Oculus e i plasmatori degli spettri sfeoridali

Oculus Clay 1

La realtà virtuale può fare molte cose per intrattenerci, dal creare impossibili montagne russe sotto i divani del soggiorno, al portarci, iride, pupilla  e tutto il resto, proprio in mezzo alle invasioni aliene dei nostri giochi digitali preferiti. Quello che ancora non sospettavamo, nonostante le premesse, era che potesse anche semplificare l’opera di chi tali ambienti fantasiosi ha il compito trasferirli, usando il mezzo del computer, dalla propria mente all’esperienza del suo pubblico entusiasta. Sto parlando, tanto per gradire, dell’artista tridimensionale, maximo scultore del contemporaneo.
Avete mai provato, magari per “divertimento”, ad industriarvi con un software per la grafica 3D? Fra tutte le attività di creatività computerizzata, non ve n’è una maggiormente ostica, controintuitiva o lunga da portare all’ultima destinazione. Gli esperti del settore paragonano regolarmente l’apprendimento di Maya, 3D Studio Max o similari, al percorso di un melofilo principiante, che si sia proposto di suonare finalmente il pianoforte a coda da concerto. Quasi che una volta dominata la seconda dimensione, grazie all’impiego di qualche dozzina di comandi, il gesto lieve del cursore e l’ordinata tavolozza di strumenti, aggiungervi la terza sia come inoltrarsi dentro a un labirinto senza uscita, di vettori, vertici, equazioni matematiche, astrusi metodi e complesse procedure. La ragione non è ardua da capire: i sistemi informatizzati, con i loro nanometri di ragionevolezza, non vedono le cose in modo chiaro. Si! È una difficile, ma pregna verità. Una sfera e un cubo (che per noi soltanto questo sono, lucidi e lampanti nello spazio delle forme) laggiù diventano una sfilza di distanti coordinate, valori numerici tanto diversi dall’intuizione della prospettiva rinascimentale…. Quanto la sfera in questione, lo è dal cubo di cui sopra. Provate a modellare un Colosseo col vostro mouse. Nel frattempo, con due fogli e una matita, io vi faccio Notre Dame, l’opera di Sidney e il Burj Khalifa.
Enters: VRClay. Un sistema con tre componenti hardware, il cuo cuore è un modo di nuovo di risolvere le cose. Si tratta di un’applicazione di quell’ultimo schtick dell’epoca 2000, la NUI, o interfaccia utente naturale. Qualcosa di simile al funzionamento quasi-haptico dei nostri odierni cellulari, in cui le icone si trasformano in pulsanti e un solo polpastrello può influenzare il nesso, la ragione di un’e-mail. Ovviamente, questa invenzione, preliminare nel funzionamento, va vista un po’ in potenza. C’è ben poco di realmente utilizzabile dal punto di vista commerciale, in un tale globo estruso con ferocia ed entusiasmo semi-bambineschi. Ma già emergono le prime facce di un mercato nuovo, in cui gli eroi ed i loro antagonisti, piuttosto che materializzarsi da progetti ultra complessi, potrebbero venire dall’argilla di un minuto, oppure due.

Oculus Clay 2
Non moltissimi progressi, però significativi

Il sito del progetto, come spesso capita di questi tempi, è scarno ed essenziale. Questo vecchio campo della visione immaginifica informatizzata, riportato in auge da certi prodotti che stanno per giungere in commercio, è terreno fertile per chiunque disponga di un’idea, anche se ancora priva di connotazioni ben precise. Una situazione simile a quella di Vojtěch Krs, il ragazzo che qui vedevamo tre mesi fà, intento a dargli forma, letteralmente, un colpetto e una spintarella alla volta. Sul suo volto campeggiava l’ingombrante prima versione del kit di sviluppo della Oculus, la fù startup auto-finanziata, ormai ben inserita nel sistema corporate dei nostri giorni, che da qualche tempo sta investendo i soldi del colosso Facebook per portare la realtà virtuale nelle nostre case. Mentre nel suo successivo video (quello di apertura) lui già disponeva della seconda. Nelle mani, le stesse due plasticose impugnature da pistola.
Che sono i componenti dell’Hydra, un sistema di controllo a sei assi di un’altra azienda, la Razer, specializzata in periferiche da videogiochi. Questi attrezzi, che dovrebbero teoricamente servire a fare fuoco sui nemici di qualche epopea fumettosa, così diventavano pennelli magici, in grado di plasmar direttamente un qualche tipo di materia insostanziale. Che lui quindi vede, in tempo reale, come sospesa innanzi ai propri occhi! La capacità del visore Oculus Rift di riprodurre i movimenti della testa, in questo caso, serve a poco. È il suo display stereoscopico, che da il ritmo delle cose. La sensazione complessiva dev’essere difficile da sopravvalutare. Come trasformato in un moderno Donatello, scolpire marmi fluorescenti, lapislazzuli di un sogno senza fine…A nostro beneficio, cosa rara, lui ha piazzato sul suo tavolo una sorta di tovaglia del destino. Ovvero uno stuolo ripetuto di superfici per la realtà aumentata, non del tutto dissimili dai prosaici QR Code da scansionare, qui usati collocare corretamente i risultati della sua opera nello spazio prospettico della stanza di lavoro. Vederlo, spalancare gli occhi: causa e conseguenza.
Ragni e virii fluttuanti, cellule di un organismo senza mente né intenzione, questi vettori parlano di un incredibile imminenza. Difficile capire quanto sia tutto davvero lo spontaneo frutto dei suoi gesti, e quanto invece di un copione attentamente definito. Poco importa: l’interfaccia esiste almeno come idea, ed è già una meraviglia. Se qualcuno, da qualche parte, potesse far pervenire a quest’uomo l’ultimo kit della Oculus, nome in codice Crescent Bay, con tracking a 360 gradi ed ottica potenziata, certamente non se ne pentirebbe. E farebbe un gran favore a tutti noi!

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