Un uomo è seduto dentro a un uovo bianco dal diametro di qualche metro, in equilibrio su tre zampe, dentro a un hangar bene illuminato. Cosa sta facendo? Dove sta volando? È un 737, quello? Sembra quasi, in quest’epoca di unboxing per partito preso, che le scatole siano diventate più importanti dei loro contenuti. I giovani appassionati di tecnologia che ricevono il pacchetto dal corriere, non lo aprono semplicemente con due colpi di coltello e una sapiente sforbiciata. Niente affatto: pregustano, piuttosto, quel momento splendido dell’accensione, corroborando le meningi con l’accarezzamento del cartone. Documentando, per i posteri digitali, ogni passaggio del complesso disimballo. Le aziende di maggiore fama, ormai lo sanno. E brandizzano appropriatamente ogni lato del contenitore con pomi lucidi, sapienti monogrammi sagomati, lettere maiuscole e argentate. Fa eccezione, l’Ikea. Poiché quello che si presenta ancora da montare, non ha una confezione che sia degna di essere mostrata. Sarebbe, in fin dei conti, anche il frutto delle mani e della mente di chi lo rende infine utilizzabile, direttamente nei locali della propria residenza. Giustamente dunque si presenta, prima di allora come un parallelepipedo semplicemente marrone. Tanto maggiormente ricco di derivazioni nella vera vita vera. Il pilota è nella scatola, dunque. Che sorpresa. E che scatola! Ha un prezzo approssimativo di 16 milioni di dollari, questo sfolgorante nuovo acquisto della compagnia aerea Alaska Airlines, un simulatore full-flight dell’azienda canadese CAE, tra i leader indiscussi del settore, operativa da oltre 50 anni. Qui portato ed assemblato, nel giro di appena tre minuti, grazie all’appassionante approccio del time-lapse. Il gioiello tecnologico appartiene alla serie 7000XR, nota per l’affidabilità, il realismo e l’alto grado di mobilità degli attuatori idraulici che lo sostengono e caratterizzano. Oltre alle scene realistiche messe in mostra sul suo schermo panoramico ad avvolgimento. Atterraggi, decolli, turbolenze, tempeste, tifoni apocalittici. Tutto può succedere nel regno empirico della teoria. Eppure chi non ha sperimentato qualche cosa, avrà difficoltà a figurarsela con l’occhio della mente, nonostante le vivide descrizioni e precise procedure dei suoi testi di studio. Occorre, presto o tardi, fare pratica sul vero mezzo di trasporto. E risulta facile, nel campo dell’addestramento pratico, mettere in atto determinati scenari quotidiani: come un maturando che debba prendere la patente, un pilota può approcciarsi a quelle procedure usuali fin da subito, a patto di avere un istruttore accanto. Non serve neanche il foglio rosa. Ma le situazioni d’emergenza, pericolose per definizione, sono impossibili da sperimentare, senza un vero rischio per chi vive sotto…Proprio per questo, è tanto importante l’informatizzazione dei corsi di volo. Soltanto in questo modo, al momento di conseguire il sospirato brevetto, un pilota potrà aver già disporre di esperienze valide a salvare la sua vita. E assieme ad essa, quella dei suoi molti passeggeri.
Il primo simulatore di un velivolo risale al 1909, quando la compagnia francese Antoinette fece costruire un sistema per far comprendere agli acquirenti il funzionamento del suo nuovo monoplano. Lo strano aereo, infatti, utilizzava un particolare sistema di comando, basato su due ruote, una a destra ed una a sinistra del pilota, per controllare rispettivamente rollio e beccheggio, grazie a poderosi colpi di reni. L’oggetto, simile ad un barile, era montato sopra un perno omnidirezionale, affinché un assistente (bene informato sui fatti) potesse riorientare il tutto sulla base dei gesti messi in atto dall’aspirante, nerboruto pilota. Durante le due guerre mondiali, evoluzioni di questo pionieristico dispositivo furono messe a frutto dalle principali nazioni industrializzate. Il Link Trainer americano, dalla famosa colorazione azzurra, era fornito di sistemi automatici per la simulazione del movimento, perfettamente sincronizzate con i comandi della cabina. Oscurando i vetri della stessa, era dunque possibile mettere in scena una ragionevole approssimazione del volo notturno strumentale. Di linee sulle mappe, e relative trasvolate, da quell’epoca ne abbiamo disegnate molte. Giungendo, infine, allo strumento della Luce Virtuale.
