Quest’uomo comprende la reale potenzialità dell’orgoglioso e variopinto Ara ararauna, il tipico ornamento di un salotto degli amanti degli uccelli, sopra trespoli monumentali e circondati dallo sterco. Novanta centimetri di lunghezza. Oltre un metro di apertura alare. Eppure, tutto quello che può fare è dire il nome del padrone? Chiedere un bramato e piccolo croccantino? Da sgranocchiare, pian pianino, con quel becco ricurvo in grado di sollevare facilmente una valigia bella piena? Piuttosto che imbarcarla e andare in viaggio, come niente fosse, oltre le regioni del domestico languìre… Per giungere alla fine, sui limiti dell’orizzonte. Tra i pietrosi monti di una campagna del Mediterraneo, a pochi metri dell’asfalto e innanzi ai fari di un veloce motociclo, da cui si ode quel richiamo un po’ insistente: “Halŏ? Halŏ?” Non è un videogioco ma un destino di scoperta. Per segnare il tempo della scena o della scienza: è in fondo questo, uno stupendo esperimento. Che dimostra come, ebbene si, è possibile portarsi in giro il proprio uccello prediletto. Senza l’uso del guinzaglio, né di differenti imbracature. Purché ci s’ingegni per volare, pressapoco come lui.
Siamo presso la spiaggia di Kolimbithres, nel bel mezzo del barbagliante Mar Egeo, presso l’isola di Paros. Tra le Cicladi, probabilmente la migliore. E l’autore del video, nonché proprietario del protagonista, si fa definire su Internet con l’handle Waterskyzone. Un nome che suggerisce una passione importante per lo sci d’acqua, benché qui messa in secondo piano, brevemente, a vantaggio di un indimenticabile giretto su due ruote. In sella assieme a Vito, il pappagallo. La vista di un uccello tropicale come questo, per una volta libero di vagheggiare per l’aere sconfinato, susciterebbe normalmente l’immagine di ombrose foreste presso l’equatore e ricche di alberi con accoglienti cavità. Presso cui nidificare, ben lontani dagli umani. Perché è piuttosto raro, per non dire inaudito, che una simile creatura possa un dì tornare libera, una volta assaporata la comodità del vivere dentro una casa. Di essere serviti e riveriti, come un raro gioiello, privo di altro senso che la propria mirabile esistenza. Le ali, allora, si riducono ad un manto di nebbiosa sussistenza. Mentre l’occhio tondeggiante, attento al minimo dettaglio, scruta occasionalmente oltre i pannelli delle porte a vetro, verso il mare o il mondo assai distante. È questo il nostro stesso fato, oltre a quello delle bestie nella casa, se si perde la voglia di rischiare, mettendo in discussione i quotidiani presupposti.
L’evidenza è un torvo consigliere: può sembrare, raggiungendo la maturità, che portare fuori casa il pappagallo, come fosse un Fido quattrozampe, sia un rischio immeritevole di considerazione. Che certamente, un grosso gatto se lo mangerebbe. O un falco se lo prenderebbe, una faina, una formicaleone lo risucchierebbe. E quanto spesso si odono qui a Roma, i versi dei raminghi che si annidano, sperduti, tra gli alberi di Villa Borghese…Ma sono liberi, per le loro penne, addirittura!
Come un falconiere mongolo, sopra l’indefesso cavallo e col cappello in pelo di volpe, che insegue senza posa l’aquila ammaestrata. La spada ed il guantone, l’arco e il motorino.
Qualunque vero esperto di uccelleria, da che esiste questa antica arte, ben conosce il rischio che comporta praticarla. Perché può sempre capitare, anche dopo anni di fruttuosa collaborazione, centinaia di conigli squaquerati, che il rapace si dimentichi del suo padrone. Vagheggiando troppo a lungo, senza più tornare…Ma perché mai dovrebbe capitare? Cosa lo spinge, verso l’incredibile ritorno…Un pappagallo è libera beltà, sostenuta da un profondo senso del dovere. E dopo ciascuna curva, salita e rettilineo, Vito tiene il passo con fierezza e ad ogni squillo di quel reiterato vocalismo: “Halŏ? Halŏ?” Ancora una volta, si ode la risposta.
Eccolo qui, di nuovo: questa volta su di uno splendente lungomare. Se ci fosse più colore sulle strade, si eviterebbero parecchi problemi. Con un variopinto avventuriero, tra gli incroci e le banchine, gli automobilisti avrebbero un canone di ottimo riferimento: l’arancione delle piume, il verde sopra l’ala che digrada lievemente verso il blu. Un diverso tipo di semaforo. Impossibile da trascurare.
Fra tutte le avventure vissute a bordo di un leggero mezzo di trasporto, questa si dimostra maggiormente ricca di significato. Perché un veicolo cabinato fa perdere il contatto con la ripida natura; che scorre, troppo rapida, ai margini dell’inquadratura. Mentre il viaggio su due ruote, ad un ritmo maggiormente contenuto, può essere sfruttato per aggiungere connotazioni ad un rapporto sempre maggiormente trascurato. Quello tra gli esseri umani e i loro coabitanti del pianeta blu cobalto. Gli animali alati, che si aggirano nei cieli. È noto, del resto, il modo in cui gli ultraleggeri vengano impiegati per fornire un punto di riferimento a vantaggio delle anatre o di altri uccelli migratori. Abili piloti, appartenenti ad associazioni specializzate, su quei velivoli formano l’imprescindibile legame tra remote ambascerie. E guidano a destinazione questi loro, nonché nostri, beniamini alati.
Volare non è esattamente uno stile di vita. Né un obbligo costituito, ma una scelta. E chiunque abbia le ali, se vuole, può restare in basso, tra le cose con le ruote e i finestrini.
Questo celebre video dello scorso aprile, girato da Justin Jay, mostra un piccione sulla superstrada. L’uccello, la cui specie tanto bistrattata può facilmente raggiungere gli 80 km/h, almeno per brevi tratti, ha scoperto un interessante opportunità di sfogo: quella di sfruttare la scia di un furgone, tanto per andare ancora più veloce. A differenza degli amati psittacidi, la pennuta famiglia a cui apparteneva il caro Vito, questo uccello non ha nome ne un padrone. Eppure, guarda caso, si ritrova nella stessa situazione. Curiosa, questa scelta. Volando rasoterra, tra i veicoli su ruote, nella speranza di raggiungere una meta forse poco chiara. Chi può dire, in fondo, se non fosse solo spaventato; preso in mezzo a tali e tanti giganteschi automezzi, come falchi privi di starnazzi (o di pietà). E difficile penetrare con la mente dentro al mondo dei volatili, traducendo i loro gesti in sentimenti. Ma a differenza di questa scena, quella dell’ara che insegue il motorino, diciamolo, difficilmente può essere considerata in modo negativo. È troppo bella e ricca di divertimento.
Mettercela tutta, provarci. Avere un motore siderale, tra il rachide e la barbula di sottili remiganti, messo a frutto con la forza di una coda priva di superflue vibrazioni. Come il pappagallo, così il povero piccione. La moto e l’automobile con quel volante, oltre al Volante parlatore.