Un cilindro verdeggiante nello spazio

Rama

Per centinaia o migliaia di anni, sperduti nello spazio, fra mura impenetrabili e sospinti da un reattore poderoso, gli esseri umani sopravviveranno in mezzo al vuoto. Non sarà facile, ma necessario. Perché i tempi dell’esplorazione interstellare, secondo le acclarate leggi della fisica, sono destinate ad andare ben oltre l’immaginazione. Basta puntare in giro un telescopio! Le stelle con pianeti degni di ricevere attenzioni umane, potenziali ambienti abitabili o abitati, sono lontane, praticamente irraggiungibili. Mille miliardi e centomila parsec di aridi deserti, distanze oscure e tempestose. Un oceano senza isole ma buchi neri, un tremendo labirinto privo d’uscite… Servirebbe l’ausilio di una soluzione letteraria, in pieno stile deus-ex-machina. L’iperspazio, i wormholes, la criogenica o la trascendenza delle menti? Tutto può essere, in futuro. Ma tali soluzioni, nonostante l’entusiasmo visionario dei filosofi narranti, non sono poi così probabili; ebbene, molto diverso sarebbe un approccio come questo. E non è un caso: Chaîne de ebruneton, che l’ha raffigurato al computer con il software 3Delight, si è basato (liberamente) sui lavori di uno scrittore fantascientifico che risultava essere, fra tutti, forse il più concreto. Già saprete di chi stiamo parlando. Arthur C.Clarke, l’autore del secondo più famoso romanzo di fantasia da cui sia stato tratto un film, Odissea nello spazio (1968) nonché di quello più bello, ingiustamente mai finito sopra il grande schermo: Incontro con Rama (1972). C’era uno spirito d’avventura, un senso di scoperta, in tali semplici storie, che oltrepassava i limiti remoti della mente.
Immaginatevi la situazione: nel 2130, i radar installati sul pianeta Marte – giusto 500 giorni di distanza, che vuoi che sia? – rilevano un’oggetto gigantesco e velocissimo, con una rotta che lo porterà a sfiorare il nostro Sole. Tutto il mondo guarda verso l’alto, trepidante, mentre con il passar dei giorni si scopre l’impossibile. Che non si trattava di un comune asteroide, ma di un’enorme struttura artificiale, dalla forma cilindrica e curiosamente regolare. Forse abitata da qualcuno. O qualcosa…

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Onorando il pantheon mitologico dell’India, si decide di chiamare quel cilindro Rama e, se possibile, di capire cosa sia. A quel punto è troppo tardi, o almeno così sembra, per raggiungere dalla Terra la colonia misteriosa, destinata a proseguire oltre, chiaramente, senza fare alcuna sosta. Però c’è un colpo di fortuna. Ovvero la prossimità di un’astronave, con a capo il coraggioso comandante Norton (non chiamatelo Bruce Willis) che potrebbe (volendo) con qualche difficoltà, raggiungere il visitatore. Lui, molto fortemente, lo vuole.
A quel punto prende il via l’inseguimento. Per intercettare l’astro, l’autore non assembla dunque un equipaggio di scienziati e tecnici eccellenti, come nel film Armageddon – Giudizio finale (1998). Con spirito creativo, lascia il compito alla sorte. L’intreccio narrativo ne trae grande giovamento. Ci sono scene, in quel romanzo, che tendono a restare nei ricordi. Come quando, intrufolandosi all’interno, il manipolo di eroi-per-caso si ritrova sulla parte concava di un’enorme cavità oscura, che roteando sviluppa, guarda caso, la pratica gravità di 1 g terrestre. E poi l’attimo in cui, all’improvviso, sorge l’alba.
Perché Rama, soltanto per qualche dozzina di pagine resta spento; i suoi pannelli solari, ad un certo punto, sono carichi. E si scopre che di micro-soli, al suo interno, ne custodiva ben sei. Norton, che si stava calando da uno dei lati piatti del cilindro, d’un tratto ne viene subito abbagliato. Passano i secondi, mentre gli occhi si abituano alla luce. Dopo qualche tempo, si ritrova ad osservare quel paesaggio alieno. Mari, città deserte, brulle praterie nebbiose… Un mondo intero, da scoprire. Semplicemente strabiliante, mai visto da pupilla umana.
Che poi, dalla descrizione Rama non assomigliava così tanto alla sequenza creata da Ebruneton. Lui, per questo video del 2006, in concorso per diversi premi di settore, aveva scelto la strada parallela della reinterpretazione. Nella sua versione, piuttosto che l’imperscrutabile, c’è spazio solo per la logica e la convenienza. Questo habitat geometrico assomiglia, ancor di più, a qualcosa che realmente potremmo costruire.

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Ci sono palazzi, fiumi, campi coltivati… Per un’analogia fantastica, piuttosto rinomata, si potrebbero scegliere ad esempio le colonie spaziali dell’interminabile serie animata giapponese, Gundam. Che però non esploravano le stelle, limitandosi a occupare, ciascuna, uno dei punti gravitazionali di Lagrange, posizioni fisse nello spazio, relative al nostro stabile pianeta.
E così via. Perché di mondi artificiali, sia i veri scienziati che gli scrittori fantasiosi, ne hanno teorizzati molti. Quelli di cui abbiamo parlato fino ad ora, vengono definiti Cilindri di O’Neill, dal nome del suo inventore originario, docente della Princeton University. Poi abbiamo le Sfere di Dyson, con la loro più celebre variante ad anello, luogo principale della saga semi-fantasy dei romanzi di Ringworld (1970), creata dal geniale Larry Niven. Senza trascurare la versione bellica, l’anello-arma ricercato dagli alieni Covenant, sede del più importante sparatutto per X-Box, Halo.
Nel frattempo Iain M.Banks, nella sua epopea del genere della nuova space-opera ancora in divenire, la sterminata Culture, ha pensato ad innumerevoli alternative: pianeti di metallo concentrici e ricorrenti, mega-navi tenute insieme da invisibili campi di forza, acquari siderali collegati con vaste gallerie… Ponendosi e ponendoci, velatamente, un interessante interrogativo: avremo ancora voglia di cercare mondi naturali, quando finalmente potremo crearceli da noi? Molti dei suoi protagonisti, sia uomini che robot, nascono e muoiono a triliardi di chilometri da qualsiasi “stella”, almeno secondo la definizione convenzionale di una tale cosa. Per poi rinascere, molto spesso, grazie alla tecnologia.
Che viaggino per le stelle, oppure servano da spazi abitabili futuri per una razza troppo prolifica, come la nostra, i mondi artificiali sono un caposaldo della fantascienza. Parlano di una sopravvivenza estrema, che nasce dal bisogno di andare un po’ più in là, ma che incredibilmente si ritrasforma nella più totale, bucolica serenità. E di un’ecologia ritrovata, in misura più ridotta, all’interno di un ambiente controllato. Eccolo, potremmo dire, l’uomo che superando la natura decide finalmente di proteggerla. Purché si possa *ancora* definirla tale!

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