Ai margini occidentali della Columbia Britannica, vasta provincia nordamericana, si trovano rispettivamente la città maggiormente popolosa e quella più antica della zona. Sono Victoria e Vancouver, l’una sulla terraferma, l’altra capoluogo costiero, oltre un braccio di mare e su di un’isola che ha nome, alquanto stranamente, anch’essa Vancouver. Come il suo insediamento contrapposto, piuttosto che quello direttamente soprastante. Fraintendimento comprensibile. L’incontaminato e fronzuto Canada naviga in due Oceani, non uno soltanto, ciascuno da esplorare con dei mezzi molto differenti; il primo è di barche, navi ed aliscafi. E l’altro è il dedalo dei tronchi, un verde labirinto dalle molte vie d’ingresso. Ovvero, il bosco misterioso. Chi dovesse entrarvi partendo a suo rischio dalle coste dello stretto di Georgia verso Est, si ritroverebbe presto circondato da conifere rabbiose, pini atroci e querce belluine; gli antichi nemici dell’umanità. Alberi, questi, che sottintendono mancanza di controllo, spazi e strade da percorrere su solidi pneumatici, tra il metallo di automobili rassicuranti. Siamo forse scoiattoli, pernici o beccaccini, a doverci accontentare delle intercapedini di un legno stolido e indefesso…
Tutto questo, inoltre, sottintende la questione architettonica. Del materiale, per l’appunto. Quell’utile sostanza ormai defunta, la polpa e la corteccia, da tagliare, levigare ed inchiodare su pareti, paraventi e scrivanie. Il legno arreda e costruisce, offre rifugio dal pericolo degli elementi. Non avremmo ad oggi le nostre svettanti città, senza aver pagato un caro prezzo in vita vegetale. Il che si traduce, essenzialmente, in una singola latina locuzione: nemora delenda est. “Sia dannata la foresta, boscaioli, e tutto quello che contiene” Dicevano gli antichi, alquanto ingenuamente. Ancora non capivano, in mancanza del bisogno, che il mondo naturale deve esser coltivato. E trattato con rispetto; altrimenti, alla fine cosa resterà? Solamente l’incredibile tecnologia, roba da nulla! Quella, come questa, in grado di produrre macchine, stupende, che risolvono i problemi. PONSSE Scorpion: vi presento il fulmine svedese con otto pneumatici, cingolabili all’occorrenza, una cabina stabilizzata e il braccio distruttivo di un titano. Armato, quest’ultimo, di uno strumento assai particolare, detto harvester. Perché gli alberi, come noi uomini, sono sostanzialmente tutti uguali. Ben lo sapevano i francesi, durante la celebre Rivoluzione. Quando ghigliottinavano i nemici del Progresso: una testa rotola, lo stesso. Purché sia ghigliottinata e ghigliottinare un tronco, dopo tutto, non è così difficile. Basta premere un pulsante di questa cabina di comando.
L’industria è un concetto strano ed aleatorio, che si trova definito nelle gesta degli umani, piuttosto che i prodotti del sudore della loro fronte. Ci sono gli opifici e le officine, gli alti capannoni degli agglomerati urbani. E c’è parimenti l’artigiano solitario, eremita in cima a una montagna, il quale intaglia il ghiaccio con la forma di minuti e magnifici pupazzi, dinosauri estremamente dettagliati. E se questi ultimi, inevitabilmente, finiranno sciolti al sole, cosa cambia, nel principio? Comunque lui li aveva fatti. Le rocce ricorderanno il frutto dei suoi gesti. Assieme a quell’ossigeno, fornito dalla foresta che un tempo c’era stata, fosse stata questa la sacra pluviale d’Amazzonia. Oppure, di altri luoghi.
