In questo breve segmento, tratto da un video coreano ormai rimosso da YouTube, possiamo assistere all’incedere maestoso, piuttosto barcollante, di un signore degli uccelli, pelecanus onocrotalus. Il grande capo bianco non accetta scuse, raramente paga il resto e poi guarda sempre, unicamente dritto innanzi a se. Quindi quando arriva, fatevi da parte. Per la stradina grezzamente asfaltata di quello che potrebbe essere un parco pubblico, se non l’orto botanico di una qualche grande città d’Asia, l’imponente volatile incontra casualmente tre famiglie con il pargoli a seguire. Stretta è la via e poi, soprattutto – qui mancano le foglie. A complicare la faccenda ci si mettono la carrozzina ed un triciclo, troppo larghi per far spazio all’animale, mentre un pallone a forma di delfino gravita sopra la scena, facendo le veci di un elicottero civile, arrivato a sorvegliare l’ultimo incidente d’autostrada. Spiccare il volo sarebbe troppo semplice, scontato. Chi deciderà, per primo, di frenare o fare marcia indietro?
Curioso è il modo in cui i più grossi uccelli bianchi, tendenzialmente, finiscano per essere associati alla maternità. Mamma oca che conduce i suoi piccoli, un treno di pulcini gialli e neri, rappresenta un simbolo che si ritrova nei paesi più diversi. Attenta contabile, perché non ha mai perso uno, protettrice dei terreni agricoli e famosa cantastorie, col suo verso presagisce a un sentimento veramente universale, quello attribuito alla costante Madre Terra, colei che i romani definivano Giunone. Sopra il colle capitolino, racchiuse tutte assieme, le oche di Roma sventarono l’attacco notturno dei galli che “de Alpibus in Italiam descenderunt” sotto la guida del temuto Brenno (390 a.C.). Amore, furia, forza di carattere! 300 opliti starnazzanti, simbolo dell’Urbe imperitura. Nel frattempo ed a partire da quel giorno, la cicogna viaggiatrice, proveniente dall’Egitto, fece il suo. Portando…Fagotti con dei cuccioli d’umano, ripescati diversi fra cavoli e merende, o altre cose, non è mai stato particolarmente chiaro. Ove parte la scienza, finisce la poesia: secondo alcuni, lei andava solo sui camini sempre accesi, per suo piacere personale, ritrovandosi, guarda caso, proprio sulle case con infanti appena nati. Guarda invece questo grande pellicano. Anche lui potrebbe prendesi nel becco uno, due bambini! Con quasi cinquanta centimetri di spazio, dalla punta fino al punto arcuato della gola, dove inizia la sua sacca, li terrebbe belli al caldo, cantandogli una ninna-nanna rimbombante. Molto meglio del canguro.
I grandi pellicani bianchi vivono in colonie con fino ad un migliaio di esemplari. In alcuni periodi dell’anno, presso certi luoghi, come il bacino del lago di Eyre, in Australia, ne convivono amabilmente svariate decine di migliaia, raccolti in gruppi familiari molto uniti. Ce ne sono in tutti e cinque i continenti.
Il rituale di accoppiamento può durare fino a 10 giorni, successivamente ai quali la femmina depone le sue uova, bianche, ruvide ed ovali. Il maschio, quindi, si occupa di costruire il nido con dei rami secchi, sugli scogli o sopra un albero, lontano dai pericoli del suolo. Durante quel periodo una porzione delle piume si colora di rosso, originando il mito secondo cui l’uccello si ferirebbe per amore, allo scopo di offrire il sangue in pasto ai suoi pulcini. Nulla di vero in tutto ciò. A quel punto i genitori viaggiano fino a 150 Km ogni giorno, per raggiungere le acque da cui trarre il vero nutrimento per se stessi e propri piccoli. Generalmente da quel viaggio riportano pesci pelagici di vari tipi, acciughe, piccoli crostacei e pure qualche tartaruga. Il pellicano, comunque, è un cacciatore opportunista, che riesce ad apprezzare molti cibi differenti.
Vedi quel famoso video, parte di un telegiornale londinese, in cui un torreggiante, pallido visitatore del St. James’s Park, senza un attimo d’esitazione, trangugia un povero piccione, piume, coda e tutto il resto. Dev’esserci un errore. Dov’è l’amore in tutto questo? L’oca non l’avrebbe fatto mai e quanto alla cicogna…
Il pellicano, come tutti gli uccelli, risente dell’avanzare implacabile dell’animale uomo. Inviso anticamente ai pescatori, che lo ritenevano un pericoloso concorrente, fu perseguitato a lungo e gravemente. Nel 1880, negli Stati Uniti si tentò di sterminarlo, dandogli la caccia senza tregua e distruggendo a colpi di randello molti dei suoi nidi. Nel Sud Africa, per buona parte del diciannovesimo secolo, avvenne un qualcosa di altrettanto sistematico, per opera di tutti coloro che guadagnavano sul commercio di prezioso guano per l’agricoltura, un prodotto di altri uccelli acquatici, dalle doti di sopravvivenza certamente meno sviluppate. Non c’è scampo contro chi pesa quanto dieci gabbiani, vive oltre oltre 20 anni e vola silenziosamente a bassa quota, sfruttando con sapienza i vantaggi dell’effetto suolo. Per questo l’araldica, da sempre, l’ha collocato con fierezza sugli scudi.
Pelican D77-TC, nell’universo fantastico della serie fanta-militare Halo, è il nome di un trasporto truppe di supporto, destinato a ritirarsi nelle fasi più concitate della guerra interstellare con gli alieni. Per i canoni dell’immaginifico moderno, veramente poca cosa, la nota a margine di un’epopea spaziale, con altri e verdi eroi. Tutt’altra storia rispetto all’aquila, al falco pellegrino, persino al gufo, qualche volta. Devi essere un rapace per colpire la cultura popolare! Quegli uccelli si, che potrebbero donare il nome ai cacciabombardieri, carri armati o altre amenità, tipici protagonisti della scena. Il pellicano è facile da sottovalutare. Finché non ti ritrovi sulla sua strada, in mezzo al verdeggiante parco coreano.