Non scordiamoci il pomodoro. È la più alta, mistica ed impressionante di tutte le fontane Zen per la meditazione. È un colosso che ha radici nelle viscere del mondo, ma piuttosto pare una sorgente. È il vulcano tanzanese che il popolo Masai da sempre chiama: Ol Doinyo Lengai, ovvero: la montagna di Dio. Qualifica che lo accomuna a tanti altri suoi colleghi, però tutti privi di cotanta quintessenza. Perché non è come il Fujiyama, tale picco, non è l’Etna né l’islandese Bardarbunga. Dalla sua cima scaturisce una fanghiglia assai particolare, quasi fredda, se mai volessimo toccarla. Mille gradi in meno della consuetudine, per un totale di “soltanto” 500. Di una zuppa che non è comunque terra mista ad acqua, come avviene nei crateri dei massicci di Berka in Romania. Ma vera pietra liquida detta carbonatite o natrocarbonatite, sostanza mista a terre rare e stronzio, bario, niobio. Una lava differente, osservabile, ai nostri giorni, solamente in questo strano luogo. Il cui colore pare quello del mercurio, dell’argento, delle nubi di una sera sul finir d’agosto. Non vorreste visitarla, un po’ assaggiarla? Per una spedizione, mai pianificata, da portare avanti con un forte piglio sperimentativo. Se ci siamo, adesso è ora di mangiare. Di appoggiare questa pizza sopra il flusso di fanghiglia quasi incandescente, definito in gergo hornito. Tempo di cottura: tre minuti, almeno. Si consiglia l’uso di un tegame con coperchio. Per salvare i denti, la purezza dell’impasto ed il colore…
Eternamente bianco. Tale massiccio alto poco meno di 3000 metri, appartenente alla macro-famiglia conica degli stratovulcani, è sicuramente uno dei più interessanti al mondo. La sua unicità spicca già guardandolo da lontano: perché pare, al primo e anche al secondo sguardo, che sia del tutto ricoperto dalla neve. Situazione, questa, estremamente poco probabile tra il 13° e il 14° parallelo, nell’Africa sud-orientale della Rift Valley, al di sotto delle nubi e dove piove soltanto per due mesi l’anno. Ma basta avvicinarsi per capire che si tratta in realtà di uno strato di calciti, sodio solidificato (simbolo chimico Na, da cui il termine natrocarbonatite) e una pletora di elementi alcalini, impalliditi come di consueto al primo contatto dell’aria. Lungamente ricercata e soltanto infine concessa, per la forza della fisica, a tali abissali fluidi provenienti dal mantello stesso della Terra. Non è davvero importante quanto sia insistente l’erosione. Perché il manto candido si ispessisce di continuo, durante le frequenti eruzioni, sia esplosive che effusive, di questo bellicoso cugino del Kilimangiaro. Quel gigante silenzioso sito a meno di 200 Km verso ovest con i suoi sei chilometri dall’altezza, all’estremità opposta della tropicale cordigliera. Dotato, lui davvero, dell’eterno ghiacciaio del Rebmann, fredda particolarità concessa solamente a un tale monte, che non erutta da almeno 170 anni. Tutto il contrario dell’esuberante Ol Doinyo Lengai, con la sua furia reiterata e pervasiva. In quanto il nostro protagonista, piuttosto che farsi forza dei comuni silicati magmatici, viscosi e proni all’accumulamento per un alto numero di generazioni (finché…)
Ha questo fluido strabiliante, simile all’argentovivo, proveniente da sostanze misteriose. Spinto innanzi, tanto spesso, dall’apporto di una forte componente di gas, tra cui il diossido di carbonio, da sempre direttamente proporzionale alla ribalderia di un monte sputafuoco. Lui, in particolare, si è infatti scatenato molte volte durante il corso dello scorso secolo e poi di nuovo nel 2007, nel 2008, nel 2010 e nel 2013, quando formò una nube piroclastica da far invidia a certi terribili film statunitensi. Con un’importante differenza: ciò che è rimasto, al diradarsi del fumo irrespirabile, sopra il suolo di queste regioni praticamente disabitate. Un tesoro della massima entità, soltanto di recente ricercato…
