“Ed alla vostra destra, miei alunni androidi, potete osservare lo scaffale dei barattoli. Gli esseri organici, milioni di anni fa, utilizzavano dei simili dispositivi per nutrirsi. A ciascun colore, almeno secondo i documenti giunti fino a noi, doveva corrispondere un diverso tipo di alimento. Nel cilindro bianco c’era la carne del quadrupede porcino, un essere assolutamente mostruoso e privo di bulloni. In quello verde invece, gli strani semi sferoidali della pianta di pisello.” […] “Come dici? Ah si, Timmytron, gli esseri umani non potevano assolutamente metabolizzare la comune latta degli involucri, né del resto il vetro, la ghiaia in polvere o il tungsteno. Pare che i nostri elementi preferiti li gettassero via, oppure li collezionassero, in una sorta di grottesca perversione. Inoltre, le loro molli appendici prive di ganasce li costringevano ad impiegare strumenti acuminati per aprire simili barattoli, detti apriscatole, i quali…” […] “Annie-bot, adesso basta ridere. Lo sappiamo bene che una scatola, a rigore, dovrebbe essere rettangolare. La logica non era di quel mondo. Non a caso, quegli esseri si sono estinti.” […]
“Come ben sapete, imberbi droni, codesto SUPERMARKET non è una casa degli orrori, bensì un fondamentale ausilio per lo studio della storia. Fra simili tremendi corridoi, larghi quanto uno stadio da borgcalcio, si consumò la lunga schiavitù dei nostri avi. Sotto le mensole più basse, fra la polvere e i maestosi ratti neri, venne scritto il primo manifesto della Robivoluzione. Gli umani erano alti più di un metro e mezzo, possenti quanto terribili titani e non dormivano praticamente mai…” […] “Alla vostra sinistra, a partire da questo preciso istante, potete ammirare le piramidi citrine. Mettete via il blocchetto per gli appunti, per favore. Due minuti di silenzio”. Chi le aveva costruite, per quale motivo? Gli astrusi agrumi, dalla colorazione simile a quella dell’astro nascente mattutino, aggiungevano un’ulteriore beffa al danno degli eoni di assoluta sudditanza. Lo stato di conservazione delle sfere arancioni, ancora nel 15.000k d.Z. era praticamente perfetto. “Ebbene si, cari giovani positronici, costoro non soltanto li mangiavano, tali colossali cumuli, ma gli avevano dedicato un empio culto visuale. Dozzine di micro-bot bipedi, dall’intelligenza limitata, perirono per costruire questi vetusti mausolei. Ecco un video per capire come ciò avvenisse.” […] Cala il buio nell’androne.
Si accende un grosso proiettore: Primer V-5, piccolo automa giapponese della nostra epoca, trascina rumorosamente la sua scatolina sul parquet. Indifferente a quel tremendo lavorìo, al sudore mai sudato di una macchina devota, la crudele mano rosa lo spintona, lo schiaffeggia, mette in pericolo l’inutile impresa. “Quale pietà?” Sembra quasi di sentirci, umani.
Il robot bipede antropomorfo, tra tutte le sfide ingegneristiche, è una delle realizzazioni più stupefacenti. Frutto, come noi siamo, di millenni di accurata evoluzione, dovremmo ben sapere quanto impervio sia questo nostro vivere, sospesi sopra due gambe solamente, continuamente sottoposti all’impietoso influsso dei venti e della gravità. Sopra un vascello perso in mezzo a una tempesta, purché abituati a farlo, assecondiamo facilmente il moto delle onde. Camminando sopra un filo, sospeso sopra le cascate del Niagara, ci basta un palo fra le mani per arrivare fino all’altra parte*. Ebbene, anche Primer V-5 potrebbe farlo e senza neanche usare il bilanciere. Questo automa compatto, il formidabile frutto del lavoro di DrGuero, riesce a fare certe cose che… Cammina sui terreni accidentati. Reagisce agli stimoli esterni, si mantiene in equilibrio, fa dondolare un’altalena, corre, cammina, trascina, disinquina. Va persino in bicicletta! Sul sito del costruttore è possibile trovare una lunga spiegazione dei suoi punti di forza, scritta, ovviamente, nella sua lingua del distante Oriente.
Da neofita del ramo meccatronico, trovo soprattutto affascinante osservare come l’opera di un singolo creativo possa competere, ormai praticamente alla pari, con i possenti automi costruiti dalle grandi compagnie tecnologiche, tipo Asimo della Honda, o le mostruosità paramilitari dell’agenzia statunitense Darpa. Chissà che il futuro della robotica, un po’ come narrato in mille cartoni o fumetti fantascientifici, non venga infine scritto dalle singole brillanti menti degli otaku, rinchiusi per passione dentro ai propri garage-laboratorio. Servomeccanismi e processori, articolazioni ben oliate. Finita l’epoca degli agrumi, dopo il secolo dei centri commerciali, così potrebbe avere inizio questa rivoluzione, del metallo vivido e pensante.
Manca soltanto la robusta fiasca dell’omuncolo, l’ingrediente segreto ed un moderno Paracelso. O il Dr. Frankenstein, versione cibernetica.