Lasciate che vi parli di Atlanterhavsveien, la via asfaltata che s’inoltra nel mare impetuoso diventando una parte inscindibile di esso. Non vi passa sopra, come il Golden Gate. Ne sotto, alla maniera pavida del tunnel della Manica. Come avrebbero potuto, tali sottomesse soluzioni, soddisfare i discendenti dei dimoranti asgardiani? C’è un solo contegno per percorrere, volante stretto fra le mani, il sottile nastro d’asfalto che si estende tra le piccole comunità di Kristiansund e Molde, ben visibile dai fiordi sul finire dell’Europa…Il coraggio dei vichinghi, l’entusiasmo degli esploratori dalla rossa barba e i baffi a treccia. Ho sognato, questa notte, della strada norvegese affine al ponte mitologico di Bifröst. Lasciate che vi parli della mia esperienza.
Casa-lavoro, quasi come tutti i giorni. Stavo guidando l’argentea Bugatti Veyron che effettivamente tengo nel garage, verso una mezzanotte stranamente luminosa, sul tragitto che conduce fino a Yggdrasill, l’albero del mondo. È molto facile da ricordare, tale strada. Basta prendere l’uscita 45 dell’A90, il familiare raccordo anulare, per poi procedere lievemente di traverso, tra le regioni del sensibile, oltre la quinta o sesta dimensione. Ciò sottintende qualche giro in più, passando una seconda volta per il Via. Procedura conveniente, questa, al fine di ridurre le distanze (lo stradario non vi aiuterà). Di renderle, soprattutto, rilevanti. Nel regno della fantasia, spariscono i confini e i tratti della noia, le semplici autostrade. Restano soltanto attimi di meraviglia. Colline verdeggianti e strabilianti lungomare. Fino al passo dello Stelvio, il secondo valico automobilistico più alto d’Europa, edificato per il volere dell’imperatore Francesco I d’Austria, con la vista sulle verdeggianti Alpi Retiche, il ricordo sempre netto delle grandi glorie del ciclismo. E da qui alla Romania del Transfăgărășan, la serpeggiante via costruita in tempi di guerra, quasi in verticale, scavata con il sangue, col sudore e con la dinamite, che costò la vita a 40 giovani soldati del regime. Per poi diventare, dopo oltre 30 anni, una meta turistica di chi ama fare esperienze di guida fuori dal comune; merito delle peripezie dei tre protagonisti Top Gear, se vogliamo. E che dire della Silvrettastrasse, in Austria, o della Route Napoleon sulla Riviera Francese, che lui percorse nel 1815 ritornando dall’esilio… Racconti per un altro giorno, un’altra notte di guida senza posa. Non erano di passaggio per Yggdrasill. Dopo qualche ora, sul volgere dell’alba sono giunto dunque nel profondo Nord. Oltre la Finlandia e la Svezia, fino al gelo della notte piena d’opportunità.
Terra di antiche rocce, in cui l’erba cresce tra la neve della primavera, forte, nonostante tutto, senza dubbi o esitazioni. Qui, senza mai frenare, il potente motore tedesco che ruggiva alle mie spalle, ho risalito la Trollstigen, o scalinata dei troll. L’impervio passo montano che divide Åndalsnes in Rauma da Valldal in Norddal, dalla cui vetta, se si è fortunati, quando l’aria è molto rarefatta, già si scorge l’acqua della Fine, oltre cui vivono soltanto le balene soffiatrici. Se non fosse per il titolo e la mia premessa, potreste già pensare che il viaggio tra le strade più memorabili d’Europa, per quest’oggi, fosse terminato. Ma così non fu: mancava il culmine finale.
La Atlanterhavsveien, o Strada Atlantica, era stata concepita per la prima volta all’inizio del ventesimo secolo, come progetto ferroviario per collegare la rete nazionale alla contea di Møre og Romsdal sulle propaggini settentrionali del paese. Dopo una lunga pianificazione su premesse ormai obsolete, nel 1935, il parlamento norvegese decretò che la strada, invece che ferrata, fosse fatta con l’asfalto. Troppe cose erano cambiate nel frattempo, nel mondo dei trasporti, per poter ignorare l’influenza degli Stati Uniti industrializzati, mentre già la Ford, una delle prime grandi multinazionali, aveva fondato uno stabilimento in Danimarca. l’automobile era la porta del futuro e giammai, questi popoli di grandi navigatori, si sarebbero fatti sorpassare a destra dai pionieri d’Occidente. Ma la strada dell’ingegneria è tortuosa e questo grande sogno, di una strada che passasse in mezzo al mare, avrebbe ancora richiesto molto tempo per prendere corpo. Arrivò, quindi, la seconda grande guerra, con le sue brutali priorità. L’obiettivo restò chiaro nella mente, sempre vivido e attraente, fino agli anni ’80 dello scorso secolo, il momento della verità.
