Il fotone non ha peso, però porta un peso. Dell’energia potenziale di un’informazione, nascosta nella correlazione tra i suoi consimili spediti verso un lungo viaggio. Nessuno lo sa meglio del gestore telefonico giapponese au (tutto minuscolo) in modo particolare dal momento in cui ha attivato il suo nuovo servizio ひかり (Hikari) Che non ha nulla a che vedere con il mecha guerriero della serie apocalittica Evangelion, nonostante l’omonimia con il pilota dello stesso. Strana coincidenza! Hikari vuol dire luce, ma anche fede, prospettiva. Splendore, come quello di un intero gigabit di dati, scagliato da una costa all’altra di una tecnologica nazione, fra le maggiormente produttive ed influenti al mondo. Grazie all’impiego della fibra ottica, strumento principe del nuovo web; coronamento di una lunga attesa di noi utenti senza un grammo di pazienza. Affinché si possano osservare cento e mille gatti che cercano di entrare in una scatola di scarpe, tutti assieme e in HD. Per scaricare in due minuti il contenuto visuale di un’intera imageboard, luogo di scambio d’opinioni ed immagini bizzarre. Internet può fare molte cose, e finalmente, grazie all’idea che sorregge questa buffa pubblicità, anche spostare le sferette di metallo, lungo binari e fino a remotissimi bersagli. Palle “di accesso” verso il fiume fumigante del futuro.
È piuttosto raro, per un semplice spezzone commerciale, riuscire a proporre un concetto dello scibile completamente nuovo. Per non dire senza precedenti; e qui si trattava, per l’appunto, di combinare almeno due cose già assai diffuse, nel campo dell’immaginifico visuale, però dando i natali a un qualcosa che si dimostrasse veramente stupefacente. Da una parte c’è una potente lampada alogena, sopra un affusto filiforme che la rende simile a uno specchio di Archimede. Dall’altra un prisma pronto a scindere l’atteso raggio, sopra un cubo vuoto di comuni presupposti. Il procedimento per illuminare quest’ultimo, dando luogo ad una piccola ma pregna proiezione, sarà tutt’altro che immediato, semplice o diretto. Siamo di fronte, tanto per usare un termine specifico, alla più originale delle macchine basate sul progetto di Rube Goldberg, il fumettista statunitense (1883-1970) che seppe creare, con largo anticipo, uno dei cardini del marketing sul web. Le sue invenzioni disegnate, di reazioni a catena indotte tramite passaggi totalmente fuori dal comune, spesso finalizzate al compimento di un compito insignificante, sono nel tempo diventate parte integrante dell’immaginario collettivo: certamente ricorderete quella vecchia puntata di Tom & Jerry, in cui per catturare il topo, il gatto aveva costruito una trappola diabolicamente (quanto inutilmente) complessa. Il fiammifero bruciava la corda, che faceva cadere la bottiglia, che spingeva la palla da biliardo, che versava l’acqua nella ciotola, la quale, a sua volta…In quel caso, l’intera sequenza culminava con la rovinosa caduta di un ferro da stiro, finalizzato all’annientamento del piccolo, ma invincibile nemico. Naturalmente, a quel punto, il formaggio era già terminato da un bel pezzo. E il suo divoratore marroncino si trovava a una distanza sufficiente per spuntarla senza neanche un mezzo graffio. Ridendo, esattamente come noi, dell’assurda situazione.
L’originale impostazione di queste fantastiche creazioni, elaborate quanto illogiche, era finalizzata unicamente all’intrattenimento. Non c’era alcuna velleità d’efficienza o base scientifica, mentre nessuno si aspettava che sarebbero state prese, un giorno non lontano, anche soltanto parzialmente, sul serio. Ma i crismi della creatività cambiano, assieme al mondo che li genera. E in questa epoca del post-moderno, in cui tutto viene valutato sulla base della concretezza, persino il volo pindarico del fumettista è diventato un qualcosa di perfettamente realizzabile. Magari, con qualche licenza, per così dire, poetica.
Il video della au presenta valori produttivi decisamente fuori dal comune. Potrebbe in effetti costituire chiaramente, sotto i nostri attenti occhi, l’esempio di ciò che si riesce a realizzare in televisione con un ingente investimento, ma che non sia finalizzato solamente all’assunzione dell’ennesimo testimonial, che presti il volto al marchio da reclamizzare. Bensì a figure tecniche, o creative, della più alta caratura disponibile al momento.
Nel nero assoluto di una camera oscura, una lente d’ingrandimento fa scoppiare un palloncino. Quest’ultimo che era legato con un filo ad una biglia, la libera ed induce il suo rotolamento, lungo un binario metallico spiraleggiante. Ciò che colpisce, oltre alle immagini innovative, è la qualità del suono. Ciascun singolo evento della sequenza viene sottolineato da un effetto auditivo estremamente esplicativo: persino il fumo, generato da un piccolo elemento ligneo sottoposto a un tale raggio, riceve la connotazione di un sinistro sfrigolìo. Nel frattempo un delicato pulviscolo, che permea tutta l’aria, permette di seguire puntualmente il moto dell’alone luminifero, quel distruttivo raggio che da il passo alla pubblicità. In effetti è proprio quest’ultimo a dare origine ad un dubbio altamente giustificabile: possibile che il raggio generato dallo “specchio” non venga in alcun modo attenuato col procedere dell’arzigogolato percorso? Scientificamente, nulla si crea e nulla si distrugge. Tranne il patto finzionale con lo spettatore.
Il Giappone non è nuovo a tali incredibili scenografie. Per un paese come questo, che trova una delle sue massime espressioni contemporanee nell’intrattenimento d’evasione, la programmazione televisiva si trasforma spesso in un tremendo campo di battaglia. Ci sono gli anime maggiormente sfrenati, i cartoni animati per giovani ed adulti, spesso criticati dall’estabilishment politicizzato per la loro presunta violenza fine a stessa, oppure la valenza percepita come diseducativa. E a contrapporsi a loro, strani varietà o talk show, spesso sul modello esatto di ciò che seppe inventarsi il celebre regista Takeshi Kitano negli anni ’80 con il suo Fūun! Takeshi-jō (da noi giunto solamente nella reinterpretazione Mai dire Banzai) un vero tour de force di auto-umiliazione ironica, personaggi ridicoli e cavalcante goliardìa. E cosa potrebbe mai scuotere, dunque, un pubblico abituato a simili eccessi? Soltanto ciò che vi si staglia di contrasto: il massimo della sobrietà, dell’astrattismo figurativo e della ricercatezza. Forse anche per questo, a mio avviso, la macchina luminosa della au non costituisce l’eccezione, bensì la norma della reclamizzazione nazionale.
Basti del resto osservare questa vecchia pubblicità della docomo, un altro gestore telefonico, ambientata in mezzo agli alti alberi di un bosco misterioso. Si trattava di un’altra complessa invenzione, questa volta totalmente lignea, finalizzata alla riproduzione di un lungo e memorabile jingle. L’interminabile strumento fu messo in funzione grazie all’impiego di una serie di palline, anch’esse in legno, che riuscivano a suonarlo come fosse uno xilofono. Alla fine, encore, entra il prodotto: un curioso telefonino a forma di fagiolo, con la scocca assai probabilmente di betulla. Altro che mele morsicate di metallo! Qui c’è un intento di purissima e stupenda falegnameria…