile del 1988, il dipartimento di aeronautica del MIT (Massachusetts Institute of Technology) mise in atto il suo progetto Daedalus, che prendeva il nome dal già citato personaggio della mitologia greca, il costruttore del minoico labirinto. Che ivi rinchiuso, assieme a suo figlio Icaro, costruì quelle ali che gli valsero la libertà. E costarono a quell’altro giovane la sua stessa vita, per il troppo orgoglio e l’ignoranza della prima legge della termodinamica, ovvero l’effetto del calore sulle cose che si squagliano, ahimé. Ma molto maggiormente fortunata, fu questa versione ammodernata e americana dell’impresa, basata su di un velivolo niente affatto dissimile, nell’aspetto, da quelli coreani già mostrati. Ma che volò, in quel caso, da Creta a Santorini, per un totale di 115 Km e tre ore di potenti pedalate. Non per niente, c’era Kanellos Kanellopoulos ai comandi, campione olimpico della sua Grecia, fonte e perno dell’Idea.
Che dire, dunque? Si, si può fare. Non è facile, ma l’intenzione crea il pretesto del successo, la virtù suprema della leggiadria. Sovrastare le propaggini del mondo: purché si abbia voglia di applicarsi nella fase troppo spesso trascurata, la progettazione dell’impresa. Poco importa, della forza e resistenza di chi è sopra un tale mezzo, della sua convinta propensione; senza l’apporto attentamente calibrato di un intera squadra di studiosi, diligenti e attenti costruttori.
Siano questi addetti di una fabbrica industriale, in grado di assemblare le strutture di sostegno del futuro. Siano invece sarti, falegnami o cuochi di kimchi.