Non a caso la simulazione di volo risulta essere tra le prime applicazioni dei computer pre-moderni, almeno quello che disponessero di sufficienti capacità di elaborazione. Fin dagli anni ’60, presso le compagnie aeree iniziarono a comparire alcuni massicci mainframe di Concurrent, Encore, Harris ed IBM, ciascuno dotato, oltre che della tastiera e del monitor, di pedali, cloche e altri dispositivi di comando.
Iniziava, già in quell’epoca remota, la ricerca della verosimiglianza digitale. Le priorità di un simulatore di volo professionale, naturalmente, sono molto diverse da quelle di un moderno videogame. Piuttosto che il realismo estetico dell’Hudson River, da perlustrare grazie all’iconico Cessna ad ala alta, qui si cerca una fedeltà dei maggiori punti di riferimento visuali. Invece che dedicarsi solo all’indimenticabile e ormai chiuso aeroporto di Meigs Field, a Chicago, con vista privilegiata sul grande lago Michigan, luogo simbolo della serie Microsoft Flight Simulator, i programmatori cercheranno di riprodurre fedelmente il maggior numero possibile di piste usate per il volo commerciale. E perché no, anche militare. C’è una famosa citazione sulla guerra attribuita, fra gli altri, all’autore americano Barry Holstun Lopez. Molti piloti l’hanno fatta propria: “Ciascuna missione [di volo] si compone di lunghi periodi di noia. E pochi secondi di assoluto terrore”: l’attimo in cui si scorge l’ala del nemico. Quando il bombardiere della Grande Guerra, attraversata la turbolenta Manica, si approcciava al fuoco della contraerea, la mano dell’addetto allo sgancio ben salda sul mirino delle bombe. È una crudele realtà, quella di chi ha il compito di svolgere dei compiti tanto rischiosi. E dolorosi. Che proprio per questo, ben si presta alla rappresentazione simulata. Affinché l’esperimento teorico possa servire, in qualche misura, a dimostrare i meccanismi interiori collegati alla pressione del drammatico bottone rosso, lo strumento fin troppo divertente da impiegare. Possibilmente, solo nello spazio digitale.
È utile immedesimarsi. Come si usava fare, fino a qualche tempo fa, grazie all’impiego dei simulatori per PC casalinghi. Fino alla prima metà degli anni 2000, quando ancora nei negozi specializzati si trovavano strane apparecchiature a fusto verticale, con due pulsanti sulla cima, altri quattro nella piantana e qualche volta una manetta per la potenza del motore: erano i joystick, ben diversi dalle odierne periferiche di gioco, astrattismo puro quanto quello di un telecomando. Che servivano, oltre a muovere le immagini su schermo, anche a portare noi stessi, giocatori, nel pieno centro dell’azione di volo. Non è poi così diverso dalla realtà, spostare un aeroplano solamente immaginario, ma rappresentato con ragionevole fedeltà visuale e di funzionamento. Con invece che una carlinga tutto attorno, un computer sotto il tavolo. Ci si perdeva, in questa opposizione estrema al concetto di gioco dotato di un protagonista ed una storia. Nel quale non si interpreta altro ruolo, che quello di se stessi, ma all’interno di un aereo (o un’automobile, un’astronave). Il monitor poteva diventare, in tale modo, come una finestra verso situazioni pienamente possibili, comunque fantasiose. Ed aveva, in aggiunta all’intrattenimento, una spiccata componente educativa.
Succede così, durante il video dell‘unboxing e del montaggio del simulatore CAE, al ritmo di una musichetta degna dei migliori ascensori, che si finisca per desiderarlo. Proprio allora l’applicazione di un titanico adesivo con un volto d’Inuit, logo della compagnia di volo, rivendica la proprietà e conclude l’esperienza. Peccato! Chissà se prima o poi, almeno in qualche museo, qualcosa di simile non ci riesca di provarlo in prima persona…