La vita dei pesci di allevamento è già abbastanza difficile senza sperimentare la traumatica esperienza di essere tirati via dall’acqua, sollevati oltre i confini della propria casa e venire trasportati faticosamente a braccio, lungo percorsi sdrucciolevoli, verso le vasche di una nuova prigionia. E pensare che per propensione non dovrebbe avere alcun problema! Creature come queste, in natura, sono prive di radici. Un pesce vagabondo, com’è quello dalle carni rosa e tenere per eccellenza, non ha possedimenti terreni da lasciare indietro. Ma piuttosto un obiettivo troppo chiaro innanzi ai suoi due occhi scuri e acquosi: raggiungere la splendida compagna, presso le cime da cui scaturisce il fiume, oltre la bocca del palmigrado ursino, gli artigli del falco pescatore o gli stomaci dei lupi o topi troppo fortunati. Egli, pesce senza presupposti metropolitani, viaggia nuotando in salita sotto i fusti d’albero della foresta, senza mai guardarsi indietro, nella piacevole incoscienza della sua mortalità. Mentre il compagno ormai perduto da generazioni, frutto della selezione artificiale, vive in vasche meditando. Non è che la sua vita sia peggiore, in senso universale. Né particolarmente breve, di confronto: il salmone dell’Oceano Atlantico, normalmente, abbandona le acque della sua maturità dopo soltanto un anno, per intraprendere il faticoso viaggio che lo porta a riprodursi, svuotarsi di ogni risorsa e forza per morire soddisfatto. La libertà, per simili scagliose creature, vuole dire dedicare tutta la propria breve esistenza alla realizzazione di quel singolo momento: la trasmissione topica del proprio DNA.
Al confronto vivere in spaziose vasche, asserviti ai desideri e al gusto degli umani, ha alcuni lati positivi. La sicurezza di riuscire a prosperare, riprodursi. Benché disseminata di attimi di assoluto terrore, purtroppo ricorrente: stiamo parlando di quando si viene trasferiti da una vasca all’altra. Gli allevamenti chiudono, si spostano, diventano sovraffollati. A quel punto, è necessario traslocare. Per spostare 10 pesci. 100, 1.000 o 10.000. Per farlo con la massima efficienza, tranquillità, una ragionevole considerazione per l’igiene: questo è l’Hydrovision 2014 della Whooshh Innovations, un’azienda (provate a dirne il nome quattro volte di seguito) che promette straordinari risultati in questo campo delicato, pregno e rilevante. Il segreto sta nell’utilizzo sapiente dell’aria compressa. Il meccanismo, che sta proprio in questi giorni riscuotendo un grande successo sui maggiori social network, consta di un lungo tubo flessibile, largo esattamente quanto il pesce da spostare. E di un poderoso motore elettrico a pressione. Si tratta, per usare un’analogia, della versione ittica dei tubi pedonali visti nel cartone Futurama, in cui un sistema simile veniva usato dai cittadini al posto del trasporto pubblico, con un significativo aumento di praticità nel muoversi attraverso i grandi centri urbani. Per non parlare di quella magnifica emozione di volare…
Una media di 1,5 pesci al secondo, inseriti con la testa rivolta in avanti, affinché le pinne siano orientate correttamente nel momento della fuoriuscita. Non c’è acqua nel tubo, ma soltanto una leggera condensa indotta artificialmente, per favorire lo scivolamento. Del resto, durante la mobilitazione, il pesce avrebbe dovuto trattenere il fiato in ogni caso. Oltre la siepe, dietro il muro divisorio. Verso l’avvenire e l’immortalità: non è chiaro, al primo sguardo, se quell’attimo di gloria sia realmente apprezzato da ciascun involontario viaggiatore. È indubbio, tuttavia, che il gioco valga la candela. Sul sito della Whooshh, fra convincenti descrizioni tecniche e ricche apologie in gergo aziendale (l’Hydrovision viene paragonato alla metro di Londra, i suoi creatori a Steve Jobs) vengono citati i notevoli vantaggi del sistema: innanzi tutto, la sua adattabilità. Poiché tutto si basa su quell’unico componente fisso del motore, che assorbe appena 5-15 Kw, il leggero tubo può essere disposto con qualunque tipo di criterio. Può ad esempio partire dal serbatoio di un autocarro, girando attorno alle pareti del parcheggio, per poi passare sotto una serranda semi-abbassata e risalire nella vasca di destinazione. O passare da una qualsiasi finestra, al primo, secondo o terzo piano. Potrebbe persino risalire dritto in verticale: nella FAQ di riferimento si afferma orgogliosamente che “Non dovendo trasportare una colonna d’acqua, non abbiamo osservato limiti teorici di applicazione”. A parte quello, meramente tecnico, dei circa due metri di raggio per le curve, onde evitare sollecitazioni eccessive ai passeggeri. Un limite da osservare religiosamente, anche se i pesci da spostare fossero già morti ai blocchi di partenza. Immaginatevi gli effetti di un intoppo a metà tubo!
Il sapiente sistema, che genera soltanto 1-2 psi di spinta, risulta l’ideale per trasportare grandi quantità di materiale deperibile, generalmente di natura alimentare. Frutta, ad esempio, o come in questo caso, patate. Qui, dall’analogia del mezzo pubblico, ci si muove verso quella del cannone o della catapulta: i tuberi vengono sparati, l’uno dopo l’altro, verso delle griglie affilate, che in un attimo li fanno a pezzettini. Nel giro di pochi minuti, un colpo dopo l’altro, si potrebbe rifornire una dozzina di fast food. Direttamente dai campi o dalle piantagioni, nella dorata e incandescente friggitrice. Quale straordinaria efficienza! Fish & chips d’urgenza, per placare anche la fame inarrestabile dell’ora di punta. Soluzioni tecnologiche migliorate per i pesci, come per i loro proprietari. Un po’ meno avrà piacere, la povera patata…
1 commento su “Una macchina per scaraventare i salmoni”