Guardate Sebastien Toutant, nato nel 1992, come gira per le periferie della francofona Montréal: piuttosto che percorrerle in discesa, le descrive con il taglio della tavola volante. Ringhiere ringhianti, scalinate, gli spalti di un piccolo campo sportivo, alcuni monumenti con la forma di un declivio di metallo. E sono tanto pratici a grindarli, questi semi-sommersi travi zigzaganti, che quasi sembrerebbero fatti apposta per il suo utilizzo. Parimenti ciascun componente urbano, case incluse, si trasforma per dar sfoggio di una doppia abilità: la sua, di atleta olimpico al confine d’eccellenza, e quella dell’operatore video, colui che, di pari passo, intesse un altro tipo di magia. Quella digitale del montaggio, per togliere le impalcature, i fili della sovversione gravitazionale.
Ci sono sport che danno il meglio sotto l’occhio attento delle moltitudini. Stadi entusiasti, nazioni in festa, grandi sponsorizzazioni, riflettori e troupe televisive dai furgoni con parabole incrociate. Lo snowboarding può fare pure questo, certamente. Chi non ricorda l’iconico Shaun White, “pomodoro volante” dagli Stati Uniti, mentre vinceva l’oro di Torino nel 2006… Il suo trionfo nell’half-pipe, pericolosamente prossimo al punteggio perfetto di 50 cinquantesimi, sembrò ricordare al mondo di una grande verità, all’epoca da molti tralasciata. Che i giovani presunti scriteriati, con una sola tavola attaccata ai piedi, si erano affermati tra la massa degli sport dell’ultima stagione. Come per il surf al mare, come per lo skate delle piscine abbandonate, non può esserci davvero subordinazione culturale, per tali discipline tanto praticate dalla maggioranza. Non posso confermarvi che sia stato quello il cambio generazionale. C’era stato o ci sarà, poco prima o giù di lì: basta fare il conto dei maestri disponibili, ad oggi, sulle tipiche montagne frequentate dal turismo.
Però intanto resta l’ineffabile fascinazione. Quel quibus trasgressivo che caratterizza solo certi sport, nati sul confine dell’inappropriato. Scivolare liberi e spericolati, senza bastoncini, con agganci inamovibili, persino senza casco, se c’è un grammo di follia (vivamente sconsigliato) va di pari passo con l’estetica sfrenata del jibbing, fare acrobazie.
Vuole dire fuoriuscire dagli schemi, sotto l’occhio di una sola telecamera, senza pubblico, in segreto. Possibilmente con l’aiuto tecnologico di un valido strumento, che però non sia visibile alla fine, per accrescere l’effetto e lo stupore del momento. Ringraziamo lo stregone del montaggio. Il giovane SebToots, questo il suo pseudonimo, ha realizzato il video in parallelo con la sua preparazione per Sochi ’14. Recatosi in Russia, come terzo classificato delle qualifiche canadesi, si è purtroppo dovuto accontentare di un mediocre nono posto.
Di sicuro non gli manca il tempo di andar oltre di qui a poco, sul principio della sua carriera sfolgorante e soprattutto, potrà sempre di dire di aver dato il meglio…Altrove. Volando sulle bianche case, si, ma come?!
Il cuore di una gara è spesso nel motore. Dentro alle auto di una corsa, sull’aereo tra le nubi, dentro al corpo del podista. Ma non sempre tale organo risiede al centro dell’azione. Può essere piazzato a qualche metro di distanza, ad esempio dentro al fuoribordo di un potente motoscafo, che il wakeboarder segue fedelmente, per il tramite di un lungo cavo, saltando sopra le sue rampe dalle molte acrobazie. Non a caso fu in quel campo acquatico, da principio, che a qualcuno venne in mente che bastava avere l’uso del citato cuore, senza l’ingombrante scafo del natante tutto intorno. Chi ha detto che un motore deve camminare?
Gli argani avvolgenti ad alta velocità, pensati in modo specifico per il settore degli sport estremi, sono un’invenzione piuttosto recente. Secondo un articolo di OnBoard Magazine, il primo ad associarli con la neve è stato Peter Lundström nella primavera del 2008, con il suo dispositivo artigianale detto: The Machine. Si racconta di come l’infernale arnese, completamente fatto in casa, fosse “l’unione tra paura e eccitazione” e producesse “almeno una o due fiammate prima di avviarsi”. Questo, probabilmente, perché era privo di uno scarico appropriato. Argani, che organi!
Da quel momento la via verso la cima dei palazzi era tracciata. Attaccarsi ad una manopola con corda, per poi mollarla una volta raggiunta la massima velocità, apriva tutto un mondo di possibilità acrobatiche impensate. Personaggi analoghi a SebToots, praticanti del cosiddetto snowboarding urbano, avevano finalmente trovato la maniera di sfruttare ogni anfratto, ringhiera, parete o cosa verticale della loro madrepatria. Confrontare un video di jibbing risalente a una decina di anni fa con quelli realizzati dopo tale innovazione è come ritornare al buio della notte, dopo il sopraggiungere di un’alba al calor bianco.
Naturalmente, l’argano a motore ha un costo e un peso non indifferente. Ma niente paura. Per chi volesse rischiar l’osso del collo a un prezzo più accessibile, esiste il Banshee Bungee, prodotto canadese simile a una corda per saltare giù da un ponte. Il funzionamento è ancora più immediato: si annoda ad un albero, oppure a un palo della luce. Si tende fino al massimo, magari con l’aiuto di un amico. E poi via, verso nuove avventure. A patto di essersi ricordati di mettere lo snowboard ai piedi. Altrimenti, apriti cielo…