Risplende il sole variopinto della notte. Dei profumi, delle perle, dei tessuti, dell’oppio e dell’incenso. Di mercanti e viaggiatori, mandarini o esploratori. L’astro sorge dalle acque, sopra un’isola incontaminata, naturale terra di conquista fin dall’epoca dei Tang. Ben la conoscevano i cinesi delle antiche dinastie. Quando vennero i signori dei manciù, gli aspiranti patrioti vi forgiavano i cannoni, ben lontano dallo sguardo di Beijing. Priva di vessilli pechinesi, era una colonia di frontiera. Per secoli, soltanto quello; poi, d’un tratto, venne fatta Grande. L’obiettivo strategico della diplomazia d’Europa. Possente centro commerciale, un drago dell’Oriente finanziario. E un giorno Albione disse: ci ho messo i soldi, la voglio, posso, e quindi è mia. I venti soffiano, variano i colori e le bandiere. Vengono i veicoli di un lucido rosso-bordeaux, doppio piano e grande convenienza. Bus che migrano secondo le stagioni. A parte quello, tutto resta -quasi- uguale…Il commercio non si ferma, come dovrebbero i migliori show. Fluviale, scorre. Serve, dunque, andare avanti in questo mare? Hong Kong è la città di molte cose. Anche, soprattutto, delle mille luci al neon.
In questo breve documentario creato per YouTube dall’organizzazione West Kowloon Cultural District (wkcda) si scopre un lato moderno, stranamente poco conosciuto, di uno fra i centri abitati più famosi al mondo. Che era sotto gli occhi di noi tutti, come dimostrano i comuni video dei turisti. In effetti, sopra quelle vaste strade non c’è mai un silenzio visuale. Ma un grido metaforico, continuo, di nomi e marchi pubblicitari, quanti, troppi! Ad altezza degli occhi, sopra le finestre, agli angoli dei vicoli dimenticanti. Ovunque brillano i caratteri dell’alfabeto sinico, un tripudio di segmenti, tratti e radicali (la parte di concetto, ovvero l’indice del dizionario). E insieme a loro, fluttuano dozzine di animali, il drago della scuola di arti marziali, il pesce del bistrò, la mucca, il gallo, la gallina e così via. Quando abiti insieme ad 7,2 milioni di persone, in 426 miglia quadrate, non hai necessità di mettere inserzioni. Per ogni giorno del calendario, migliaia di persone passeranno innanzi al tuo negozio. Devi solo trovare il modo di spiccare fra la massa. Come, come?
L’ingegno a un certo punto si trasforma nell’industria, grazie all’esperienza di generazioni. Costruire insegne come queste è un mestiere alquanto difficile, che richiede competenze in molti campi differenti. Quello elettrico, ovviamente. E poi occorre saper maneggiare i gas, le polveri multicolori. Tracciare caratteri cinesi, inoltre, sottintende competenze calligrafiche. Ci sono molti stili differenti, adatti solo a un certo tipo di negozi. Soprattutto, alla fine, ci vuole un bel polmone. Questa è un’arte vera da vetrai.
Già a partire dal 1857, grazie a un’invenzione brevettata dal musicista tedesco Heinrich Geissler, venivano venduti dei costosi tubi, pieni di argon, mercurio ed altre sostanze conduttive, che assumevano le forme più bizzarre. Sfere, arzigogolate serpentine, asimmetriche clessidre. Servivano a giocare, o per dei rudimentali esperimenti tecnici. La corrente, immessa grazie a degli elettrodi, li percorreva, agitando il contenuto e producendo un po’ di luce. Tali oggetti erano davvero popolari, benché fossero anche deboli e sparissero nel buio della notte. La prima dimostrazione con un gas davvero efficace, in un simile contesto, risale ad un miracolo del 1910. Si svolse durante il Salone dell’automobile di Parigi, grazie ad un procedimento innovativo. Fu messo in atto da Georges Claude, un inventore in senso classico, scevro da limitazioni di contesto e soprattutto, nobile. Non si era mai visto un metodo tanto fenomenale. Le prime insegne, presto messe in vendita dalla sua azienda, fermavano letteralmente il traffico.
Costui, come un moderno Prometeo, accese un fuoco del futuro che arde ancora, vivido e vivace tra i più lontani continenti. Neon, in Greco, significa proprio quello, νέον: [qualcosa] di nuovo.
Tali insegne, nella storia recente, hanno simboleggiato un vasto ventaglio di concetti. Giunte fra le strade di Manhattan, a New York, divennero l’allegoria di un nuovo tipo di commercio. Tra gli anni ’20 e ’30, sempre accese grazie al basso consumo ed al voltaggio, ardevano con l’entusiasmo di una nuova era, presagio di successo e di ricchezze. Dopo la seconda guerra, ormai troppo numerose, furono bandite dalle zone più pregiate, perché considerate grezze, pacchiane. Il secolo passato, sul suo difficoltoso termine, desiderava soprattutto sobrietà. Ma nella Cina continentale, e soprattutto qui, ad Hong Kong, tale stigmatizzazione è arrivata solo in tempi assai recenti. L’ornamento delle insegne luminose, per qualsiasi locale commerciale, è stato sempre un quasi-must, cui rinunciare, solo se costretti, con un sincero dispiacere. Fino alle soglie del 2000, all’ombra dei corposi grattacieli, così prosperava questa tecnica artigiana, del piegare e poi soffiare attentamente, prevenendo il collassare dell’insieme. Poi fece proprio quella fine.
I protagonisti del documentario, attraverso tre interviste differenti per altrettante generazioni, ci raccontano la storia della loro vita e professione. Di come questo sia un mestiere ormai sottopagato, benché un tempo quasi leggendario, fatto di mistica magia. E del modo in cui, galeotta fu l’astrusa tecnologia moderna, il neon stia venendo sorpassato dal più-nuovo-ancora! Ovvero il diodo a emissione luminosa: il freddo e impersonale LED…Non è che l’ennesimo avanzare del digitale sopra l’analogico, a discapito della Murano delle perle. Delle pere dei frutteti e dei mercati. Fuori i tubi trasparenti, entrino codesti pixel accecanti. The shine — go on.