Purché la stampante sia del tipo inkjet, ovvero a getto d’inchiostro. Non è chiaro quando sia successo, che le parti si scambiassero tra loro. Stando ai superstiti dei vecchi tempi, siano questi libri o autentiche persone, il verde si è ridotto col procedere degli anni. C’erano una volta le foreste, qualche rigogliosa giungla, selve, macchie, boschi e schiere di conifere ammassate; talmente tanti arbusti c’erano, che persino dopo l’invenzione della carta, ne restavano diversi. E quelli lì, abbattuti e fatti a lastre incise, si usavano per dare corpo ai lumi ed ai pensieri. L’equilibro del mondo dell’arte si reggeva sugli opposti: polpa da una parte, cellulosa in quella opposta. Poi di nuovo insieme in un romantico racconto visuale, attentamente tramandato. Era, quella, l’epoca della xilografia. L’inchiostro scorreva libero nei fiumi, non ancora intrappolato nelle pratiche cartucce di un qualsiasi centro commerciale.
Di carrelli, nella stampa d’oggi, ce ne sono due: il secondo è quello che rincorre il foglio sotto lo sportello in plastica, dell’apparecchio digitale collegato in USB. Come cambiano le cose! Ormai non si dipinge, non si intaglia attentamente, non si usano le presse con la vite senza fine. Ciò vuol dire: niente legno. Solo un tasto, il gesto e la parola. La prassi è pure troppo chiara. Si trae l’immagine da un sistema rigido che non ammette cambiamenti: dallo spazio digitale ci si sposta sulla carta, senza intermediari. A meno che qualcuno non ci metta….L’intenzione. Steve Ramsey è il video-falegname che, in questo particolare frangente, ci dimostra una particolare proprietà delle moderne macchine da stampa che teniamo in ogni casa. Stiamo parlando delle Epson e Hp entry-level da qualche decina d’euro, meno care dell’inchiostro stesso. Apparecchi accessibili, eppure più versatili di quanto si possa pensare. Cosa sta facendo, questo hacker dalle mani multiformi? Ha preso un foglio di etichette per i pacchi, li ha staccati tutti quanti. Ah, che spreco di adesivi!
E ad ogni modo, resta il retro. Quella carta liscia, floscia e maneggevole, di un insignificante color crema. Un residuo che la prassi porterebbe a gettar via. Ma la prassi, ebbene, non è il campo degli artisti.
Riprodurre il Dr. Who, farci un piccolo quadretto. È un esperimento che verrebbe voglia di provare. Se l’inchiostro non costasse più del sangue umano…Beh, il concetto è questo: su quella particolare carta, fatta proprio per permettere il distacco di etichette autoincollanti, l’oro liquido multicolore non può mai attecchire. Manca l’adeguata componente di porosità. Così resta appoggiato, libero di trasferirsi ad altre superfici. Però perfettamente disposto nella forma di ciò che avevamo scelto da stampare. Si consiglia, ovviamente, d’invertire il soggetto orizzontalmente, come in uno specchio.
Questo ha sempre previsto il campo di chi trasferisce immagini in un tale modo, fin da quando si stampavano vedute del solenne monte Fuji, firmate dalla mano di Hokusai. Ed è interessante, un tale paragone. Perché se allora il legno era soltanto il tramite, mentre la carta il ricevente, adesso ci si muove in senso opposto. Albero>Carta e poi di nuovo albero. Davvero è ormai finita l’epoca della natura rigogliosa, quando c’erano più arbusti che immagini da riprodurre.
Chi produce può combattere la stagnazione. Questa idea dello stampare per osmosi carta-legno, come potrete facilmente immaginare, non è un’invenzione così nuova. Ci si arrivava grazie al mezzo della logica. Ecco ad esempio un altro video, del 2012, in cui il costruttore di chitarre C. Monck impiega un metodo simile al fine d’imprimere il suo logo sopra il compensato. Il sistema, in questo caso, è lievemente più complesso. Piuttosto che impiegare il retro degli adesivi, in questo caso l’autore crea una lamina di carta, vernice trasparente e colla. La asciuga con un phon, quindi la usa come superficie per l’inchiostro. L’effettiva stampa avviene in un minuto. A questo punto, lui lucida anche il pezzo di legno ricevente, sui cui dunque appone quel sigillo in fulgido corsivo. Avendo in questo caso scontornato il logo, ciò che ottiene è ancor più affascinante: la scritta rossa, al vivo del fondale dalle naturali venature. Un effetto veramente niente male.
Finita l’epoca d’oro della xilografia, l’apporto tecnologico pose gli artisti giapponesi innanzi ad un dilemma. La semplificazione del processo produttivo, grazie a presse e attrezzi più moderni, liberava dal bisogno di rivolgersi a degli artigiani specialisti. Per la prima volta un solo autore poteva dipingere, incidere e stampare. Da tale situazione nacquero due correnti contrapposte: la Sōsaku-hanga, per tutti coloro che volevano far questo in solitario. E la Shin-hanga, dei tradizionalisti della collaborazione. A noi non serve neanche un solo giorno di preparazione. Il foglio fuoriesce già stampato. Ciò che costa impegno è fuoriuscire dagli schemi predisposti.