YouTube haiku: LCD 60 Hz. Luce di lanterna che sfolgora sul copricapo di un poeta della mezzanotte, tra i rossi petali caduti nella valle. Per ciascuno c’è un pensiero digitale. Passano le ore, fredde e silenziose, crescono i capelli, in modo veramente strano. Volge gli occhi dagli arbusti di ciliegio, ormai sfioriti, verso il bianco di uno schermo acceso. Senza fine è la prolunga SchuKo, di un consunto laptop, alimentato dalla presa della casa di famiglia. Un effimero castello tra le nebbie, quasi dimenticato. La lacca del suo elmo è nera, con draghi attenti e vasti fiori di peonia, mentre il cane-fu, criniera al vento, fa la guardia alla visiera di metallo. Suggestioni d’oro e nodi articolati, di una nappa che ricade dietro al collo, corda e lunghe piegature, da cui sorge il manico di un singolo pennello. Solo come il fuoco dell’ispirazione. Spada fluidifica dell’alba, incisa con i meriti degli antenati. È giunta l’ora, cala il peso dell’inchiostro, sopra la tastiera: Nel micromondo / soltanto sei secondi / per dare frutti. [UPLOAD=YES/NO] Ah! Dove diamine ho lasciato il mouse?
Folle, sconclusionato, illogico: così potrebbe descriversi il settore dei Vine (pl. per antonomasia: Vines) i brevissimi video creati attraverso una famosa applicazione per smartphone, introdotta verso il gennaio dello scorso anno. In altri termini, la perfetta via di mezzo tra YouTube, perché nasce dalle immagini riprese, e il mondo testuale dell’asciutto Twitter, quartier generale della somma stringatezza testuale. Però, mentre quest’ultimo servizio, fin dalla sua genesi, è stato impiegato nei campi seri dell’informazione, per far politica e commentare i fatti quotidiani, la creatura di Dom Hofmann, Rus Yusupov e Colin Kroll ha in qualche modo attratto certe menti eclettiche del tutto fuori dagli schemi. Vedi, ad esempio, il thailandese Bie the Ska, dalla risata cacofonica e davvero contagiosa. Lui duplica le banconote grazie allo strumento della grafica. Lancia le bibite contro il soffitto, cambia il colore dei pesci, tirandogli palline. E carica di contenuti un cellulare troppo pieno, finché…
Il calo dell’attenzione è una delle colonne che sostengono il funzionamento della Grande Rete. Algoritmi meccanizzati percorrono gli astrusi blog, in cerca di parole chiave, oppure i siti di notizie, delle aziende, i vasti forum e alcuni dei maggiori social network. Spider, li chiamano questi programmi, che hanno tutto, tranne la pazienza. Corrono senza respiro; sono gli occhi dei motori di ricerca; se una pagina impiega più di due secondi a comparire, allora non esiste, presso Google né secondo i suoi rivali (seppur contassero qualcosa, al giorno d’oggi). Così la parola scivola immediatamente nell’oblio, chiusa tra le ante di un improvvido cancello. Solamente perché fuori ritmo, guarda un po’.
E se pure ti riesce di varcare quel portale, c’è né un’altro ancora più severo: quello per la testa degli umani; ancora più rapida; piena di calcoli non sequenziali; di noi che siamo fatti a immagine di…? E che a nostra volta trasmettiamo una coscienza ragionata; nelle macchine, la quale si riassume nell’esortazione: sbigarsi. Sempre più.
Chiunque abbia usato con assiduità YouTube conosce quell’improvvida pulsione, del cambiare spesso e ad ogni costo. Più si susseguono i momenti, di video buffi, cose nuove, gatti e cani e uccelli ed altre cose, maggiormente viene voglia di cliccare. Finché non ti basta più un singolo video al minuto, né due, né tre: pretendi di vederli tutti, contemporaneamente.
C’è un’intera scuola registica dei cortometraggi della nuova onda, che si è formata proprio in questi anni, con il preciso scopo di costringerci a vedere l’intero svolgersi di un’opera creativa, proprio perché quest’ultima è brevissima, ovvero si realizza in pochi istanti. In questa tipologia di scenette, per forza di cose, non sono più i personaggi, né la trama a farla da padroni, bensì gli effetti visuali. Adobe After Effects, per esser più specifici. Ciò che un tempo richiedeva metri cubici di silicio e processori, oggi si realizza facilmente nelle case, di chi è capace, ha voglia e il tempo di applicarsi. Lavorare in quel campo, ad ogni modo, presenta un certo numero di problematiche. La prima è come fare a comparire, metterci la faccia, quando sono le esplosioni che riempiono lo schermo degli spettatori.
Enter(s) Vine(s): se YouTube è come un blog (non a caso esiste il termine vlog) occorreva a quei registi un altro tipo di canale, che fosse come Facebook, personale. Più diretto ed informale. I micro-video di Vine sono facili da riconoscere: durano soltanto sei secondi, al massimo, ed hanno un formato verticale, proprio perché dovrebbero essere, convenzionalmente, registrati con il cellulare. Cosa che non è. Però si capisce subito qual’è la loro collocazione, come avviene per quei componimenti poetici che gli forniscono l’antonomasia. Sono infatti detti: gli haiku di YouTube.
5-7-5 sillabe. Il genere in versi più celebre del Giappone non è l’unico a basarsi sulla concisione. Basti citare Ungaretti: “Si sta come d’autunno…
Ma Internet si fonda sulla cultura memetica dei nostri giorni. Esprimersi fuori contesto, molto spesso, significa adeguarsi a degli schemi. E una convenzione, tipicamente statunitense, vuole che qualsiasi cosa breve, chiara ed incisiva, possa direttamente ricondursi a quel particolare ambito letterario, che fu di Matsuo Basho e Masaoka Shiki. Questo insegnano, apparentemente, nei licei di mezzo mondo: Giappone vuole dire brevità.
E così anche la Thailandia, qualche volta. La tendenza di cui parlavo prima, di usare Vine come alternativa mediatica a produzioni più ragionate, può essere invertita molto facilmente. Haiku che diventano poemi: per Bie The Ska, cineasta folle e sregolato, avere un tempo più lungo a disposizione conduce….Solamente ad un maggiore grado di delirio, spezzettato in due dozzine di segmenti o giu di lí. A quanto pare, il cerchio si è compiuto: siamo alla seconda generazione ricorsiva di un così bizzarro canone creativo. Chissà, forse un giorno avremo video tanto brevi che saranno delle foto cubiche a tre dimensioni. Con 7 pixel di lunghezza, 5 di altezza ed altrettanti di profondità.