Immaginate, se volete. Di avere a pochi metri da casa vostra, sotto l’albero di pere, un intero nido di imenotteri simili a questi, il cui pungiglione ospita, in qualche maniera inimmaginabile, il principio stesso della polvere da sparo. O almeno così vorrebbero dare ad intenderci, visto come le chiamano per analogia, in ambienti un po’ troppo civilizzati: formiche proiettile. Ipotizzate, dunque, di vedere tali insetti tutti i giorni della vostra vita, fin da piccoli, con sincero e imprescindibile terrore. E di evitarle ancora, ormai cresciuti, nel tragitto verso l’università e il lavoro. Da persone adulte, infine, fantasticate di scrutarle con rabbia, dietro finestrini chiusi molto saldamente, accompagnando i vostri figli a scuola con la macchina. Anch’essi spaventati, esattamente quanto voi, i vostri genitori e i vostri nonni e… Ad un certo punto, che fareste? Non le mettereste tutte dentro a un tubo di bambù? Non le addormentereste attentamente con il succo verde della pianta dell’anacardio, per poi incastrarle, una ad una, nella tessitura fitta e salda di una coppia di guanti da forno fatti con il vimini (che strano)? Naturalmente, avendo cura che il pungiglione sia rivolto verso l’interno! Per poi darglieli in regalo al vostro figliolo, nel dì allegro di una festa lungamente attesa…
Non ci sono parole per descrivere il dolore assoluto. Tanto che in campo medico, come ausilio alla diagnosi, si chiede al paziente di assegnargli una cifra indicativa, normalmente variabile tra l’uno e il dieci. Dove alla base della scala c’è un leggero fastidio, mentre all’apice, teoricamente, la via diretta verso una generosa dose di morfina o altra sostanza, possibilmente altrettanto valida nell’ottenere una pace torpida e immediata. Sarebbe questo il caso di chi sanguina copiosamente, per l’effetto di un attacco portato avanti con le terribili armi da fuoco, tormento della nostra civiltà. O che piuttosto langue, senza danni visibili o vere conseguenze, a seguito del morso di anche una singola formica tocandira. Gemendo per 24 ore, tra lenzuola altrettanto umide di cupa sofferenza…È soprattutto nell’attimo di passaggio tra la notte e il giorno che si sperimentano visioni mistiche particolari: ancora intorpiditi dalle lunghe ore di sonno, i neuroni umani a reagire bruscamente. Si risvegliano di scatto e all’improvviso, il campo elettrico cerebrale s’interseca e contorce, creando l’immagine di noi stessi, oltre i limiti del mondo. Diversi. L’eccessiva lucidità, per quanto apparentemente desiderabile, costituisce un’arma a doppio taglio. L’essere umano, sperduto nel vuoto cosmico dimenticato, si trasforma. Uno sciamano sperimenta la presenza del grande spirito. Altri coraggiosi, parlano coi morti. Ivi albergano mostri, santi e figure leggendarie. Per la maggior parte della gente, invece, c’è solo un astratto senso di totale smarrimento. Perché quel periodo sublime è in realtà frutto di una transitoria e piccola morte, l’annientamento della consueta ragionevolezza, frettolosamente ricreata, mille volte in quel fatidico secondo. Uno scalino obbligatorio, che sa di lunga eternità. Finché ad un tratto, per fortuna, la mente viene tratta in salvo, dal martellante suono della sveglia o della pura volontà. Il fatto che ciò avvenga in qualche misura tutti i giorni, per l’effetto del comune addormentarsi, è una grande fortuna dell’uomo moderno e sano di mente, che fugge dal dolore come cosa totalmente inutile o persino deleteria. Un’opinione, questa, del tutto arbitraria e condizionata dalle circostanze. Di chi vive troppo lontano dalla tocandira, che condensa mille notti, come questa, in una sola indenticabile esperienza.
Gli “indiani” Sateré-Mawé della Foresta Amazzonica, popolo di guerrieri e cacciatori, conservano gelosamente l’usanza di un rito d’iniziazione impressionante. Che consiste nel sottoporre i propri giovani a un supplizio reiterato: la terribile, indescrivibile tortura del guanto saaripé. C’è molta tecnica ed arte nella sua preparazione…
…Dunque, come dicevamo, gli anziani del villaggio si recano presso una tana della specie Paraponera clavata, o formica gigante minore. Devono muoversi con cura, vista l’aggressività innata di queste creature, spiccatamente territoriali, rapide e persino avvezze allo spiccare d’imprevisti balzi. Il che non sarebbe un problema così grave, se non fosse per un piccolo dettaglio, ovvero la spaventosa tossina che ospitano nel rotondo addome.