“La gente ama i diamanti. Farebbe tutto per averli…” Ne parla con un entusiasmo spontaneo e coinvolgente, nonché uno spiccato accento russo, il Prof. Dima Kamenetsky dell’Università della Tasmania, mentre osserva dei campioni di carbonatite sotto il suo ponderoso microscopio elettronico, giusto dopo averli riscaldati a 1500 gradi. Ad aiutarlo in tale missione apparentemente impossibile, una sorta di piccolo fornello al platino, che lui chiama heating station, in grado di ricreare le condizioni termiche delle viscere da cui provengono i soggetti del suo studio. Sembra assurdo che simili pietre, solidificatosi appena l’anno scorso, possano ricondurci alle origini dell’intero Sistema Solare. Eppure, non a caso sono il frutto del matrimonio tra l’aria limpida ed il magma sorto dai crateri dell’Ol Doinyo Lengai, piuttosto che sterili campioni risalenti a milioni d’anni fa. Da tale punto di vista, la scelta di questo luogo di partenza non è solo conveniente, ma praticamente automatica. C’è infatti una sola fonte attiva di carbonatiti, a questo mondo, benché esitano alcuni depositi di epoche trascorse, in regioni remote della Cina e negli Stati Uniti, in Svezia ed in Turchia. Anch’esse mete praticamente obbligate per innumerevoli istituzioni di ricerca, oltre che degli appassionati, come il Prof. Kamenetsky, che afferma: “Io posseggo una fortuna straordinaria. Il mio hobby è anche la mia passione.”
A cosa potranno servire tali studi… Beh, praticamente non c’è limite. Lui tratteggia un chiaro paragone: relativo a come la kimberlite, la roccia peridotitica che prende il nome da un importante centro metropolitano del Sudafrica, nasconde al suo interno una copiosa componente di diamanti. Mentre nella carbonatite si trovano le cosiddette terre rare, riunite sotto la categoria scientifica REE. Un gruppo di elementi con molte valide applicazioni, nella costruzione degli ultimi processori informatici, delle fibre ottiche e dei magneti ad alto potenziale. E che talvolta prendono il nome dal singolo luogo, in tutto il mondo, presso cui sono state rinvenute. Mentre la Tanzania aspetta la sua imponderabile ricchezza… Soprattutto, lo scienziato ospite cita l’impareggiabile neodimio, una sostanza estremamente utile in potenza e che un giorno potrebbe costituire, in larghissima maggioranza, il carburante per far muovere le automobili e gli altri dispositivi che noi utilizziamo quotidianamente: computer, cellulari, tablet… Mai ricaricati, sempre pronti all’uso per la luce riflessa del nucleo stesso di questo stesso pianeta. Un mondo, solo apparentemente, ormai allo stremo. Quando invece sono innumerevoli le risorse che ancora ci nasconde, se qualcuno ha la voglia di cercarle veramente a fondo.
Ormai da decenni, si parla dell’imminente esaurimento dei carburanti fossili, la mera risultanza della decomposizione degli antichi esseri viventi. Roba da nulla, in termini geologici! E di come gli affioramenti di materie radioattive, di uranio e similari, siano la potenziale fonte di un incommensurabile mare di disgrazie. Indubbiamente, il rischio del progresso è una costante dell’umanità. E scavare fino alle profondità di un mondo ancora da scoprire, largamente al di fuori della nostra portata; per il momento. Forse anche per sempre, miei amici giocatori di Minecraft! Ma potremo sempre ascoltare l’impercettibile respiro di una simile voragine verso il profondo, come questa. Una via d’accesso nascosta nel sottosuolo della Tanzania, simile, nella portata, ad un’inesplicabile Stargate delle infinite possibilità. E adesso, sarà pronta quella pizza di cui sopra…