La profezia della nona goccia

Pitch drop
Via

La prima è caduta per il tramite della scienza, dentro a un cassetto dimenticato fra le due guerre. Del resto, erano passati quasi dieci anni da quando Walt Disney disegnò Topolino, mentre Parnell, con volto serissimo, deponeva la sua massa nerastra. La seconda fu dedicata proprio a lui, lo sperimentatore di quel bicchiere, che perì, ahimé, di lì a poco. Terza e quarta goccia, non si sa, tutti dormivano. La quinta e la sesta, due segni sul calendario, per la mano sicura del suo successore: ’70, ’79 – Grazie, Dr. Mainstone! Ma nessuno le ha viste, soltanto sognate. La settima è andata perduta per una tazzina di caffé, l’ottava non ha funzionato, colpa dell’hardware bacato. Passano i decenni, e adesso…Manca poco, non c’è più tempo, oh, no! Scrivo tenendo il pollice fermo sul tasto [ALT] Ogni due secondi cambio finestra del browser: [TAB] ancora non è il momento. E poi ci riprovo. [TAB], non è caduta. E adesso? [TAB] Nello spazioso androne della quinta università dell’Australia, proprio di fronte all’aula magna del dipartimento di fisica, un globo minaccia di venir giù. Potrebbe succedere adesso. Magari è già tardi: non oso guardare. È terribile! Approfondiamo.
Universo, sei figlio del Caos: tu nasci dal vortice degli apogei. In una sola esplosione, supernove perturbano il grande silenzio. Giganti si affrontano per i fertili territori ai margini delle galassie, risucchiando l’idrogeno dalla tenebra stessa. Quindi si vestono dell’armatura dei metalli latenti, mentre coi residui plasmano lunghe collane. Sono, questi, i pianeti, con lune ed anelli preziosi, stolidi costruttori dell’entropia. Soltanto a quel punto, ingenuamente soddisfatti, tali colossi rallentano il battito del proprio cuore astrofisico. Colei che arde con la metà dello splendore… [TAB] Beh, prima o poi finirà il carburante. Un giorno. Per chi perde la guerra solare, ebbene non c’è l’oblio, ma un destino peggiore: la totale implosione. Costoro diventano un guscio nero, minuscolo e solitario. Dal fragore del maelstrom di fiamma, fino al buco di un punto, senza memoria né sentimenti, soltanto nero bitume che cola. [TAB] bluurgh [TAB] blup!

Pitch drop 01

Passiamo, per un attimo, alla Nuova Zelanda. Al terzo piano dell’Università dell’Otago, presso Dunedin, c’è un dispositivo segnatempo che procede da se, grazie alla forza delle mutazioni atmosferiche. Nessuno l’ha mai caricato, fin dal 1864, l’epoca in cui Arthur Beverly lo costruì, dandogli giustamente il suo nome. Ciò è rilevante: la storia del progresso scientifico avviene per gradi, ticchetta e dondola imperturbata. Scorre come un fiume dal mormorio di possanza. Scaturisce in un rigagnolo quieto. Discende tra i macigni del tempo, trascina la sabbia dell’ignoranza. E s’incanala per varchi che vanno allargati, con la forza di mani e cervelli. Allo scopo di farla discendere, occorre il pensiero dei grandi sperimentatori, però scandito dagli orologi.
Prima che si riuscisse a misurare correttamente lo scorrere dei minuti, non c’erano i presupposti per un vero metodo scientifico. Lo schiudersi delle uova di rettile, l’approssimarsi di una massa nuvolosa, le migrazioni degli uccelli tropicali; tutte queste cose, più mille altre, venivano cadenzate coi metodi sensoriali dell’empirismo, come il numero di battiti del proprio cuore, la marcia insicura delle ombre sui muri. Fra cento meridiane inesatte, nessuno poteva conoscere la sacra realtà. Anche per questo, persino adesso, si ricercherebbe il moto perpetuo.
La creazione ipotetica di un orologio che non dovesse mai scaricarsi, preciso fino la decimo del secondo, permetterebbe di misurare gli eventi cosmici anche a distanza di generazioni. La nostra conoscenza degli Eoni diventerebbe immortale. [TAB]

Pitch drop
Via

L’orologio di Beverly è un esempio di quella tecnologia che oggi, per antonomasia, viene detta Atmos, grazie all’influenza del marchio svizzero firmato Jaeger-LeCoultre. Funziona così: una capsula ermetica, al suo interno, contiene un gas che si dilata spontaneamente grazie agli eventi atmosferici quotidiani, ricaricando il moto del pendolo e delle lancette. Non si tratta, comunque, di un vero moto perpetuo. Simili dispositivi, periodicamente, vengono sottoposti a manutenzione che ne ferma il funzionamento. Inoltre, nei periodi in cui le fluttuazioni termiche non sono sufficienti, smettono di funzionare. Altre personalità si sono impegnate in quel campo. Il progetto dell’orologio dei 10.000 anni, anche detto Long Now, è stato concepito nel 1986 grazie all’operato di Danny Hillis, scienziato statunitense. La finalità si può riassumere nella sua celebre citazione:

« Voglio costruire un orologio che fa tic una volta l’anno. Il braccio dei secoli avanza una volta ogni cento anni, il cucù viene fuori ogni mille anni. Voglio che il cucù venga fuori ogni millennio per 10.000 anni. Se mi sbrigo dovrei farcela a finire l’orologio in tempo per far uscire il cucù la prima volta. » Via

