L’oscura bottega degli automi americani

Thomas Kuntz

Per cento anni ti ho cercato, mia nemesi prussiana. Generale faccia-di-morto con l’elmetto acuminato, la croce di ferro in petto, la pipa lavorata saldamente stretta nella mano, l’unica che ti rimane! Dieci dita striminzite, l’uniforme ormai stracciata, la maschera anti-gas gettata a terra, pochi denti, ma buoni. La guerra ha un suo spietato prezzo, soprattutto dopo che è finita. Che ne è stato dei tuoi intrepidi soldati? E le macchine ruggenti, l’artiglieria poderosa, i cavalli che nitriscono sulle trincee nemiche…Bei ricordi, quelli, di un cadavere che parla appena. Senza articolar parola: grigio, nero, bianco d’osso, spettro di uno scheletro senza rimpianti. Ma molti ricordi ed un colore vivido, soltanto: il rosso. Ti ho cercato e ti trovato. Quella magnifica pallina sulla testa, mio nemico, non potrai tenerla. Mi ha mandato il vecchio re dei topi, mio cugino, per prenderla e portarla via.
Gli oggetti, in quanto tali, non hanno propri sentimenti. Però, talvolta, possono produrli. Come nel caso degli strani automi di Thomas Kuntz, l’hexanthrobotista, così usa farsi chiamare, o stregone delle cose che si muovono. Senza una causa chiara. Segno invidiabile, questo, di una falsa vita, che risuona del gusto estetico di epoche trascorse, ma si proietta, nel contempo, verso il gusto dell’estetica contemporanea. È un orrore un po’ bizzarro il suo, eppure molto coinvolgente, di figure misteriose. Si tratta quasi sempre di non morti: zombies, scheletrini, spettri nella notte e qualche orrido vampiro. Persino il diavolo nel campanile. Ciascuno di essi attentamente disegnato, poi scolpito e messo assieme nel suo laboratorio personale presso Phoenix, Arizona. Niente facilitazioni o integrazione del lavoro altrui, percorrendo mercatini o vicoli di zone commerciali. Lui li realizza interamente, simili prodigi ingegneristici, per venderli presso il sito rilevante, Artomic.com, assieme a modellini in scatola di montaggio, bambole e bizzarri soprammobili, accessori degni di un laboratorio alchemico ancestrale. Ove tali simulacri, indubbiamente, troverebbero collocazione, tra gli alambicchi e i crogioli dell’altra professione, così simile alla sua.
La quale non è semplice meccanica applicata all’arte. Bensì l’alternativa, lungamente attesa, a tutti gli orologi che servono a segnare il tempo. Che passa quando non ci pensi. Soltanto se ti metti ad osservare il movimento, eternamente ripetuto, di qualcosa di automatico e perverso, il giro dei minuti finalmente accelera e si perde tra le pieghe del crepuscolo incipiente. E sul calar della notte, assieme scende il ponte levatoio della fantasia. Tic-Tac! Chissà che può nascondere quel vasto dedalo di strade, le alte torri che si perdono tra nubi prive di una forma definita….

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Tra le ispirazioni di Thomas Kuntz, spicca il gusto gotico dei film muti degli anni ’20, in cui molti dei mostruosi esseri dei nostri giorni, per la prima volta, si affacciavano sul regno del sensibile collettivo. Particolarmente pregno, in quest’ottica, risulta essere il dispositivo intitolato Moonlight Sonata (2012) in cui un rinsecchito pianista senza gambe, ma elegante, suona Beethoven per la sua perduta amante. Finché lei, d’improvviso, appare alle sue spalle, invisibile per noi, se non fosse per un quadro appeso dietro, che dimostra la sublime verità. Potranno rincontrarsi, un giorno? Riusciranno nuovamente quelle mani, finalmente, a percepire il tocco delle cose? Soltanto continuando a girare l’aurea manovella, giorno dopo giorno, sarà possibile conoscere la verità. A meno che, sfortunatamente, non si finisca per diventare noi per primi, spettri. Eternamente condannati a rivivere quei gesti, come…Automi.
Il quale rischio, è tanto più drammatico, se si pensa alla gloriosa alternativa. Diventare Nosferatu! Il grande morto, dotato di poteri tanto spaventosi, e tanto resistente alle pallottole e teste d’aglio degli uomini, da riuscire in ciò che ha sempre eluso i suoi predecessori narrativi. Diventare, da antagonista che doveva essere, il vero nesso dei racconti letterari e cinematografici. Qui riprodotto, fino al minimo dettaglio, in forma di un pupazzo dallo sguardo magnetico e inquietante. Lo stesso Friedrich Gustav Max Schreck, l’attore scelto da Friedrich Wilhelm Murnau per il suo capolavoro del 1922, non avrebbe potuto darne un’interpretazione maggiormente convincente.
Il Vampiro di Babilonia, con il suo cappello a cono, versa la bevanda nella coppa d’oro, ghigna e quindi beve. Gli occhi si muovono, la testa gira tutto attorno. Ma la sua caraffa, vetusta suggestione Shakespeariana, altro non sarebbe che un orrendo cranio umano, sanguinante.

