Gli antichi Egizi usavano visitare queste stesse rive, in cerca di una mitica sostanza. Il nero, tiepido bitume, la colla usata per stuccare i molti buchi delle mummie. Un vero nettare dell’immortalità, questo ammasso maleodorante, che riaffiorava da profonde pozzanghere nel suolo. Oggi ci vorrei portar le capre, per analogia con i cavalli troppo golosi. Allo scopo di provare il gusto di un cubetto molto nuovo e niente affatto zuccherino.
Se la vita è il mantenersi operativo di un complesso organismo funzionale, che si nutre, defeca e risveglia ogni mattina anche a molti anni di distanza dalla nascita, allora dipartita vuole dire mutamento. Al-Baḥr al-Mayyit per gli Arabi, Thálatta asphaltĩtēs per i Greci, Yām ha-Mizraḥî oppure Yām ha-‘Ărāvâ negli antichi testi degli Ebrei: sono tutti nomi del più basso punto non oceanico del nostro pianeta, l’inospitale, unico Mare senza pesci. Il Morto, amava chiamarlo qualche intrepido poeta. C’era sempre un valido perché: fra tutti i laghi ipersalini, nessuno è tanto vasto, così profondo e privo di abitanti pluricellulari. Nonché misterioso nelle sue trasformazioni. Intorno agli anni ’60 dello scorso secolo, per l’effetto di un programma di irrigazioni lungo tutto il corso del fiume di Giordania, che fu fatto partire proprio in concomitanza con un calo significativo delle piogge stagionali, l’antico bacino idrico subì una significativa metamorfosi. Dove non poté arrivare l’inarrestabile geologia, fummo noi, bipedi pensanti ed operosi, a fare il danno senza precedenti. Fin dalle origini delle ancestrali civiltà, il Mar Morto era ben diviso in due strati molto differenti: quello superiore, con una salinità di 342 parti per migliaio e una temperatura che poteva raggiungere anche i 37 gradi centigradi, e la parte inferiore degli abissi semi-tenebrosi al di sotto dei 35 metri, non più caldi di 22 gradi. Qui, nel mezzo di una saturazione assoluta di molecole NaCl (cloruro di sodio) così tanto diffuso che le precipitazioni dalla superficie non potevano aggregarsi ulteriormente all’acqua, finendo sul fondale, si nascondevano alcune timide forme di vita, come l’alga dunaliella e gli halobacteria, micro-organismi che si nutrono di rara luce ultravioletta, la cui membrana cellulare, cosa fuori dal comune, resisteva alle ruvidità di un tale ambiente. Un potere straordinario dato dall’evoluzione. Ma gli ecosistemi rari sono delicati per definizione, e l’improvviso venire a mancare di un apporto tanto ingente di acqua fresca e pura cambiò i rapporti di potenza fra le parti in gioco.
La sostanza della superficie, improvvisamente raffreddata, perse il suo primato di minore densità, cadendo inarrestabile verso il profondo e mescolandosi come l’oceano latteo della mitologia indiana. Si stima che entro il 1978-79, dove prima c’erano due zuppe, ne era rimasta solamente una.
Distrutto l’aloclino, l’impenetrabile barriera tra i diversi strati di salinità, cose nuove riemersero dal buio dei millenni. Erano dei cubi persi agli occhi della gente.
Questa forma perfetta tanto cara al Platonismo, che suggerisce immagini di una sessione a Dungeons & Dragons, non è rara nell’ambito della mineralogia. Anzi! Fra tutte le strutture dei cristalli, è forse quella che si verifica più di frequente. Chiunque abbia passato le infantili estati in cerca di pirite, l’oro degli sciocchi che talvolta si nasconde tra l’asfalto delle strade, ben conosce questa sua frequente manifestazione. E non c’è poi tanto da sorprendersi, se anche la natura ama giocare in tale modo. È tutta una questione di analogia tra le diverse classi di grandezza: come per dei frattali, le figure matematiche infinitamente ricorsive, il mondo fisico si giova di precise regole, dalle quali ne derivano delle altre uguali però maggiormente pervasive. L’atomo minuscolo, mattone unico della materia, aderisce ai suoi simili secondo la prassi che deriva dalla sua struttura. Se dovesse farlo cento, mille volte, accadrà ogni volta nello stesso modo. Da ciò si può desumere che un’ammasso veramente puro di una singola sostanza, se immobile nella sua costituzione, si presenterà sotto ai nostri occhi con la precisione geometrica del mondo delle idee. Esiste una scienza, la cristallografia, che proiettando radiazioni contro simili costrutti, li ha ben divisi in base all’occorrenza delle simmetrie: ci sono cristalli triclini (a tre assi), monoclini, ortorombici (con tre angoli retti) romboedrici, esagonali e tetragonali. E poi c’è quello cubico, all’origine dell’occasione. In ciascuno di essi, gli atomi si assembrano in molecole secondo una precisa disciplina, che può avere il vertice d’origine al convergere degli assi, oppure al centro di una delle facce, da cui, in tale caso, prenderebbe il via la tessitura. Lo splendore del diamante, l’opaca durezza del quarzo e il rosso cupo del rubino affascinano le nostre menti dalle interminabili generazioni. In loro ricorre il senso di un equilibrio eternamente ripetuto, fondamento stesso di un universo ancora incontaminato.
Quello che ancora non tenevamo ben presente, tuttavia, è che ciò appartenga anche al “comune” sale. Questa sostanza un tempo preziosa parimenti all’oro alchemico, oggi venduta nei supermercati, la quale dovrebbe presentarsi con la forma di un granulato diseguale. Irregolarità dovuta, in effetti, a contaminazioni chimiche, la stessa fonte del sapore che noi tanto amiamo. Ma non c’è niente di normale, in questo Mar Morto trasformato, ormai quasi privo di alghe e di batteri. Il puro cristallo di quella sostanza, in effetti, ha una forma tanto regolare che dei giovani turisti possono usarlo come fosse un voxel di Minecraft. Costruendoci strutture che non dureranno dei secoli, nei fatti, ma colpiscono la mente affascinando i navigatori dell’odierno web. Ci sono più cose a questo mondo… Tale assioma era già noto, del resto, ai tempi degli Esseni.