È interessante notare come, secondo le metriche della sua teoria generativa, l’orologio eterno dovrebbe essere scalabile, facile da mantenere, comprendere e riparare. Immaginatevi un futuro post-apocalittico in cui nessuno sapesse più far funzionare l’Atmos di Beverly. Millenni sprecati, niente più scienza! La visione di quest’uomo ha convinto abbastanza persone per poter costituire una fondazione, che attualmente possiede la cima di un monte in Nevada, 1000 piedi sopra Snake Range. Qui, fra le pareti calcaree, avrà origine il mito futuro dell’eterno orologio. Salvo imprevisti, come il sopraggiungere delle clessidre.
La goccia, ah, la goccia nera! Quella non si ferma MAI. L’Australia chiama. Torniamo in un [TAB]

Pitch drop

L’esperimento fisico più lungo della storia umana, basato su di una sostanza che si usa normalmente per impermeabilizzare le barche, prese l’origine giusto insieme all’Università di Queensland, guarda un po’! Almeno per il modo in cui si presenta ad oggi, ovvero all’interno di in un campus di 274 acri, presso la piana di Santa Lucia, poco fuori Brisbane.
La sua storia e le fluttuazioni sono indissolubili da quelle di questi edifici in cui dimora, che furono acquistati nel 1927, grazie alla generosa donazione di un ex alunno e di sua sorella. Prese l’origine con la fondazione del dipartimento di fisica, e l’assunzione del primo preside, il già citato Thomas Parnell. Sua fu l’idea, rientrante in quella branca della fisica che si chiama reologia, di misurare la viscosità del bitume. Questo fluido non newtoniano che si rompe, se lo prendi a martellate, eppure può comportarsi quasi come un liquido, scorrendo al rallentatore, per decadi e secoli a venire. Caricata la mezza clessidra, Parnell attese per ben tre anni che il bitume si depositasse sul fondo del bicchiere superiore. Quindi tagliò la punta dello stesso, ed iniziò una lunga attesa dell’agognata prima goccia. Che finì per perdersi. E poi della seconda. Neanche quella, l’avrebbe mai vista cadere, ma per pura mancanza di tempo su questa Terra.
Le vicende sfortunate della goccia di bitume, accennate in apertura di articolo, risentirono di un’iniziale mancanza di interesse, poi dei casi avversi del fato. Dopo il decesso di Parnell nel 1948, all’età di 67 anni, gli succedette come custode dell’esperimento John Mainstone, che riuscì a far esporre l’oggetto di fronte al teatro 222, l’aula più grande del dipartimento. Un vero posto d’onore, [TAB]

Pitch drop 3
Via

Proprio lui raccontava dopo l’ottava goccia, nel 2001, di come l’aggiunta dell’aria condizionata avesse cambiato le regole del gioco, rendendo le gocce più grandi e frequenti. Così ne perse un paio. E di come la webcam Logitech piazzata appositamente per registrare l’evento, dopo tante passate dimenticanze, si fosse rotta proprio nel momento cruciale. [TAB] Ciò, comunque, non dovrebbe avvenire di nuovo: grazie all’apposito portale universitario, realizzato per l’attesa venuta della nona goccia, migliaia di persone seguono la situazione dai più reconditi angoli del globo. Qualsiasi guasto, si spera, sarà immediatamente segnalato. Anche Mainstone, deceduto a 78 anni l’estate scorsa, se ne è andato senza mai vedere la goccia, ma non prima di aver ricevuto il premio Ig Nobel. Quel riconoscimento scherzoso, l’anziano insegnante lo vide sempre con positività ed ottimismo.

Dublin Tar
Dal 1984, anche il Trinity College di Dublino ha la sua goccia di bitume, che è anche stata vista cadere una volta. Stranamente, ne risulta una viscosità fluidifica di solo 20 miliardi quella dell’acqua, davvero molto meno delle proiezioni australiane. Colpa dell’aria condizionata?

Ripensandoci per un attimo, mi riesce facile immaginarlo in quel giorno dell’estate del 1988, quando già la Settima si stava staccando dall’alambicco, come annunciato dallo sfrangiarsi del fluido in più filamenti. Lui, che dispiaciuto dai passati fallimenti, aveva deciso di fare una veglia interminabile, in cerca del viscoso ed atteso trionfo, era comunque umano. E così per un attimo, solo cinque minuti, dovette recarsi al vicino distributore di bevande, allo scopo di tenersi ben sveglio. Cosa poteva succedere, del resto? Ma la goccia cadde mentre era via. E questa è la storia ufficiale: nessuno l’aveva vista, di nuovo, ancora una volta! Altri 10 anni di attesa, praticamente una tragedia. Io preferisco pensare che l’avesse scorta da lontano, sorseggiando il caffé, come in un sogno ad occhi aperti. Memorizzando l’immagine oltre la prima coscienza, solo sua per l’eternità. Chi l’avrebbe mai saputo, del resto? Stupidaggini, ovviamente. Ma troverei magnifica una simile simmetria. La giustizia cosmica del bitume, ah! Finalmente.
Si stima che tale fluido sia 220 miliardi di volte più viscoso dell’acqua. Però non lo sapremo veramente, finché domani, dopodomani al massimo…[TAB][TAB][TAB]

Atmos
Via

Lascia un commento