Nella notte senza fine, tra disgrazie immisurabili, nel profondo della cupa disperazione di un’apocalisse tremebonda, questo giovane protagonista troverà l’eroe che si era meritato. Di cui, probabilmente, aveva anche bisogno. Non ha una mantello nero, Stanley, ma vanta le stesse appuntite orecchie dell’uomo pipistrello, un passo agile e le mille risorse del più prototipico dei cercatori. È tozzo ma compatto, nelle gambe e nella forza d’animo. Questa salvifica palla di pelo, come Ulisse che dalla rocca di Troia ebbe a ritornare ad Itaca, terrà nella mente ben fissato l’ideale del ritorno. Con una significativa differenza: per un cane, l’unica casa è il suo padrone.
Il commovente cortometraggio, intitolato Steadfast Stanley (Stanley il coraggioso), è l’opera di John Cody Kim, studente al terzo anno del CalArts di Valencia, nella contea di Los Angeles, in California. Dopo essere stato pubblicato giusto in questi giorni, assieme agli altri cartoni animati degli iscritti ai quattro anni del corso programmatico di Character Animation, ha ottenuto un successo su scala globale, grazie alla circolazione virale sui diversi social network. E non c’è molto da meravigliarsi, soprattutto visto come in poco meno di 5 minuti, dalla tecnica stilistica eccellente, la storia riesca a coinvolgere ed appassionare. Si tratta, essenzialmente, di un crossover tra due punti salienti della cultura contemporanea: da una parte c’è l’eterna fedeltà dei cani, dall’altra il presunto pericolo dei morti viventi. La recente resurrezione (pardon) dello zombie mediatico, per il quale è giusto usare la grafia inglese, ha profonde ragioni sociologiche e culturali. In questo 2014 d’incertezze economiche, instabilità globale e disoccupazione, la mente collettiva è sempre in cerca di un nemico limpido e lampante. Come gli alieni che invadevano le pagine dei pulp occidentali anni ’60, a guisa d’ipotetiche armate provenienti dall’Unione Sovietica, gli zombies rappresentano qualcosa. Forse il tuo prossimo sconclusionato, privo di raziocinio per la causa di una scriteriata civilizzazione. L’inesorabile cadavere guidato da una forza arcana, golem sanguinoso della tradizione haitiana, è ormai svanito da parecchio tempo. Nelle creazioni orrorifiche di questi giorni, partendo da Resident Evil (videogioco – 1996) fino a The Walking Dead (serie tv – 2010), i morti affamati hanno una fonte più credibile e possibilmente, probabilmente ancora più perversa. Virus mutageni, nanomacchine scientifiche, tremendi esperimenti di genialità deviate. Spesso, c’è di mezzo il terrorismo, un avversario tanto più tangibile nelle creazioni di fondamentale fantasia.
E il bello del cortometraggio di John Cody Kim è proprio il modo in cui decostruisce, sfata certi miti appena nati, tali evangelismi d’incipiente disumanità. Perché se lo zombie è sempre un prodotto della sfiducia collettiva, chi poteva ostracizzarlo, meglio di quel Fido paragone…
L’avventura dovrebbe svolgersi, a quanto dicono, nella città canadese di Vancouver. Questione in parte confermata anche dal nome del protagonista canino, un chiaro omaggio al più celebre dei tornei di hockey nordamericani, la Stanley Cup. Tra l’altro la divisa sportiva indossata dal suo padroncino, guarda caso, potrebbe vagamente corrispondere a quella da trasferta della squadra cittadina, i Canucks.
C’è una netta dissonanza, e poca credibilità, nel comportamento della madre, così disposta ad abbandonare il cane in casa mentre già scorrono i primi annunci dell’apocalisse zombie. Questo presunto terribile evento, in cui qualche centinaio di cadaveri, forti ma non furbi, disarmati persino, dovrebbero riuscire a mordere fisicamente la stragrande maggioranza degli umani a questo mondo. E in fondo anche quel punto, diciamolo, dovrebbe lasciarci assai perplessi. Ma è proprio questo il bello! Stavolta, non sarà l’arena per dei Rambo improvvisati, uomini della strada armati fino ai denti, che in qualche modo riescono comunque a farsi contagiare, intreccio permettendo. Qui si muove un goffo Welsh Corgi, l’emblematico campione a quattro zampe proveniente dalla splendida britannia. Che comunque trionferà.
Stanley che corre sulle sue zampette, caracolla sopra il maelstrom turbinante dei cadaveri, la scarpetta persa bene stretta fra i suoi denti acuminati. E il modo in cui, con verve citazionistica, l’autore gli fa attivare accidentalmente l’allarme di un’auto ferma nel parcheggio (cosa vista in Left 4 Dead, videogioco – 2008, ed anche in…) Tutto culmina in quel finale non tragico, eppure certamente triste, del bambino e il cane pronti a ripartire verso nuovi drammatici lidi. Qualcuno avrà notato l’unica adulta della storia, ormai morsa e rianimata, persa per il mondo dei viventi. L’innocenza è forza, la viltà, condanna.
C’è un che di catartico, nelle impronte affiancate dei due compagni d’avventure, perse in dissolvenza verso l’orizzonte. Scarpetta lampeggiante inclusa, ciotole ben salde sulla testa. Sarà questo l’inizio di una stereotipica epopea? Fortunatamente, ciò è lasciato al nostro breve immaginare. Il racconto si chiude sul suo culmine gagliardo come, probabilmente, dovrebbe capitare assai più spesso.