Napoleone prima dell’epoca di Excel

Charles Minard

Che l’avanzata del progresso sia stata tracciata dai fermi propositi dei grandi personaggi, piuttosto che dalle gesta dei popoli sospinti dal bisogno, è tra le maggiori questioni a carico della storiografia moderna. Tuttavia, almeno questo è certo: la vicenda umana è fatta con i numeri. Un crogiolo di cifre soggette ad infinite connessioni, l’estrapolazione di un fondamentale database che, proprio in quanto tale, può riassumersi attraverso infinite metodologie di visualizzazione. Siamo tutti dei computer, soprattutto dinnanzi agli occhi stocastici della sociologia. 1869, appena 56 anni dopo l’ingloriosa conclusione della campagna russa di Napoleone: Charles Joseph Minard, ingegnere civile francese della École nationale des ponts et chaussées, disegna la sua infografica migliore. Forse la più celebre di sempre, un disegno annotato in poche linee, con appena due colori, attraverso cui ricompaiono i passaggi progressivi di una terribile tragedia generazionale, la marcia che costò la vita ad oltre 400.000 giovani soldati di un’Europa in guerra. E chissà quanti altri fra civili russi, contadini, artigiani moscoviti e spettatori intrappolati ingiustamente tra le serpeggianti spire degli eventi.
Come per il quadro di Jacques-Louis David, Napoleone al Gran San Bernardo, in cui lo splendido condottiero sovrasta le Alpi dalla sella del suo immancabile destriero bianco, il diagramma di Minard possiede una forza espressiva che colpisce gli occhi al primo sguardo e poi, lentamente, riempie la mente di nozioni, valide ad interpretare l’epoca e il suo formidabile protagonista. È un logotipo precursivo, la prima manifestazione di un metodo dialettico senza termini di paragone coévi. Ci sono vari modi per avvicinarsi ai classici dell’arte, sia questa l’opera di un pittore, poetica e idealizzata, oppure quella tecnica ed ingegneristica, di chi analizza i fatti per il tramite di quote, vettori e punti cartesiani. Eccone uno interessante: nel video di apertura, creato dallo YouTuber Brady Haran, traspare un certo grado di spontaneità, l’entusiasmo di un appassionato numerologo che si applica ad una branca trasversale, questo studio geometrico dell’epocale sconfitta di Napoleone. Perché sua è la consapevolezza di un vantaggio implicito della sua scienza: purché i dati di partenza siano giusti, ciò che ne deriva è pura verità.

Charles Minard 2
Via Marco Meschini

Ed eccolo di nuovo, il grafico di Minard, in un video-commento del prof. Marco Meschini, che lo impiega a sostegno di un’esposizione più esaustiva nonché, soprattutto, in lingua italiana. La scelta di usare la versione aggiornata del grafico, con dati rivisti grazie a recenti ricerche storiografiche, è motivata dal più nobile dei sentimenti: la ricerca della precisione. La versione originale del 1869, in ogni caso, resta sempre affascinante.
Si comincia dalla parte occidentale di un foglio alquanto esteso, largo dalla Lituania alla città di Mosca. La precedente metafora impiegata in questo articolo, di natura spiccatamente serpentina, nasce dall’aspetto generale dell’immagine che, raffigurando sull’asse verticale la direzione della marcia dell’esercito napoleonico, risulta tutt’altro che lineare. Anzi, ricorda piuttosto un leviatano dalle scaglie color rosa-spento, sperduto nella vasta geografia della nazione russa, con la coda enorme e una testa stranamente piccolissima, sulla destra. Sotto di lui, come un’ombra, c’è un ulteriore diramarsi frastagliato, però questa volta nero. Colore scelto, ahimé, niente affatto casualmente. Come avrete ormai capito, la larghezza delle zone colorate rappresenta il numero di uomini nell’esercito francese durante la campagna di Russia, arruolati in quella poderosa Grande Armée, che Napoleone aveva costituito nel 1805 insieme agli alleati, allo scopo di soggiogare un intero continente. Il restringersi dell’area rosa, verso i territori asiatici, va in parallelo con la fine della sua incommensurabile ambizione, ben prima della disfatta a Waterloo, il punto di svolta di una caduta meno improvvisa e imprevedibile di quanto molti vogliano credere, persino oggi. Affrontare la Russia non è ma stata cosa facile, né priva di un prezzo significativo. Attraverso le diverse epoche, in molti hanno appreso come ciò significhi combattere non solo un’armata ed il suo popolo, ma l’estensione senza fine della Terra stessa. Nessuno lo sa meglio dei suoi abitanti. I cosacchi dello zar Alessandro, ritirandosi, bruciarono i villaggi e i campi dei loro stessi connazionali, per impedire che gli invasori potessero trarne una materia di sostentamento.

Charles Minard
Via

Nonostante questo, la forza d’animo dei francesi fu notevole. Partiti alla volta della capitale russa nel 1912, cercando la rapida resa nemica secondo la prassi bellica di allora, quasi mezzo milione di uomini guadarono il fiume Nemunas, al confine con la Lituania. Molte furono le loro vittorie sui campi di battaglia, tra cui spicca la più importante, quella di Borodino, in un 19 agosto macchiato di polvere e di fuoco. Si stima che 79.000 uomini persero la vita in quel tremendo giorno, per una fame di conquista che non sarebbe stata mai saziata.
Con la strada finalmente aperta fino a Mosca, l’armata giunse quindi a destinazione. Il vasto centro urbano, largamente evacuato, li accolse con giustificata malagrazia, senza onori e soprattutto senza troppe valide provviste. A peggiorare le cose, i presunti conquistatori si ritrovarono a gestire un vasto e devastante incendio, forse doloso, oppure, come ipotizzò Tolstoj: “Naturale conseguenza dell’aver lasciato una città, costruita prevalentemente in legno, nelle mani di stranieri”. Nel frattempo lo zar, dalle alte mura della sua fortezza, non accennava ad arrendersi. Stava inoltre per scendere l’inverno, uno dei più freddi a memoria d’uomo.
Siamo quindi giunti alla parte nera del grafico, la rappresentazione di una delle più lunghe ritirate della storia. L’arzigogolata marcia dei sopravvissuti, aggravata da diserzioni, malattie, guadi rovinosi e numerose imboscate, aumenta di drammaticità con il ridursi dell’ampiezza della linea. Lo spazio inferiore, occupato dalle misurazioni rilevanti di temperatura, parla di un gelo capace di corrodere le ossa: -11, poi -20, infine -24 gradi Celsius. Alla fine, soltanto una media di 2,5 soldati francesi su 100 tornarono in patria. Napoleone in fuga con la sua carrozza, a quel punto, aveva già attraversato le porte di Parigi da parecchio tempo, allo scopo di risolvere questioni politiche ancora più pressanti.
La naturale conclusione che si può trarre dall’infografica di Charles Joseph Minard, definita da Edward Rolf Tufte, statistico di Yale “La migliore mai realizzata” è questa, certamente: sarebbe molto meglio non invadere la Russia. Se la storia fosse fatta solo con i numeri, nessuno avrebbe mai ripetuto un tale errore. Ma ci sono pure i popoli a marciare, tanto meno prevedibili di una statistica virtualizzata. E c’è il sogno di un destriero bianco sulla cima delle Alpi, la stoffa vermiglia sulle spalle, una feluca splendida sul capo. Molti vorrebbero essere come Napoleone. Troppi?

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