L’Uomo vitruviano di Taipei

Asian Vitruvian Man

Se apri un polveroso portafoglio dell’odierna Europa modulare, puoi trovarci almeno una persona. Tutta nuda, leonardesca e vitruviana. Raffigurata lì da sola, in opposizione alla cartina geografica, sopra l’unica, mirabile moneta: ovvero il sacco, l’obolo, il pecùnio, singolo e indiviso. Un tondo bimetallico che vale 1 Euro, solamente, eppure sottintende molto, veramente. Rame dentro, ottone fuori, giallo nichel tutto intorno. E proprio in mezzo, quel (presunto) testimonial d’eccezione, in genere selezionato in base ai gusti regionali. Se sei in Austria, ad esempio, incontrerai così lo sguardo di un composto Mozart, preso da vicino, dal sogghigno strano e carico di sottintesi. Mentre in Italia, come dicevamo, fallo e terrai in pugno un uomo tondo, con la corposa chioma di Beethoven, quattro braccia, quattro gambe, aperte-aperte, chiuse-aperte. Progettato sulla somma di quattro arti, sedici possibili posture.  La ragione di cotanto sovrannumero? Poteva essere soltanto una: l’illusione ottica del motion blur. Vorticosamente roteava, costui.
La mente dei viaggiatori opera per vie traverse. E le associazioni logiche, specie in campo internazionale, facilmente riuniscono i paesi e i continenti. Forse anche per questo, CuriousWorldWanderer, lo YouTuber proprietario del presente video, ha scelto di associarlo ad una delle icone più famose della storia dell’arte: l’uomo che era stato estratto da un antico testo sull’architettura, quindi messo sulla carta dal pittore nato a Vinci, infine battuto sul metallo, un cerchio dopo l’altro, dal metallo grezzo e verso la Valuta. Sempre rilevante è il dio-denaro.

Vitruvian Tao
Via: 1, 2

Benvenuti all’altro capo del pianeta: siamo sull’isola di Taiwan, città cinese di Taipei. Luogo in cui, come si usa presso il grande Oriente, l’antico incontra il moderno e si mescola con esso senza alcune soluzione di continuità. Circo, arti marziali: e un artista, questo Isaac Wu (胡啟志), che praticamente sfugge ai limiti della normale gravità. Un merito che viene dalla comprensione delle forze in gioco. Lo studio arcano delle Cose.
È interessante, davvero straordinario, quanti siano i modi per capire la natura. Ciò è fonte di un approccio comparativo, potenzialmente valido, tra due splendide culture, parallele eppur distanti, lontanissime. Entrambe rilevanti ancora oggi, almeno a giudicare da simili stupende esibizioni! L’Uomo vitruviano è l’opera di un Leonardo 38enne, giunto all’epoca della sua maturità artistica e filosofica. Molto aveva fatto, concepito e progettato prima di esser giunto fino a quello studio ormai immortale. Fa parte di Codice datato al 1490, oggi custodito presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe dell’Accademia di Venezia. Il nome, come il soggetto, viene dal trattato latino De architectura (14 a.C. ca.) e in particolare nel brano in cui l’autore, Marco Vitruvio Pollione, descriveva la relazione tripartita percepibile tra il corpo umano, l’universale geometria e il campo specifico del suo lavoro, ovvero progettare gli edifici per la somma Urbe, Caput Mundi. La sua visione delle forme era alquanto idealizzata: secondo quanto lui affermava, e poi Leonardo disegnò, da qualche parte c’era un’uomo con le braccia larghe esattamente quanto la sua altezza, le gambe in grado di descrivere un triangolo equilatero perfetto. In lui si realizzavano, implicitamente, le forme platoniche del cerchio e del quadrato, perfettamente calibrate per iscrivere la sua figura. Difficile da disegnare. Altri ci avevano provato, ma soltanto Leonardo spostò in basso il centro del quadrato, raddoppio gli arti e giunse a compimento. Dimostrando la perfetta umana geometria, questo canone dorato, che esemplificava il punto stesso di un’intera epoca, sia presente che futura. In un disegno destinato a diventare il logo stesso del Rinascimento.

Shaolin Pagoda
Via

Però l’esibizione di Isaac Wu, personalmente, mi ha ricordato un qualcosa di notevolmente più vicino a lui. Il monastero del monte Song, dove sorge l’iconica pagoda di Shaolin. Sto parlando dell’organizzazione religiosa millenaria, allineata verso il Buddhismo della scuola Ch’an (più nota con il nome giapponese di Zen) dove viaggiò il santo Bodhidarma, giunsero in visita gli imperatori e si studiarono tutte le arti, fra cui, soprattutto, quelle marziali. Il mito dei monaci di quel luogo è senza tempo: le loro acrobazie e prodezze, narrate attraverso la cinematografia e nella letteratura di moltissimi paesi, costituiscono il coronamento di diverse antiche discipline. Una di esse, forse la più importante, è quella del Qì Gōng. Soltanto la dura pratica, permette di acquisirla.
Vuole, tale prassi soprattutto tecnica, che l’Uomo sia percorso da un’imprescindibile energia spirituale, la quale non è l’anima incorporea, ma neanche la semplice elettricità dei suoi neuroni e nervi. Come una sorta di aria interna, questa sostiene gli organi e le ossa, traendo forza dalla sua coscienza e possenza di carattere. E poi soprattutto, dice tale prassi: se si possiede veramente il qì, mettendolo in pratica ogni giorno, lo si può incanalare a molti scopi. Come avviene per il praticante di un certo tipo di meditazione Zen, che concentrandosi sulle cose semplici, per un tempo sufficientemente lungo, può raggiungere un fulmineo senso di realizzazione. In tal contesto un sasso è come l’universo, un bicchiere d’acqua è come l’universo. E lo stesso avviene per il piede, il pugno, il dito e l’occhio scrutatore del guerriero del Qì Gōng. L’uomo perfetto, secondo tale disciplina, non ha una forma singola, ma cinque: può essere svelto come la tigre, scaltro come il drago, agile come la scimmia, scattante come il cervo, forte come l’orso. Sua è la forma fluida che si adatta, non quella divina della perfezione leonardesca. In tal caso il quadrato non esiste. Se non quello della piazza, di un performer tanto fuori dal comune.
E alla fine chi lo sa, come si realizza il cerchio roteante di Isaac Wu? Può essere l’applicazione di un concetto proveniente dall’Europa, piuttosto che un modo nuovo per dar sfogo al suo potere fisico, retaggio di un’antica Cina? La tonsura monacale, in ogni caso, c’era. Di necessità virtù.

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