Esistono tre modi per raccogliere la legna e trasportarla via. Il primo è quello classico, comunemente definito WTL – whole tree logging (raccolta dell’intero albero). Prevede che gli addetti ai lavori, un po’ come personaggi dei cartoni animati di Natale, buttino giù gli interi alberi, poi li trascinino, esattamente come sono, fino al camion di supporto. Con i rami e tutto il resto. Un procedimento che presenta alcuni insiti vantaggi, ancora apprezzati in certi casi, ma che indubbiamente, potrete capirlo, risulta essere tutt’altro che efficiente. Successivamente, si è scoperto che tagliando via il surplus della legna poco utilizzabile, dal succulento albero centrale, si poteva procedere con gran velocità. Questo approccio più moderno viene definito SOH – stem only harvesting (raccolta del solo tronco) ed è fantastico. Tremendamente rapido, benché presenti due problemi: lo spreco ed i residui. Ovvero tutti quei rametti e/o tronchetti mutilati, inutili, rapidi a seccarsi, cosparsi della propria stessa linfa vitale, perfetto carburante per incendi accidentali…
Le attrezzature moderne per la foresteria meccanizzata hanno portato a successive evoluzioni. Laddove un tempo si necessitava del lavoro di dozzine di persone, camion giganteschi e giorni o settimane, oggi bastano tre macchine soltanto, di cui una taglia, la seconda porta via. La terza distrugge: sarebbe lui lo Shiva della triade forestale…Ma non corriamo avanti. La procedura CTL – cut to lenght (taglio a misura) è il più tecnologico metodo di raccolta della legna. Prevede un numero di operatori che può ridursi fino a due, con conseguente risparmio del reparto addetto al personale. Benché non dell’operazione in quanto tale, visto che l’acquisto delle macchine, da solo, può facilmente raggiungere un costo di 1 milione di dollari. O anche più.
È una leggenda, per le piante, sussurrata a mezza bocca grazie ad aliti di vento, nelle notti estive in cui si narrano le storie spaventose. Per primo viene l’harvester, un dispositivo paragonabile a quel PONSSE d’apertura, che sradica i colpevoli e li fa passare, nel giro di due secondi, per il tramite di un tritatutto sfrondatore. L’alta mobilità di simili veicoli gli permette di giungere inattesi, anche in assenza di radure, strade o mulattiere. Dove prima c’era il silenzio, in un attimo, la luce della fine: un lampo, un colpo, la mano meccanica che compare per portarsi via i rimpianti. Sistemi GPS, associati a dettagliati database, informano il pilota su quali siano i singoli tronchi da colpire. Fatto l’affare sanguinario, quello scappa via, verso nuove mete. Quindi viene il camion fuoristrada, armato di gru a ganascia, che autonomamente raccoglie i corpi esanimi degli alberi mozzati. Il suo lavoro è silenzioso, al confronto, quasi mistico e funereo. Quasi come un membro di una medievale confraternita, che perlustrava i vicoli in cerca di poveri defunti da portare al cimitero. A quel punto restano soltanto, come dicevamo, i misfits, i dannati. Gli inutili avanzi da far fuori quanto prima. La soluzione è…
Il mulcher! Questo arnese distruttivo, chiassoso e rumoroso, dalle poderose lame sovrapposte, che spezza i pini come fossero stuzzicadenti. È una bellezza, a vedersi: parte dalla cima. Con il ronzio di centomila vespe, rapido scende fino in fondo, producendo segatura. Il suo effetto ricorda quello dei disintegratori fantascientifici, le armi fantasiose del cinema o della tv. Non resta proprio nulla, se non il concime. Perché come il suo citato antesignano indiano, quello Shiva della mitica Trimurti, questa scavatrice non distrugge, solamente. Ma pone le basi di una florida rinascita, dello spazio ormai nullificato ma ricco di preziosi presupposti. Rinascita, speranza per i candidi virgulti che verranno un giorno. Prima o poi.
La foresteria meccanizzata dei nostri giorni, quando praticata nel modo corretto, non è una campagna bellica contro le piante. Ma l’espletamento coscienzioso di un bisogno della civiltà umana, innegabile quanto perenne, attraverso un sistema tecnologico che sottintende la suprema razionalità. Vuole dire: “Se mi servono 6 alberi, ne taglio 6. Basta così” Chissà se il settimo, cadendo a miglia di distanza, produrrà un qualunque suono udibile, dal cielo e dalla terra e dalle pietre… Gli scoiattoli conoscono la verità.