Fu allora che Arne Rettedal, Ministro dello Sviluppo Regionale, decretò che ingenti fondi messi da parte per lo sviluppo del mercato del lavoro, fossero impiegati per la costruzione di nuove strade, tra cui questa antica chimera, ormai quasi mitologica. Talmente voluta dagli abitanti del luogo, che già era stata formata, da oltre 10 anni, una compagnia con partecipazioni statali, la Atlanterhavsveien AS, con il compito di raccogliere i futuri pedaggi. Ciò fu un grande punto a favore dell’approvazione della strada: secondo i piani originali, nel giro di 15 anni la grande opera si sarebbe ripagata, proprio grazie a loro, di un soddisfacente 25%. La strada fu completata nel 1989 con un costo di 122 milioni di Corone Norvegesi, subendo dei ritardi a causa di 25 tempeste di vento, tra cui alcune niente affatto trascurabili. Che continuarono e ci sono ancora, quasi mensilmente. Entro il 1999 grazie all’alta visibilità del luogo sui quotidiani e le riviste di settore, con conseguente afflusso di turisti danarosi, il pedaggio fu rimosso, perché le spese erano state già coperte al 100%.
La Strada Atlantica è lunga 8,3 Km e passa per l’arcipelago di Eide ed Averøy, liberamente esposto alla piena furia dell’Oceano tempestoso. Poggia, nelle sue parti terricole, su una pletora di skerries, i caratteristici isolotti rocciosi del nord, normalmente privi di abitanti, umani o d’altro tipo. Ma che in questo caso, data l’alta percorribilità, sono volta per volta sede di piccoli resort, ristoranti o banchine per la pesca, graditi punti di ristoro lungo un simile percorso turbolento. Qualche volta, dicono, lì vengono le foche, per mangiarti dalle mani come fossero gattini.
La strada viene considerata un importante patrimonio culturale e National Tourist Route (percorso turistico nazionale). Ma le sue sezioni maggiormente interessanti, neanche a dirlo, sono quelle che sembrano affiorare direttamente dalle onde. La Atlanterhavsveien si compone di un numero imprecisato di viadotti ed otto ponti, di cui uno, il più famoso e lungo, ha nome Storseisundet. Misura 260 metri. Si tratta di una struttura alquanto significativa, perché appartiene alla tipologia degli attraversamenti veicolari a cantilever, anche detti, con mensola. I sue due massicci piloni di sostegno, posti ove la riva è digradante, ma non ancora sommersa, sostengono altrettante svettanti strutture ad arco. Queste, a loro volta, fanno da appoggio per la parte centrale del ponte, che così pare sospesa, come il già citato ponte di Bifröst che univa il Valhalla al regno degli umani. Al suo termine, ci vedrei bene Thor. La particolare natura della costruzione, nonché il suo posizionamento, conferiscono allo Storseisundet un aspetto quasi fiabesco, eppure solido e moderno. Vederlo così sospeso, tra gli spruzzi del mare agitato, rende facile capire perché è stato definito, a volte, la strada che conduce verso il grande Nulla.
La popolarità turistica di questo percorso unico al mondo, e la sua costante presenza nelle pubblicità automobilistiche, sono fatti rilevanti ed acclarati. Già dieci diversi produttori, dai quattro angoli del globo, hanno portato i loro ultimi fiammanti modelli su questo tragitto spettacolare, possibilmente mentre soffiavano i venti dello sconvolgimento meteorologico. Del rest che c’è di meglio, per dimostrare i meriti di un veicolo, che farlo correre nell’elemento Acqua? Quello che fra tutti, secondo le metriche del senso comune, dovrebbe essergli meno familiare… È un pericolo solo apparente, questo. Il merito resta, indubbiamente, a chi l’ha saputa immaginare, realizzare e rendere famosa, una tale surreale meraviglia dell’ingegneria. Per Yggdrasill! Erano le 5 di mattina, quando l’ho raggiunta, finalmente, sul percorso verso l’albero di Odino.
Già il rombo del mio inarrestabile motore, condotto innanzi dalla forza dell’oblìo notturno, stava finendo il carburante. La Bugatti si era ridotta ad una Smart, ma pur sempre bianca e a strisce rosse, come la vela di un antico drakkar, terrore marittimo dell’alto medioevo. Se mi è riuscito di giungere a destinazione, prima dell’inarrestabile sorgere del sole, questo non mi è totalmente chiaro. Ma una cosa è certa: domani terrò il piede fisso quanto l’occhio della mente addormentata, ancora una volta e fino al termine di un tale sogno senza fine.