Il contesto è tutto. Ci sono parole che, in base alle circostanze, possono assumere significati estremamente cupi, come: la ruota, la corda, la sedia; metti caso, ad esempio, che fossimo nel sotterraneo del castello di San Jorge a Siviglia, dove soggiornavano gli sfortunati prigionieri dell’infame Inquisizione. Quivi, il semplice nominare tali oggetti sarebbe sufficiente a farvi spalancare gli occhi e le orecchie, se non altre cose ancora. C’erano arredi e suppellettili, in tali luoghi, particolarmente peculiari. Fatti con il ferro, tanto per cominciare. E acuminati, meccanizzati, resistenti al sangue ed al calore. Le poltrone, mirabilmente, fungevano da stufe col carbone, sopra le quali l’ospite poteva ricevere almeno TRE diversi tipi di torture. Quale convenienza! Davvero gli antichi sapevano sfruttare bene i limitati spazi della vita urbana medievale. Non come noi, che dopo un salto all’Ikea, per fare posto ai nuovi acquisti, finiamo per scartare cose ancora buone, magari soltanto un poco lise, per sempre dimenticate tra i residui custoditi nel garage. Tesori di una vita passata, non ancora spazzatura ma nemmeno utili a qualcosa…
Il problema delle mezze soluzioni è che lasciano la porta aperta agli imprevisti. Quando gli spietati sovrani del passato iniziavano la loro opera di convincimento su di un prigioniero politico, senza poi finirlo, quello un giorno finiva per evadere, prima o poi. E tornando tra i suoi sostenitori, fondava un culto o un’eresia, acquisendo la noméa famigerata di stregone o fattucchiere/a. Ciò era invero giusto, dal punto di vista karmiko moderno, eppure molto problematico. Perché arrecava, come un cancro, grandi danni a quel sacro corpo della nazione, il gigante che Hobbes aveva definito Leviatano. Una creatura composita, le cui grandi braccia sono solidi soldati. Che tra i capelli, nìvei di saggezza, ospita ecclesiastici e artigiani. Sostenuto dalle ossa fatte di frumento e campi e contadini. Su cui ribellioni, dal canto loro, erano osceni foruncoli e deformità. Anche le poltrone talvolta sviluppano escrescenze maligne, ribellandosi a chi le ha messe da parte, senza però avere il coraggio gettarle via. Questa, in particolare, è diventata un crogiolo di vespe.
Gli insetti gialli e neri che gli americani usano definire collettivamente yellowjacket, sono ben diversi, nella sostanza, dalla polistes dominula, o vespa cartonaia del continente europeo. Non costruiscono, come avviene qui da noi, graziosi nidi grandi all’incirca quanto una palla da golf, ordinatamente suddivisi in piccoli comparti ortogonali. Ma vere e proprie colonie cementizie, orrori eldrichtiani semi-solidi, abbastanza grandi da sopravvivere al gelo incipiente dell’inverno. Il che è un problema, perché in natura, tutto ciò che non sparisce, diventa più grande. Anno dopo anno, finché un giorno, come capitato a questo abitante di Hobe Sound, Florida, non apri la porta della tua capanna e… Per fortuna c’era, lì vicino, un rappresentante di Waynes Bees, l’azienda locale specializzata nell’esorcismo di simili impossibili situazioni.
Con le vespe, non puoi ragionare. Per loro la famiglia è tutto. Come i Borgia dell’Italia rinascimentale, o per usare un termine di paragone più moderno, alla maniera di Cersei Lannister, l’incestuosa regina del Trono di Spade, simili creature sono disposte ad ogni cosa pur di proteggere la prole. Anche di decollare tutte assieme, pungiglioni protesi verso l’invasore, per dargli modo di conoscere davvero il significato di quel termine, “veleno”. Non è difficile immaginare l’esito finale della scena di apertura, cosa sia successo a tante laboriose costruttrici, dopo lo spegnimento delle telecamere, quando è arrivato il gas insetticida. Lo stesso destino a cui loro avrebbero destinato l’uomo, se possibile. La fine, all’improvviso.
D’altra parte ci sono insetti sociali, a questo mondo, maggiormente disposti a convivere e collaborare.
Le api: una ricchezza collettiva. Con tanti barattoli di giallo e traslucido miele, sulle mensole dei supermarket, che ci ricordano la loro nobiltà. Ed è molto diffuso, su YouTube e altrove, il tipico video dell’apiculture, chiamato sulla scena di un’improvvida invasione, che con pazienza, ed esperienza, fruga dentro al turbinante ammasso giallo e nero. Finché non gli riesce di afferrare, tra il pollice e l’indice, il pasciuto deretano della gran signora: la regina dello sciame. Da inserire, cautamente, dentro alla scatola di legno, altamente riconoscibile, che è un po’ il simbolo del suo mestiere. Per poi farlo ancora e ancora (ce n’è più d’una, in genere). E portarsi tutto via, senza costi di alcun tipo per chi l’ha chiamato: molto renderanno dopo tutto quelle bestioline, per settimane e mesi ed anni, convertendo il polline nel cibo che appiccica le nostre colazioni.
Nell’osservare questa tipica classe di eventi, si ha la sensazione che gli abitanti dei suburbs degli Stati Uniti abbiano mantenuto un rapporto privilegiato con molti degli aspetti appartenenti al mondo naturale. Immaginatevi, qui da noi, l’invasione ronzante di un milione di individui alati nel parcheggio o nel ripostiglio, come avvenuto in questi video, benevoli in potenza, eppure assai pericolosi. Troppo spesso la disinfestazione, come concetto indivisibile, viene considerata un atto bellico impietoso. Lo sterminio metodologico di un intero popolo d’insetti, privi di raziocinio e dunque, secondo il senso comune di chi vive nelle grandi città, anche di un pretesto per giustificarne l’esistenza.
Nessuno si aspetta la venuta dell’insettile inquisizione. Ma una vespa, presa prigioniera, non confessa mai la verità. Fino all’ultimo resiste, poi sparisce. La ritrovi, verso sera, che si staglia sulla lampada del comodino; mentre si strofina le pelose zampe, pregustando l’attimo di una vendetta lungamente meritata.