C’è un entomologo, nato nel 1947, che per anni si è fatto pungere intenzionalmente dagli insetti provenienti da ogni angolo del globo. Il suo nome è Justin Orvel Schmidt, come anche quello, per l’appunto, della sua grande opera scientifica. È stata pubblicata nel 1990. Nello Schmidt sting pain index (Indice di Schmidt delle punture velenose) sono presenti 78 specie e 41 generi d’insetti, classificati in base al dolore da lui provato soggettivamente, nel fatidico momento dell’incontro estatico con il loro glorioso pungiglione. Ciascuna esperienza viene descritta con metafore o termini vividi e precisi. Tra queste figura, ad esempio, la vespa giapponese divoratrice di ragni (Pepsis) un incubo volante di oltre 4 cm di lunghezza, chiaramente contrassegnata dalla spaventosa livrea gialla e nera, il cui attacco viene descritto come: “Accecante ed elettrico, simile alla caduta del phon dentro alla vostra vasca da bagno” Sia ben chiaro che questa creatura predatrice, in grado di catturare una tarantola viva e portarla in volo dai suoi piccoli affamati, figura solo al secondo posto. Prima di lei c’è questa: la terribile formica proiettile brasiliana.
Gli imenotteri in questione misurano all’incirca 30 mm di lunghezza. Non presentano, caso raro, una significativa differenza nelle dimensioni o nell’aspetto tra le diverse caste delle operaie, dei soldati o le regine. Ciascun esemplare è altrettanto vivace ed arrabbiato, specie quando viene preso in trappola per il pubblico ludibrio degli umani. In strani giorni e strane feste. Sono gli zii materni, secondo la tradizione, a catturare, addormentare e intessere le formiche nei guanti interni del ragazzo maturando, prima di ricoprirli con un secondo copri-mano, notevolmente più grande, valido a nascondere le loro voraci e spiacevoli mandibole masticatorie. Non sia mai che qualcuno finisca per farsi male! Quindi viene il momento della prova: il giovane, decorato con pitture di guerra nere grazie al succo del frutto Jenipapo indossa entrambi i guanti. Dovrà tenerli, idealmente, per almeno 10 minuti, nonostante le innumerevoli e dolorosissime punture. La formica proiettile, quando ferisce la sua vittima, secerne un feromone che richiama le compagne a far lo stesso, dandogli man forte. Potrete dunque immaginare l’effetto complessivo, nello spazio stretto del tremendo guanto, senza possibilità di fuga per le bestie o la persona. La sostanza neurotossica di queste tocandira è un peptide paralizzante che attacca direttamente i nervi, assai probabilmente sviluppato, da un punto di vista evolutivo, per bloccare un potenziale predatore che dovesse scoprire il loro nido. Difficile scavare in simili condizioni… Questi insetti vengono chiamati anche formiche delle 24 ore, per il modo in cui il terribile dolore da loro causato continua, sostanzialmente ininterrotto, per un giorno intero. Risulta dunque comprensibile la reazione degli occidentali, generalmente parte di una qualche troupe televisiva (l’aveva fatto anche il celebre Steve-O) che si prefiggano di sperimentare per la prima volta il supplizio tanto apprezzato dai giovani Sateré-Mawé. Tanto che raramente si rifiutano di affrontarlo nuovamente, come previsto dalla prassi, fino a un massimo di 20 volte, prima di essere considerati dei veri e invincibili guerrieri.
Il dolore, del resto, è soggettivo. E a molto servono le convezioni sociali, le danze assieme agli amici fraterni della propria gioventù, con allegri canti e campanelli lignei tintinnanti, per trasformare il tormento nell’estasi, la prova terribile nello strumento di una valida trasformazione. Tutt’altra storia di chi viene, tanto per provare sulla propria pelle una cultura misteriosa e assai lontana…E pensare che a noi spettatori sarebbe anche bastato un semplice racconto di terza ed altrui mano!