Chissà come mai non ho tagliato un fusto d’albero, né l’ho fatto poi a dadini. Per prendere ciascuno dei frammenti risultanti, metterlo sul tavolo e passarci su la pialla con un gesto ripetuto, al fine di ottenere…Fogli, anzi, figli, di un’idea. La prova inconfutabile che l’universo ha un ordine preciso. Chiamatela, se volete, la forza del metodo scientifico. Distruggere per studiare. Il problema delle cose è che guardandole dall’esterno, senza troppo approfondire, paiono caotiche, disordinate. Una foresta, in quanto tale, è il sovrapporsi senza senso di duemila teste vegetali, l’una a ridosso dell’altro, tutte intrecciate con i rami nel rigoglio di una grande confusione. Pini e querce e faggi e abeti, attentamente alternati, affinché soltanto gli uccelli silvani potessero capire il nesso basilare di mescolamento. Ci hanno provato in molti, a sbrogliare questo enigma e l’ultimo, per certi versi, ci è riuscito. Guardate. Keith Skretch, artista visuale, ha avuto la trovata davvero interessante di ridurre in molte fette un legno precedentemente vivo, fotografando quindi ciascuna delle risultanti lamine, per montarle in sequenza, l’una dopo l’altra, attraverso la tecnica dello stop-motion. Il risultato è molto bello. Il risultato è sconvolgente. In un vortice di linee, la tempesta ordinata dei cosiddetti cerchi d’albero (provate un po’ a contarli!) Compaiono fulmini trasversali e crepe longitudinali, nere come nebulose. I nodi, prolungamenti interni di perduti rami, migrano, con il procedere del video, verso i margini dell’inquadratura. Se abbastanza grandi, sembrano pianeti, che si rincorrono per spazi cosmici dimenticati. Dal centro di essi, irradiandosi al ritmo incalzante di una colonna sonora attentamente selezionata, lampi frastagliati si separano e scappano via. Sono, questi ultimi, le astronavi esplorative spedite contro l’aloclino, o linea di demarcazione, tra il durame e l’alburno, parti rispettivamente interna (dura) ed esterna (morbida) del tronco. Mezzi immaginifici, di spiriti invisibili. Meccanismi proprio come i nostri. In alternativa, tutto questo turbinare è invero affine ai vortici che si rincorrono sulla rossastra superficie del pianeta Giove, antichi e grandi quanto la nostra azzurra Terra. Via Lattea > Sistema Solare > pianeta > tronco e poi?
Viene voglia di caderci dentro. Per comprendere, da un tale microcosmo, la ragione primigenia in base a cui il piccolo riprende il grande, comunque, in un rincorrersi di proporzioni e aspetti sempre uguali. Già questo, senza considerare le altre nascoste corrispondenze, tra loro, le piante e noi, umani. Rese manifeste da questa seconda testimonianza video…
Il Progetto Umano Visibile, concepito in forma teorica già nel 1986, è un’impresa a lungo termine della U.S. National Library of Medicine, che si pone come remoto obiettivo la creazione di un’immagine tridimensionale, perfettamente accurata, dei corpi maschili e femminili. Da tale missione nasce il presente video, che è stato realizzato nei primi anni ’90 usando i poveri resti di un condannato a morte, secondo una prassi che ricorda da vicino, oltre ai modelli anatomici dell’epoca pre-moderna, proprio Keith Skretch con il suo esperimento vegetale. Sarebbe a dire che il presente cadavere, attentamente diviso in innumerevoli sezioni laminari, è stato poi fotografato ed animato in sequenza, per farci assistere alla versione cromaticamente accurata, ed impossibilmente dettagliata, di una futuribile risonanza magnetica, con la piccola differenza che alla fine, comprensibilmente, non sarà possibile fornire una diagnosi utile alla guarigione. La morte, in quanto tale, è sempre irreversibile, per le piante come per gli uomini. 1800 immagini, per 15 gigabyte di dati.
La differenza di complessità, tra i due organismi vegetali ed animali, appare subito lampante. Laddove il tronco si differenziava appena da se stesso, per la presenza occasionale di magagne o screziature, il qui presente bipede, un tempo senziente, dimostra l’apporto notevole della varietà: fasce muscolari, grandi cavità per gli organi e il macabro bianco d’osso, che tutto sorregge e rende articolato. Non c’è l’universale simmetria, se non nel filo conduttore delle cose. Nelle due gambe, braccia, occhi e orecchie. Eppure, permane il senso continuo delle cose. Nello scorrere dell’immagine, indubbiamente inquietante, i rapporti tra i colori, le forme e interrelazioni, da vicino ben ricordano la pianta. Ogni cosa è diversa ma stranamente uguale, tra i regni del sensibile e le vaste regioni della scienza.
Persino il frutto, punto di contatto tra i due mondi, di chi trae sostentamento dalle forme d’energia latente, per il tramite di radici e clorofilla, e tutti coloro, che saremmo noi, i quali piuttosto mangiano le cose, onde andare avanti e prosperare.
La sopravvivenza vuole questo: che l’opera migliore della pianta, il suo coronamento, sia continuamente divorata a pranzo, cena o colazione. Non si può dire di no a un’arancia, una banana o una gustosa mela. Finché non le guardi in questo modo: qui rappresentate, ciascuna di esse assieme ad altre, per il tramite di una precisa risonanza MRI. Chi avrebbe mai voluto, dopo tutto, sezionarle a striscioline? Troppo ovvio, scontato, naturale. Lo facciamo tutti i giorni! Il mondo all’incontrario è preferibile al senso comune, perché offre spunti di approfondimento. Meglio dunque usare questa prassi, normalmente riservata agli umani, come passaggio obbligato in campo medico e terapeutico. Soprattutto perché crea un’allegoria tanto cupa, così spettrale. Sul fondo nero di contrasto, i familiari pomoli succosi si trasformano in micro-organismi, meduse o misteriose amebe. La fedeltà relativamente bassa della presente documentazione, per una volta, permette di chiarire un dubbio che da sempre ci attanaglia.
Si, siamo quello che fagocitiamo: organismi strani, stratificati, l’amalgama di centomila spazi vuoti e fibre sovrapposte. E per inciso, se le piante potessero. Ci mangerebbero di certo, come noi. Con loro.