Preparatevi, futuri cultori dell’arte perigliosa del downhill, perché sto per confidarvi una questione sconvolgente. Un dato così terribile, mostruosamente spaventoso, che potrebbe sovvertire le radici stesse della vostra pace quotidiana. Skeleton thread, il filo dello scheletro: percorrevo semi-addormentato, l’altra sera, le regioni occulte della rete internettiana, tra gruppi scapestrati di scrittori dilettanti, appassionati di storielle senza senso e zombies aziendali con la missione di evangelizzare l’ultimo giochino per i cellulari. Quando in mezzo a un tale turbine di frasi illogiche, eppure ricche d’entusiasmo, scorgo il bianco volto del destino: miseri resti di un supremo negromante. Qualcuno, forse lui stesso dalla tomba sotterranea ove riposa, aveva pubblicato quella foto in cui non campeggiava neanche un solo grammo di carnosa e soffice presenza. Né labbra, naso e sopracciglia. Tutto denti ghignanti, un tale volto, e spigolosi zigomi, con sopra i buchi neri delle orbite abissali. Capelli, cosa sono? Se la morte dovesse venire, come nei racconti medievali, a prelevare di persona i suoi perseguitati, certamente lo farebbe a guisa di quell’individuo macabro e spietato. Ma mentre meditavo sulla situazione, dinnanzi allo sfavillar del monitor notturno, avvenne l’impossibile: d’un tratto, l’intera community del sito si era trasformata. Piuttosto che pubblicare, ancora e poi di nuovo, le stesse quattro immagini di cani giapponesi, tutta l’intera armata si era raccolta spontaneamente, sotto alla foto dello scheletro iniziale. E allora, fu la danza macabra, di nuovo. Alti, bassi, lunghi e corti. Milioni d’ossicini e pixel spaventosi, animati da una forza stregonesca, terribili guerrieri, con spada, scudo ed elmo da vichingo, oppure semplici passanti sulle strade cittadine, in mezzo ad uomini normali, teschi con fedora e valigette da lavoro. I più terribili, questi ultimi, proprio perché ignorati. “Allora c’è una cospirazione!” Iniziai pensare. “Gli scheletri camminano fra noi.” Ah! Che ingenuità. La situazione è anche peggiore, di così.
James Kelly, professionista celebrato del suo ramo, osserva l’alba da una cima delle Western Sierras, in California, a pochi chilometri dalla seconda casa della sua famiglia. Dove crebbe, insistendo e giocando a perdifiato, finché non gli spuntarono le ruote sotto i piedi. Di uno skateboard come gli altri, all’apparenza, eppure destinato a far la differenza. I condor gridano la loro furia dai distanti cieli, mentre le nubi si arrovellano tra le orbite dei mercuriali lidi. È giunta l’ora di partire? Guardate, per crederci! In questo video prodotto dalla Arbor, compagnia specializzata in tavole da corsa, lui sfiora la velocità del suono, tra curve serpeggianti, ripidi dirupi e soprattutto, qualche volta, auto contromano. Dev’essere estasiante. Percepire ogni leggera asperità dell’asfalto, trasmessa come corrente elettrica fino ai propri organi sballottati un po’ qui, un po’ là, mentre ci si piega a 80-90 Km/h (o anche più). Non. Provateci, naturalmente. Qui c’era l’apporto, oltre all’abilità dell’individuo, di un’intera troupe di supporto, posizionata strategicamente a fare segni agli automobilisti. Si può quasi dire che costui corresse in sicurezza. Quasi! Benché va detto, la ragione è comprensibile, condivisibile, persino. Era una fuga folle dallo scheletro nascosto, che…
PRO MODEL: l’ultimo prodotto in vendita sul sito della Arbor. Quasi un metro di lunghezza, prezzo non pervenuto (telefonare) con livrea sgargiante, ottuplice piastra di legno d’acero, ruote in formula del diametro di “ben” 71 mm, serie sucrose (saccarina) – certo, che abbondanza! Chi non vorrebbe correre oltre la velocità di tre ghepardi in caccia, sopra quattro dadini non dissimili da quelli di una sedia della segretaria…Beh, non fatevi trarre in inganno. Simili tavole, con truck & trick annessi, sono veri e propri concentrati di tecnologia, costruiti secondo dei criteri attentamente definiti. Lo sport del longboarding nasce verso la metà degli anni ’70 grazie all’operato di pionieri come Tom Sims e Brad Stradlund, oltre agli articoli di alcune prestigiose riviste di settore. Da allora, ne abbiamo fatta di arzigogolata, ruvida, rutilante strada! Al punto che persino una tranquilla comitiva di ragazzi, tanto per divertirsi, può mettere in atto la ragionevole approssimazione della corsa audace di cui sopra:
Con baldanza, con entusiasmo, con purezza d’intenti e una fantastica visione dell’avvenire. Ma mai, senza paura. Per diverse imprescindibili questioni. Tra cui la principale, ovvero, perché corriamo? Cosa ci spinge, noi esseri umani ben forniti di due gambe, ad avventurarci giù per le discese mortifere delle montagne, tra conifere, piante spinose, aguzze rocce in speranzosa attesa? (Di poter tritare chi le sfida.)
Ci sono diverse teorie, possibili realtà contrapposte. Qualcuno, la prima e l’ultima, l’omega, la trova dentro al filo (thread) dello scheletro. Un rito memetico, per sempre srotolato, identificato con l’appellativo in lingua inglese per le discussioni internettiane + qualcosa. Il primo pubblica un teschio ballerino, diciamo su 4chan. Tutti gli altri seguono, attorno a quel tremendo tema. Funziona tanto meglio verso Halloween, quando invero gli scheletri si affollano, assieme alle mummie, agli spettri ed ai vampiri, per le vie della suburbia americana, oltre che nei siti social e sul Facebook italiano, in questi tempi di suprema globalizzazione culturale. È un gran divertimento, con migliaia di bambini, scherzi, lazzi e caramelle. Finché non giungi in fondo alla ragione, e leggi, con gli occhi spalancati dal terrore, l’agghiacciante verità: “C’è uno scheletro SPAVENTOSO proprio DENTRO DI TE, ADESSO!” Se vuoi seminarlo, fuggi. Se devi fuggire, rotola. Se poi ti schianti, eh… Tanto meglio? Almeno avrai mortificato quel dannato femore, l’orrenda tibia, l’indesiderato e barbaro bacino. E avrai pur sempre Internet, per divertirti.