Drone contro pecorone, solo lui la spunterà

Ram Drone

Un’ape gigante. Dal cuore pulsante. Quattro ronzanti eliche, una telecamera squadrata. Con l’occhio placido e le lunghe corna spiraleggianti, egli l’osserva mentre scende presso la sua corte rigogliosa. L’oscuro signore del bosco pedemontano non ha dubbi: questa cosa è l’opera dell’uomo. Ancora una volta, come fatto con i suoi antenati candidi e lanuginosi, l’invasore neozelandese ha portato qualcosa presso i boschi oscuri dell’antico mondo. E dopo l’ha lasciata lì, libera di fare il suo bisogno. Le tredici tribù percorrono, da nord a sud, queste strade splendide delle due isole di un arcipelago, accogliente. Ma talvolta insidioso. Sono, costoro, le pecore perdute. Così può capitare d’incontrare una creatura come questa, l’ennesima orgogliosa erede della dinastia merinos, gran risorsa della vecchia Spagna.
I droni non sono così propensi alla rivolta. Collegati da un sottile ponte d’onde radio all’ombelico di un telecomando, trovano la massima soddisfazione nel portare a compimento la missione di giornata. Risultando disposti, addirittura, a rischiare la propria robo-incolumità soltanto per una manciata di preziosi fotogrammi, sopra l’acqua, tra le nubi, oltre i palazzi di città inconsapevoli e spietate; mentre la pecora è libera, incostante. Come può esserci una comprensione di qualunque tipo, tra queste contrapposte verità? Sembra quasi di sentirgli dire, al cupo abitante: “TU-NON-PUOI-PASSARE” Nello stile cinematico del vecchio Gandalf, benché il suo aspetto complessivo, con massima evidenza, ricordi piuttosto l’altra parte di quella drammatica battaglia. Ma non c’è cattiveria, in questo Balrog veramente meno fiammeggiante. Placido e piacente. Giusto un po’ di testardaggine, e la testa (dura) per portarla fino alla fatale conseguenza. Perché mentre la mucca mangia solamente l’erba, ruminando con lo sguardo a terra, la pecora talvolta preferisce fare il bruco. E masticando foglie, il pericolo lo vede da lontano. Colpisce il drone, lo scaglia nel cespuglio. Poi colpisce pure il proprietario.
Si, Buddhanz1, l’hai trovato. Il Sacro Graal di chi va in cerca di video virali, la chiave innegabile di un vasto successo internettiano. L’ariete arrabbiato, una nostra vecchia conoscenza, che tu hai recentemente battezzato Ram-bro. Grande avversario delle moto, portatore di GoPro, ultimo guerriero di una landa ormai civilizzata. Colui che ruba popolarità e un alto numero di click, ridistribuendola attraverso lucide testimonianze battagliere. Se anche lo sceriffo di New-Nottingham dovesse venire ad arrestarlo, causa dronecidio, il pecorone tornerebbe presto libero in potenza. Tutte le pecore neozelandesi possono trasformarsi in Rambro. Questo nome non è un individuo ma un’idea. E già suo stesso sangue cresce, sotto l’ombra della libera faggeta…

Ram Dog

Il piccolo di Rambro, che molto giustamente è stato battezzato Ram-boy, già dimostra in parte quel coraggio che contraddistingue il suo famoso genitore. Niente affatto intimorito dal qui presente Pitbull color crema, Dodge (quest’uomo ha un gran talento per i nomi) l’agnello nero, scurissimo, gli gira attorno, poi si appropinqua per un sorso di gradito latte. Un piacevole quadretto familiare, sembra questo, soprattutto vista l’assenza del chiassoso arnese volante, quel temuto automa telecomandato che riesce tanto a innervosire anche parecchi esseri umani.
Finché, naturalmente, il pecorone-padre non fa la cosa. La sua cosa: incollerirsi, indignarsi, dar principio all’ira che conduce verso la feroce carica di cento atroci campi di battaglia. C’è una ragione se i tronchi con cima metallica usati negli assedi medievali, come ausilio allo scardinamento, venivano decorati con la ragionevole approssimazione della faccia di Rambro. Non c’è nulla di più pericoloso, per il morale umano, di essere inseguiti dal feroce maschio della pecora. Che dovrebbe, nell’ideale comune, evocare un’immagine di quiete e di tranquillità. Ma è invece forte, più di quanto possa sembrare al primo sguardo. E dotato di un corno duplice e ritorto, emblema diabolico, arma potenzialmente dolorosa. Non ci sarebbe un granché da ridere, a trovarsi in prima persona dentro a tale situazione. Anche se risulta davvero facile ammetterlo: le peripezie di questi avventurieri del web, alle prese con simili animali, sono utili a dimostrare quel fondamentale rapporto tra la causa e l’effetto. A far capire che tra animale ferale (ritornato allo stato brado) e selvatico, non c’è poi tanta differenza, e passato il giusto numero di generazioni, anche i nostri beniamini domestici sapranno come farsi rispettare.
Il che, almeno a giudicare da un certo tipo di letteratura futuribile, è un’ottima notizia. In quanto ormai, rapidamente avviati verso la prima metà del secolo 2000, siamo prossimi alla seconda grande rivoluzione. Quando ogni forma di produzione industriale verrà data in affidamento a macchine prive di sentimenti, a chi potremo mai rivolgerci? Robot antropomorfi guideranno i nostri veicoli, droni ci sorvoleranno ad ogni ora del giorno e della notte. Mentre la pecora neozelandese, nera come Neo di Matrix, sarà lì. Pensosa.

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