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Questo stile scenografico moderno, ironico e spietato, potrebbe essere individuato come filo conduttore dell’ultimo periodo dell’artista. Perché precedentemente il tema principale scelto, indubbiamente, era stato l’occultismo in quanto tale. Che suggestione affascinante! Soprattutto per un tipo come lui, nato da padre medico chirurgo e madre fabbricante di bambole. Negli Stati Uniti del Sud, terre di tradizioni austere, saldamente religiose, oppure di spietato modernismo, automobili potenti e giri di rodeo. Sia lode a questo moderno, improbabile emulo di Paracelso.
Ne La Torre dell’Alchemysta (2009) al battere dell’ora, si anima un complesso planetario, bronzeo ed imponente. Due figure contrapposte, di un templare ed una driade con verga mercuriale, danno il benvenuto alla rinascita del tempo e poi percuotono una campanella. A quel punto si apre il gran portale. Da cui fuoriesce, di nero vestito, il figuro di un maestro dell’occulto, che inizia a declamare una lunga  e terribile lezione. I suoi gesti sono energici, mentre con la bacchetta pare indicare questo o quello fra i presenti di una vasta congregazione, non dissimile da quelle che si radunavano, un tempo, in occasione di particolari ricorrenze, quando i grandi orologi mitteleuropei, orgogli di paesi svizzeri o tedeschi, si spalancavano, in tutta la loro gloria dinamica e musicale.
Sul finale, due fiammate, un rombo e quel vermiglio gigante che incombeva sopra il tetto, anche lui partecipa alla scena. È il demonio in persona, comodamente adagiato sulle tegole del campanile, presagio del miracolo ulteriore; acqua che sgorga da fontane laterali, oppure forse, chi lo sa, sacro fluido alchemico, presagio d’immortalità.

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Che dire, inoltre, degli oracoli, dei santi, dei mostri e le altre meraviglie che popolano uno dei più singolari canali di YouTube? Questo artista, così fuori dal tempo e dalle convenzioni, meriterebbe sicuramente di essere approfondito. I suoi automi parlano una lingua rimbombante, prossima alla nostra eppur diversa. Il bosco del mistero ha un solo ingresso ma innumerevoli vie d’uscita. Ciascuna diversa dalle altre, perfettamente in grado di cambiare chi percorre quei recessi oscuri. Perfezione, deificazione. Situazioni, queste, che ci eludono da sempre. Ma verso cui possiamo tendere, per il tramite dell’arte imperitura, nata dalle mani abili e dalla sapienza. Quasi nessuno si ricorda degli automi vittoriani o quelli precedenti, in questi strani giorni.
I robot futuribili, senza macchia, bianchi e senza più difetti, trionferanno alla fine perché sono utili, in qualche maniera. Ma sulle strade del domani, cullati fino al posto di lavoro dalle automobili pensanti, assistiti da strumenti che sostituiscono la carta, ci ricorderemo delle origini di quel sistema che già permetteva di schematizzare il mondo. L’ingranaggio a camme, l’albero, la leva e la chiavetta per la carica. E quella lì sarà il Momento. Perché liberi da simili problemi, finalmente, proprio grazie allo strumento tecnologico, con le sue ingombranti applicazioni, guarderemo indietro. Seguendo l’esempio di chi, come lui, ci aveva già pensato.

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Chameleon Chronicles (2008) è stato realizzato per l’autore dell’omonimo libro illustrato per bambini. L’ambientazione ricorda da vicino una minuta Notre Dame, con tanto di gargoyle e altre mostruosità assortite.

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